Noi esseri umani apparteniamo alla specie denominata Homo sapiens: facciamo parte del gruppo delle grandi scimmie antropomorfe e i nostri parenti più prossimi ancora in vita sono i pacifici bonobo (Pan paniscus) e gli scimpanzé (Pan troglodytes). Ma che fine hanno fatto le altre specie appartenenti al nostro genere Homo?
La storia dell’evoluzione umana, per quanto recente in termini geologici, è piuttosto complessa e, essendo un argomento di enorme interesse per la comunità scientifica, sono frequenti nuovi studi e scoperte che continuano ad aggiungere ulteriori tasselli e informazioni.
Il genere Homo nasce a partire da un ramo di ominidi molto affini ai nostri cugini scimpanzé: gli australopitechi. Tra questi la più famosa è certamente Lucy, primo esemplare di Australopithecus afarensis mai scoperto, rinvenuta in Etiopia, nella Rift Valley nel 1974. Furono proprio le varie specie di australopitechi, vissute all’incirca tra i 4,5 e i 2 milioni di anni fa, ad evolvere la postura bipede ed abbandonare progressivamente la vita arboricola in risposta ai cambiamenti climatici del Miocene che causarono la comparsa delle savane aperte in Africa a discapito delle foreste, e a dare origine al nostro ramo evolutivo.
Il genere Homo nasce quindi in Africa all’inizio del Pleistocene, circa 2 milioni e mezzo di anni fa, con la comparsa di Homo habilis, le cui popolazioni hanno accumulato nel tempo differenze tali da dar vita a specie differenti che hanno portato fino alla nostra, apparsa soltanto 300/200 mila anni fa.
Di tutte le varie specie del genere Homo siamo gli unici sopravvissuti: alcune sono naturalmente andate incontro all’estinzione, altre non sono riuscite ad adattarsi ai rapidi cambiamenti climatici delle glaciazioni e altre ancora, come Neanderthal e Denisova, vivono solo nel nostro corredo genetico. La nostra specie, H. sapiens, è stata l’unica in grado di adattarsi ad ogni clima e ambiente che abbia mai incontrato, superando l'ultima era glaciale e colonizzando nei secoli l’intero Pianeta.
Quante e quali erano le specie umane?
Ad oggi sono state identificate all’incirca una quindicina di specie umane, quasi tutte originate e rinvenute in Africa. La più antica è Homo habilis, scoperta negli anni 60 in Tanzania, con cui inizia il primo periodo di industria litica: la produzione di utensili e armi ricavate dalle rocce in un periodo in cui ha inizio il Paleolitico. Questa specie umana era di aspetto molto simile agli scimpanzé e gli australopitechi, con un accentuato prognatismo, grossi molari e arti inferiori ancora esili, sebbene più lunghi, e adattata alla vita parzialmente arboricola. La dimensione della scatola cranica era già superiore a quella delle altre scimmie con cui siamo imparentati ma ancora molto lontana dalla nostra e si aggirava intorno ai 600 cm cubici. La specie si è estinta circa 1,4 milioni di anni fa.
Parallelamente a H. habilis sono vissute in Africa almeno altre 3 specie umane: H. rudolfensis, H. erectus e H. ergaster. I reperti di H. rudolfensis sono scarsi ma ci consentono di sapere che aveva un prognatismo meno accentuato e un'arcata dentale più stretta; la specie è datata 1,7 milioni di anni.
Tutt'altra storia è quella di H. erectus, i cui fossili sono numerosi e presenti non solo in Africa ma anche in Cina, India e Caucaso. H. erectus è comparso in Africa circa 2 milioni di anni fa ed è vissuto per un lungo periodo durato almeno 1 milione e mezzo di anni, durante il quale ha notevolmente migliorato la sua industria litica ed ha imparato a controllare il fuoco. È anche la prima specie umana ad essersi avventurata al di fuori del continente madre, raggiungendo l’Asia passando per la penisola araba. La capacità cranica di H. erectus era notevolmente più grande e si aggirava intorno ai 1000 cm cubici negli ultimi esemplari; presentava ancora prognatismo e un foro sovraorbitale marcato, specialmente nei maschi, ma è anche la prima specie umana di cui abbiamo prove di metarappresentazione.
Homo ergaster era in principio la stessa specie di H. erectus, che, rimasta in Africa e biogeograficamente isolata, ha accumulato differenze tali da portare alla sua classificazione come una specie separata. La sua struttura fisica era abbastanza simile ai primitivi H. sapiens e aveva una cavità nasale più ampia per migliorare la ventilazione durante il movimento a terra. Pare essersi estinto intorno a 1,3 milioni di anni fa.
