Gli elefanti, oltre a essere gli animali più grandi a camminare sulla Terra, hanno un'altra particolarità: una pelle ricoperta da enormi e profonde rughe, soprattutto su zampe e proboscide. Ma a cosa servono queste pieghe così pronunciate? Nessuno se l'era mai chiesto davvero e così un gruppo di scienziati ha provato a capirci qualcosa in più per tentare di comprendere meglio l'origine e la funzione di queste rughe.
Lo hanno fatto mettendo insieme la letteratura scientifica disponibile, esaminando gli animali negli zoo, i reperti museali e persino le foto dei piccoli ancora nel grembo materno, sia per gli elefanti asiatici che per quelli africani. I risultati di questo lavoro, pubblicati sulla rivista Royal Society Open Science, hanno fatto emergere diverse curiosità affascinanti su questa caratteristica solo apparentemente banale.
La proboscide, in particolare, è uno degli organi più incredibili dell'intero regno animale, ed è già stata oggetto di numerosi studi. Si stima per esempio che venga mossa da 46.000 muscoli, che le permettono di piegarsi, torcersi e muoversi con una flessibilità incredibile. Tuttavia, la struttura e la funzione delle sue rughe sono state fino ad ora poco o per nulla studiate ed proprio su questo che si sono concentrati i ricercatori.
Dalle osservazioni è emerso che le rughe iniziano a formarsi già durante lo sviluppo del feto (il loro numero raddoppia ogni 20 giorni) e diventano poi più profonde e marcate con l'avanzare dell'età. Inoltre, svolgono un ruolo fondamentale nell'utilizzo della proboscide, facilitando per esempio il movimento e soprattutto la manipolazione degli oggetti.
La proboscide di un elefante, infatti, è molto più di un semplice strumento di presa: grazie alla sua struttura estremamente rugosa, riesce a modellarsi e ad adattarsi a diversi tipi di superfici per afferrare, sollevare e trasportare qualsiasi oggetto con precisione. Un'altra scoperta interessante riguarda invece una sorta di "lateralità" nell'utilizzo della proboscide, definita dai ricercatori come "trunkedness".
Gli elefanti, come molti altri animali umani inclusi, mostrano una preferenza nel modo in cui avvolgono la proboscide attorno agli oggetti, scegliendo costantemente una direzione preferenziale. È un po' come se fossero mancini o destrorsi e questa direzione preferenziale nell'avvolgimento si riflette, inevitabilmente, anche in alcuni adattamenti fisici.
Il lato preferito per avvolgere gli oggetti ha infatti un numero maggiore di rughe, che rendono molto più semplice e salda la presa, mentre l'altro lato ha invece peli più corti, abrasi dal continuo sfregamento contro il suolo quando raccolgono qualcosa da terra. Si può quindi capire se un elefante è mancino oppure no, guardando le rughe laterali della proboscide. Inoltre, ci sono anche notevoli differenze visive e strutturali tra le due specie studiate.
L'elefante asiatico (Elaphas maximus) ha sulla proboscide un numero maggiore di pieghe trasversali, anche se sono più piccole e a volte "spezzate". Al contrario, quelle del cugino africano di savana (Loxodonta africana) sono invece più larghe (soprattutto alla base) e si ripiegano parzialmente l'una su l’altra. Le rughe, quindi, non sono solo un tratto estetico o collaterale, ma sono innanzitutto visivamente distintive e caratteristiche per ogni specie.
Hanno inoltre una un'utilità molto precisa, permettendo una maggiore flessibilità della pelle della proboscide e facilitando la presa e la manipolazione degli oggetti. Questo studio è chiaramente solo di un primo vero tentativo per provare a far luce su una caratteristica tanto iconica quanto trascurata, ma che evidentemente può raccontarci molto sulla vita, le abitudini e l'adattamento di questi giganti.