Nel mondo animale sembra esistere una "regola" biologica che lega a doppio filo alcune caratteristiche fisiche, come possedere grandi dimensioni corporee, a una vita sempre più lunga. Pensiamo per esempio a quanto a lungo possono vivere mammiferi di grossa taglia come gli elefanti o le varie specie di cetacei rispetto invece ad animali molto più piccoli, come i roditori.
Eppure, questa relazione per qualche motivo sembra valere esattamente al contrario per i cani: quelli appartenenti a razze di taglia più piccola tendono infatti a vivere più a lungo di quelle più grandi, con differenze sostanziali anche di 5-7 anni rispetto all’aspettativa di vita media. Un San Bernardo o un Bovaro del Bernese, ad esempio, vivono tendenzialmente dai 6 agli 8-10 anni, mentre un Chihuahua e un Volpino di Pomerania possono vivere anche oltre i 15 anni. Vediamo perché i cani di piccola taglia sono più longevi di quelli grandi.
Probabilità di sviluppare tumori
In un nuovo studio pubblicato sul giornale The American Naturalist, un gruppo di ricercatori ha cercato quindi di scoprire quali fossero i fattori responsabili di questa apparente eccezione alla regola del “regno canino”, studiando individui appartenenti a ben 164 razze caratterizzate da taglie molto diverse fra loro, spaziando dai piccoli Chihuahua ai giganteschi Alani.
Per far ciò, sono stati raccolti i dati biologici legati alle cause e l’età di morte, il peso da adulti e alla nascita e così via. E quello che è saltato subito agli occhi è che all’aumentare della taglia dei cani aumenta anche la probabilità di sviluppare tumori, portando così gli animali a vivere inevitabilmente una vita più breve, suggerendo quindi che è proprio la predisposizione allo sviluppo di queste patologie a essere responsabile di questo fenomeno.
Comparsa spontanea di mutazioni nelle cellule animali
Per comprendere la logica dietro questa correlazione, bisogna però ricordare uno dei principali fattori biologici che causa i tumori e che è onnipresente nella biologia animale: la comparsa spontanea di mutazioni nelle cellule animali, specialmente durante processi delicati come la divisione cellulare. E così il ragionamento diventa molto intuitivo: i cani, per crescere di dimensioni, devono aumentare il numero di cellule corporee attraversando quindi un numero maggiore di divisioni cellulari.
Tutto questo, comporta quindi anche un aumento della probabilità che si verifichino mutazioni potenzialmente dannose, proprio perché queste hanno maggiori probabilità di verificarsi quando le cellule si dividono. L’evoluzione verso queste caratteristiche fisiche nei cani, ma in generale negli animali, porta perciò con sé questo inevitabile effetto collaterale: per crescere di dimensioni occorre un numero maggiore di divisioni cellulari ma, tuttavia, anche la probabilità di sviluppare tumori aumenta. Ma allora come mai le altre specie animali di grosse dimensione vivono comunque vite molto lunghe?
Sistemi di difesa più efficaci
La risposta è possibile darla solo se si ragiona su quanto gli esseri umani abbiano modificato il processo di selezione durante le varie fasi della domesticazione dei cani. A differenza di questi ultimi, infatti, gli altri animali di grosse dimensioni sono stati sottoposti ad ambienti e a pressioni selettive che ponevano dei limiti molto più stringenti a agli effetti negativi dovuti all'aumento delle dimensioni (come appunto l probabilità di sviluppare tumori), facendo così evolvere in parallelo anche sistemi di difesa molto più efficaci nei confronti delle mutazioni negative.
Ciò non è probabilmente accaduto nei cani proprio a causa del nostro ruolo, il quale ha fatto sì che, evolutivamente parlando, il "miglior amico dell'uomo" ha continuato a vivere e riprodursi a prescindere dalla natura e a causa del nostro intervento, non sviluppando così i sistemi protettivi che milioni di anni di evoluzione e selezione naturale hanno concesso alle specie selvatiche.
Questa sequenza di eventi ha dunque inevitabilmente portato alla condizione attuale: molte razze canine sono state selezionate verso dimensioni maggiori lasciando però inalterati gli effetti collaterali che questo comporta. Dovremmo dunque riflettere e porci ancora di più domande di natura etica su quanto il nostro intervento durante la selezione delle razze canine abbia condizionato la salute dei nostri amici, conservando caratteristiche che portano con sé effetti collaterali che iniziamo a scoprire nella loro interezza solo adesso, a giochi ormai fatti.
Così come nel caso dei cani brachicefali, dovremmo tutelare soprattutto gli interessi e la salute di quei cani che presentano caratteristiche fisiche che continuiamo a scegliere e a selezionare, spesso solo per moda o motivi estetici, ma che spesso possono portare con sé aspetti negativi per la loro salute potenzialmente trascurati. Questo genere di studi, ci permetteranno quindi di avere maggior consapevolezza a riguardo in futuro, spingendoci a relazionarci con i cani nella maniera più etica possibile e nel rispetto in primis della loro salute individuale.