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1 Maggio 2024
9:00

Perché i cani si “affezionano” anche a chi li tratta male?

Alcuni cani mantengono legami affettivi anche con persone che li maltrattano. I motivi sono diversi, tra cui la "Sindrome di Stoccolma", la dipendenza forzata o, ancora, la necessità di sopravvivere.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Il cane, come ben sappiamo, è un animale complesso dalla spiccata intelligenza sociale, che da millenni vive con noi, praticamente in ogni luogo del mondo ove l’uomo abbia messo piede. Questo rapporto millenario ha portato a vari livelli di relazione tra uomo e cane e le relazioni tra individui possono essere complesse. Alle volte ci stupiamo, ad esempio, nel vedere che alcuni cani mantengono legami affettivi evidenti anche con persone che li maltrattano, o che comunque non mostrano alcuna cura nei loro confronti (sia chiaro: non vale per tutti!). Come mai può accadere una cosa del genere? I motivi sono diversi, tra cui spicca anche la "Sindrome di Stoccolma", uno stato psicologico che anche noi umani proviamo. Oppure la dipendenza forzata o, ancora, una motivazione evidente come la necessità di sopravvivere.

Dipendenza forzata

Un libro pubblicato a metà degli anni 80 racconta le vicende di Nops, un Border Collie che parla in prima persona. Il cane è il narratore della sua storia e "ci racconta" che a un certo punto viene rapito e segregato da un uomo. Il tempo passa e Nops patisce tutta una serie di disavventure e ad un certo punto, rinchiuso in una sorta di scantinato da lungo tempo, racconta che il suo carceriere va da lui e gli tira una pedata e spiega che quella cosa rappresenta per lui «il fatto più interessante dell’intera settimana».

L’autore del libro, Donald McCaig, mette in realtà in risalto il fatto che i cani, come anche gli esseri umani d’altro canto, sono creature eminentemente sociali, per le quali la relazione viene prima di tutto, anche se pessima. Praticamente: meglio che il nulla.

Questo ci porta a considerare il fatto che alle volte, se non nella maggior parte dei casi, ciò che dovremmo considerare è il grado di dipendenza forzata nel quale vivono i cani. Di fatto non hanno molta scelta e, alcuni, alla fin fine trovano il modo di adattarsi nonostante tutto.

Addirittura per alcuni quel modello di interazione è anche l’unico che conoscono e giocoforza lo assecondano non potendo nemmeno evitare di creare un legame di attaccamento con i loro aguzzini. Attenzione però qui non stiamo parlando di “riconoscenza”. Parliamo del fatto che i legami affettivi sono praticamente inevitabili a lungo andare, se si vuole trovare una sorta di equilibrio. Certo, coloro che non riescono a trovare un punto di adattamento in una brutta condizione di vita sono poi quelli che – “giustamente” diremmo – si ribellano ai maltrattamenti.

Sopravvivenza

Un cane potrebbe sviluppare un legame emotivo con il proprio aggressore come meccanismo di sopravvivenza. Il cane asseconda il suo referente umano anche perché spera di ridurre il rischio di essere ferito o ucciso.

Dipendenza emotiva

Nel corso del tempo, il cane potrebbe diventare emotivamente dipendente nei confronti dell'"aguzzino" per il proprio sostegno e la propria sicurezza. Questo può essere particolarmente vero se il cane è stato tenuto in stato di  isolamento da altri contatti sociali. Nel caso di alcuni cani lo stato di isolamento potrebbe essere assoluto fin dai primi periodi di vita. Questa gravissima carenza innesca processi di attaccamento ossessivo, maniacale, che sono fonte di disequilibri molto gravi, patologici addirittura.

Dissonanza cognitiva

Un cane potrebbe provare dissonanza cognitiva, ovvero uno stato di disagio psicologico causato da bisogni specifici e atteggiamenti contrastanti da parte di chi se ne occupa. Questo disagio è generato dalle aspettative etologiche e dai bisogni di appartenenza ad un gruppo sociale da una parte e dal comportamento aggressivo o violento che il cane constata dall'altra. Per ridurre questo disagio, il soggetto potrebbe adattarsi al comportamento della persona strutturando l'idea che tutte le relazioni sociali siano simili, riproponendo poi queste modalità con altri individui. Questo porterebbe ad una incapacità del cane ad interagire in modo equilibrato anche con i propri simili.

Paura della solitudine

Come abbiamo già detto i cani sono animali sociali molto complessi, e il loro etogramma, come il nostro, li spinge al bisogno forzato di relazioni sociali causando in loro una vera e propria “paura” per la solitudine, soprattutto se prolungata. La paura dell’abbandono – ansia da separazione – può far sì che un cane scelga di rimanere vicino a un umano anche se questo lo tratta male. Questo comportamento è spesso osservato in cani che hanno vissuto esperienze traumatiche di isolamento o separazione. Si parla qui anche di stili di attaccamento alterati e del processo di separazione dal nucleo famigliare principale avvenuto in modo traumatico o comunque in età molto precoce, come dimostrano gli studi sui legami affettivi cani-umani di J. Bowlby.