Homo antecessor e Homo heidelbergensis sono invece due specie trovate in Europa. H. antecessor probabilmente raggiunse l'Europa attraverso lo stretto di Suez ed arrivò fino alla Spagna, dov’è stato ritrovato. Aveva una struttura simile a H. ergaster e una capacità cranica leggermente superiore. Si è estinto circa 800 mila anni fa. Homo heidelbergensis, invece, è più recente e si stima sia vissuto tra i 700 mila e i 300 mila anni fa. Nonostante fosse simile per dimensioni alla nostra specie, aveva una muscolatura più prominente, il toro sovraorbitale iniziava a ridursi e il prognatismo era meno evidente. La capacità cranica era leggermente inferiore alla nostra, con una media di 1100/1200 cm cubici. Alcuni dei reperti di questa specie riportano segni di scarnificazione attraverso strumenti litici, indice di cannibalismo da parte di altri umani, probabilmente per una questione di display e dominanza.
Peculiare è invece il caso di Homo floresiensis, specie indonesiana di probabile derivazione del ceppo asiatico di H. erectus e unico caso nel genere Homo di nanismo insulare: l’altezza media si aggirava intorno al metro e l'aspetto era simile agli individui giovanili degli australopitechi. Per ovvie ragioni anche la capacità cranica era inferiore. Quando alcuni grandi mammiferi colonizzano isole prive di predatori e rimangono isolati dal resto della popolazione possono andare incontro al fenomeno del nanismo insulare, che li porta ad evolvere nel tempo dimensioni più ridotte per avere un minor bisogno energetico, più compatibile con le risorse limitate presenti sull’isola.
La specie più celebre, esclusa la nostra, è certamente Homo neanderthalensis. L’uomo di Neanderthal, comparso circa 450 mila anni fa, aveva un areale che comprendeva tutta l’Europa e parte dell’Asia occidentale. Era leggermente più basso di noi ma aveva una muscolatura robusta, ampie cavità nasali e un torace ampio, adattati a favorire la respirazione nei climi freddi delle zone che abitava, ed era interfecondo con la nostra specie. Non è chiaro in che modo Neanderthal e sapiens si siano ibridati ma le nostre popolazioni europee portano nel Dna parte del corredo genetico (il 4% circa) di questi nostri cugini estinti, i cui tratti morfologici più facili da individuare sono i capelli rossi, gli occhi chiari e le lentiggini. I Neanderthal avevano un’industria litica raffinata, inventarono la colla e costruivano strumenti musicali a fiato a partire da ossa animali; avevano strutture sociali complesse, seppellivano i morti con conchiglie ornamentali e dipingevano le caverne con dei pigmenti ricavati dai minerali del terreno. H. neanderthalensis nel nostro immaginario era stupido e arretrato, invece ha preceduto la nostra specie in molte invenzioni ed aveva una scatola cranica più grande della nostra, con una media di 1450 cm cubici. La specie si è probabilmente estinta 40 mila anni fa.
Nella porzione più orientale della Russia sono stati trovati, invece, alcuni resti attribuiti a Homo di Denisova, una specie affine al Neanderthal vissuta probabilmente tra 200 mila e 15 mila anni fa. Parte del loro Dna è presente nelle popolazioni melanesiane di H. sapiens.
Breve storia dell’evoluzione umana
Per quanto l'immaginario dell’evoluzione lineare sia radicato nelle nostre menti è ben lontano dalla realtà: dobbiamo immaginare l’evoluzione, come aveva già intuito Charles Darwin, più come un albero, da cui si estendono diversi rami. Il genere umano, come abbiamo detto, si è originato in Africa e da lì si sono evolute diverse specie che potevano anche coabitare nella stessa area nello stesso lasso di tempo e alcune di queste erano persino interfeconde. Le popolazioni di una determinata specie potevano restare isolate ed accumulare nei secoli differenze tali da portare alla nascita di un’altra specie, senza che questo implicasse necessariamente la scomparsa del gruppo di origine.
Homo sapiens è apparso probabilmente tra i 300 e i 200 mila anni fa: il suo aspetto è slanciato e i tratti del viso meno marcati, con il toro sovraorbitale poco accentuato e il prognatismo quasi del tutto assente, il volume della sua scatola cranica ha una media di 1350 cm cubici.
Il trend evolutivo nel genere Homo è stato quello di specie sempre più slanciate ed adattate alla vita bipede al suolo, con coane più grandi e una migliore capacità respiratoria per la locomozione a terra, una progressiva riduzione del prognatismo e della dentatura di pari passo ad una dieta più onnivora, anche grazie all’utilizzo di strumenti litici, e un progressivo aumento delle dimensioni della scatola cranica, e conseguentemente del canale del parto, in modo da poter contenere un cervello sempre più grande e complesso.
