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23 Gennaio 2024
14:59

Perché gli esseri umani vedono colori che i cani non vedono? La scoperta in un nuovo studio

Un nuovo studio sta cercando di capire come siamo diventati sensibili a colori come il rosso e il verde e perché la nostra vista è così diversa da quella dei cani.

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Un team di ricercatori ha scoperto come mai i nostri occhi sono in grado di percepire determinati colori che risultano invisibili agli occhi degli altri animali come i nostri fidati cani domestici.

Lo studio è stato pubblicato su PLOS Biology da Robert Johnston, professore associato di biologia della Johns Hopkins University di Baltimora. I risultati affermano che all'interno della nostra retina la vitamina A favorisce la nascita e lo sviluppo di alcune cellule specializzate –  i coni – che consentono alla nostra specie di vedere in media molti più colori della maggioranza dei mammiferi. L'acido retinoico, nello specifico, derivato dalla vitamina A, determina infatti se un cono sarà specializzato nel rilevamento della luce verde o di quella rossa e quindi determina la qualità della vista di un essere umano.

In passato gli scienziati hanno creduto che i coni sensibili alla luce rossa e verde si formassero attraverso un particolare meccanismo, in cui le cellule si impegnavano praticamente a caso nel rilevare le lunghezze d'onda specifiche di uno dei due colori. Tuttavia i risultati ottenuti dal team di Johnston hanno definitivamente demolito questa antica teoria: sono le concentrazioni di vitamina A nel corso delle fasi dello sviluppo a far maturare i coni e a indirizzarli verso la visione esclusiva di un determinato colore, anche attraverso il contributo dell'ormone tiroideo che regola lo sviluppo di queste cellule e permette di disporre di un numero adeguato coni per entrambi i colori.

Qualora però un disturbo genetico porti le cellule della retina a non sviluppare adeguatamente i coni, spiegano i ricercatori, neppure l'acido retinoico e la vitamina A possono aiutare la retina a percepire il rosso e il verde, con la conseguenza che "l'occhio" regredisce dal punto di vista evolutivo alla "fase precedente", quella che è presente tutt'oggi negli occhi di tanti altri mammiferi, risultando daltonico. 

I risultati di questo studio non finiscono però qui. Il team ha anche scoperto che alti livelli di acido retinoico nello sviluppo iniziale della retina porta misteriosamente l'occhio a disporre di più coni sensibili al verde, con la conseguenza che durante la vita il soggetto sarà molto più capace di discriminare le tonalità di questo colore rispetto a quelle del rosso. Una condizione molto vantaggiosa per i nostri antichi antenati, che vivevano in contesti molto alberati o dominate dalle tonalità del verde. Allo stesso modo, bassi livelli di vitamina A portano i coni ad essere più sensibile al rosso, che può risultare utile in determinati contesti geografici in cui la luce solare è fioca per la maggioranza dell'anno.

I nostri cani invece non disponendo di questi coni – a prescindere dall'ingestione di sufficienti dosi di vitamina A – dispongono di una retina molto più sensibile ai colori scuri e grigi, un adattamento presente sin dai loro antenati lupi che gli permetteva di seguire le prede anche nel sottobosco o in luoghi molto bui.

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«Potrebbe esserci ancora un po' di casualità nello sviluppo dei nostri coni, ma la nostra grande scoperta è che l'acido retinoico viene particolarmente sfruttato nelle prime fasi della nostra crescita, per permetterci di vedere meglio i colori», ha detto Johnston. Considerando poi l'importante rapporto esistente fra i neonati e la loro madre, è anche possibile immaginare che tramite il latte i bambini assorbano la vitamina A in eccesso presente nel corpo materno e che in condizioni normali – prive di  mutazioni genetiche come nel caso del daltonismo –  ci sia dunque una stretta correlazione (ancora da verificare) fra l'alimentazione materna e lo sviluppo della sensibilità futura dei bambini per il verde o per il rosso.

Per compiere questo studio i ricercatori hanno usato una tecnica innovativa che ha individuato le sottili differenze genetiche di 700 uomini adulti, monitorando al contempo il rapporto dei coni nell’arco di 200 giorni. Come si è infatti scoperto, anche gli adulti possono variare minimamente la distribuzione dei loro coni nella retina, andando ad effettuare un'alimentazione più o meno ricca di vitamina A.

Gli scienziati tuttavia ancora non comprendono appieno come il rapporto tra coni verdi e rossi possa variare così tanto nella nostra specie e all'interno dello stesso individuo, senza influenzare negativamente la vista di qualcuno. In ogni caso i risultati di questo studio li inducono a sospettare che alcune patologie che colpiscono la retina siano collegate alla degenerazione dei coni e ad un mancato assorbimento della preziosa vitamina A nelle loro cellule. Per questa regione hanno deciso di procedere per il futuro con altri esperimenti in vitro, che coinvolgeranno esclusivamente dei tessuti umani.

«La speranza è quella di aiutare le persone con questi problemi di vista – ha concluso Johnston – e capire pienamente cosa ci differenzia dagli altri mammiferi. Ci vorrà un po' di tempo prima che ciò accada, ma sapere che possiamo creare queste diverse tipologie di cellule in laboratorio, senza coinvolgere altre specie, è molto incoraggiante e promettente».

Questo non è il primo studio che cerca di indagare l'origine della nostra vista. Qualche mese fa, infatti, un altro team aveva spiegato come mai gran parte dei primati hanno sviluppato una vista stereoscopia ed in grado di percepire diverse tonalità di verde.

Sono laureato in Scienze Naturali e in Biologia e Biodiversità Ambientale, con due tesi su argomenti ornitologici. Sono un grande appassionato di escursionismo e di scienze e per questo ho deciso di frequentare un master in comunicazione scientifica. La scrittura è la mia più grande passione.
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