Tecniche psicologiche di plagio

Questa forma di attaccamento deviata potrebbe essere anche pianificata scientemente nel caso dei cani, o frutto di una “tradizione” di training per nulla attenta al loro benessere, diciamo pure delinquenziale, che trova le sue basi nell’isolamento, nella deprivazione e nella violenza sia fisica che psicologica, per esempio con continue minacce. Il maltrattatore potrebbe utilizzare tecniche finalizzate a controllare il comportamento del cane. Ad esempio, potrebbe fornire al cane rinforzi positivi (come cibo o gentilezza) in talune situazioni, quando il cane, si comporta a suo dire in modo compiacente e sottomesso, e frequenti severe punizioni (come violenza o minacce) quando giudica che il cane non ha un atteggiamento che aderisce alle sue aspettative. Questa alternanza, dai tratti quasi schizofrenici, pone il cane in una condizione di disequilibrio totale, essendo incapace di prevedere quello che accadrà nell’interazione di cui non può però fare a meno. Questa conflittualità interna è fonte di stress grave e cronico.

Cani e Sindrome di Stoccolma?

Queste considerazioni ci portano verso una condizione psicologica simile alla “Sindrome di Stoccolma” osservata negli esseri umani, che forse potremmo azzardarci ad adattare alle condizioni psicologiche di alcuni cani sfortunati.

La Sindrome di Stoccolma è un particolare stato psicologico che si verifica in alcune vittime di sequestro o violenza prolungata. In questa situazione, la vittima sviluppa un legame emotivo con il proprio aggressore, manifestando sentimenti di simpatia, empatia, fiducia, attaccamento e persino amore. Questo legame paradossale può portare la vittima a difendere il proprio aggressore e persino a testimoniare a suo favore in caso di procedimento giudiziario.

Le cause della Sindrome di Stoccolma non sono completamente comprese, ma si ritiene che siano il risultato di una complessa interazione di fattori psicologici, sociali e situazionali, proprio come nel nostro caso dei cani che convivono con persone che li maltrattano in modo sistematico. Gli aspetti sopraelencati che caratterizzano questa sindrome sono dunque vissuti tutti insieme e anche un cane potrebbe esserne affetto.

È importante sottolineare che la Sindrome di Stoccolma non è una scelta che la vittima fa (il cane nel nostro caso). È una risposta psicologica complessa a una situazione traumatica. Non tutte le vittime di sequestro o violenza – come detto sopra nel caso dei cani – sviluppano la Sindrome di Stoccolma, o qualcosa di sovrapponibile ad essa, e la gravità dei sintomi che ne conseguono può variare da individuo ad individuo.

Ora, che questa sindrome possa essere applicata anche ai cani non è qualcosa di certo, non ci sono studi in merito, ma alla base è possibile che vi siano meccanismi psicologici simili anche in loro, vista la somiglianza che c’è tra le nostre due specie, soprattutto quando si parla di “attaccamento” e relazioni sociali. Si potrebbe pensare anche che la Sindrome di Stoccolma sia una sorta di strategia di coping disfunzionale (cioè che non porta benessere ed equilibrio), consapevoli del fatto che la questione sia assai dibattuta e che tra questa e le strategie di coping adattative (studiate anche nei cani) vi siano molte differenze, ma questa è un’altra storia.

Arriviamo dunque a trarre delle conclusioni. Il comportamento dei cani che si affezionano a compagni umani che li trattano male è complesso e multifattoriale. Fattori come la dipendenza per la sopravvivenza, la paura della solitudine e la mancanza di alternative giocano tutti un ruolo cruciale nel modellare questo comportamento. Capire queste dinamiche è essenziale per migliorare il benessere dei cani e promuovere relazioni più sane e rispettose tra cani e umani. Non sempre il maltrattamento è voluto, in molti casi le persone – ignorando le basi del benessere per il cane – sono portate ad una gestione alquanto discutibile solo perché convinte che alla fin fine è così che i cani vadano trattati. Pensiamo solo quanto fosse comune, negli anni passati – e in alcuni casi anche oggi drammaticamente – tenere il cane legato da solo ad una catena nel cortile per tutta la durata della vita, solo per fare un esempio.

I cani sono dotati di uno spirito di adattamento e di una resilienza inenarrabili, e purtroppo molte persone se ne approfittano per ignoranza o per il loro tornaconto. Queste loro incredibili doti sono la fonte di gioie e dolori per queste stupende creature, che non si meritano certo una vita orribile tale da arrivare ad amare chi gode nel farli soffrire.

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Luca Spennacchio
Istruttore cinofilo CZ
Ho iniziato come volontario in un canile all’età di 13 anni. Ho studiato i principi dell’approccio cognitivo zooantropologico nel 2002; sono docente presso diverse scuole di formazione e master universitari. Sono autore di diversi saggi.
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