Homo sapiens fa parte delle specie del genere umano che si sono avventurate anche al di fuori del continente africano: la prima uscita si è verificata 120 mila anni fa, ma di queste popolazioni si sono perse le tracce, mentre la seconda, avvenuta all’incirca 60 mila anni fa, ha portato alla progressiva conquista di tutti i continenti. Homo sapiens raggiunse la Cina 70 mila anni fa, era stabilmente presente in Europa 40 mila anni fa, superò lo stretto di Bering durante le glaciazioni 15 mila anni fa, giungendo in America del Nord e si stabilì anche in Sud America circa 12 mila anni fa, mentre nella Mezzaluna fertile nascevano le prime comunità stanziali di agricoltori e allevatori.
Oggi la situazione umana è particolare: con il progressivo sviluppo delle tecnologie e della medicina la popolazione è esplosa, non siamo più soggetti alle leggi della selezione naturale e siamo in grado di spostarci per l’intero pianeta nel giro di alcune ore, non esistono più popolazioni isolate che nel tempo possano separarsi in una nuova specie. Come ha raccontato a Kodami Telmo Pievani, professore di Filosofia delle Scienze biologiche all’Università di Padova, «la nostra cultura può cambiare la nostra biologia».
Siamo l’unica specie umana sopravvissuta all’estinzione ma la linea sempre più marcata che abbiamo voluto disegnare tra noi e il resto della Natura ci ha resi gli autori di numerosi altri eventi di estinzione che potrebbero, infine, portare anche alla nostra scomparsa.
Come sono scomparse le altre specie umane
I cambiamenti climatici, allora come oggi, sono stati causa di stravolgimenti dell’ambiente che hanno messo in difficoltà molte specie, comprese quelle umane. Circa 900 mila anni fa la popolazione umana sarebbe crollata drasticamente per via di eventi estremi del clima. I pochi sopravvissuti avrebbero poi dato origine alla nostra specie e a quelle affini come il Neanderthal.
Furono molto probabilmente proprio degli eventi climatici a determinare la scomparsa di H. neanderthalensis, nonostante fosse adattato a sopravvivere in un clima freddo. Le glaciazioni del Pleistocene portarono la calotta artica ad espandersi fino a coprire gran parte del continente europeo durante ogni periodo glaciale, per poi ritirarsi in parte nelle fasi interglaciali. Di conseguenza molti animali, umani compresi, si spostavano più a sud nelle cosiddette aree rifugio: Spagna, Italia e Grecia. Queste popolazioni rimasero a lungo isolate, portando ad una riduzione del pool genetico, similmente a come accade oggi alle specie che vedono i loro habitat frammentati.
Un altro fattore che potrebbe aver determinato la scomparsa di questa specie è stato probabilmente la competizione – diretta o indiretta – con la nostra specie. Non è ancora chiaro il rapporto che ci fosse tra sapiens e Neanderthal ma non ci sono prove di caccia di una specie sull’altra, anzi, come abbiamo detto prima, individui delle due specie si sono accoppiati più volte, anche se non si sa in quali modalità. I Neanderthal, però, nonostante avessero un grande cervello e strutture sociali complesse avevano un limite nella comunicazione dovuto alla mancanza del mento che non consentiva l’articolazione complessa delle parole. Inoltre erano incapaci di digerire gli amidi e il latte, quindi, nonostante avessero una dieta simile alla nostra, difficilmente avrebbero potuto sfruttare agricoltura e allevamento. Tutti questi fattori portarono probabilmente alla fine della specie, che sopravvive solo in una porzione del nostro Dna.
Perché siamo l'unica specie umana sopravvissuta
I Neanderthal erano adattati a vivere al clima freddo del continente Europeo ma in condizioni stabili. La chiave del successo della nostra specie è stata proprio una maggiore elasticità e capacità di adattamento. La varietà genetica della nostra specie ci ha consentito di avere le risorse necessarie per sopravvivere anche all’ultima e più fredda glaciazione, terminata circa 12 mila anni fa.
Anche la nostra specie, H. sapiens, era andata incontro ad eventi che avevano ridotto di molto la sua popolazione mondiale, rischiando addirittura l’estinzione, ma fortunatamente è stata in grado di riprendersi. Il fatto che siamo l’unica specie del genere umano sopravvissuta ad oggi non ci rende migliori, ma solo meglio adattati a sopravvivere nelle condizioni che erano presenti sul pianeta quando molte altre specie si sono estinte.