«Una mia amica avrebbe bisogno di una sistemazione adeguata per le sue due tartarughe d'acqua, ormai hanno 15 anni e lei, a malincuore, non può tenerle più. Sapreste indicarmi un centro o un privato che possa averne cura amorevolmente?». La richiesta è apparsa pochi giorni fa su un gruppo Facebook su Taranto e in poche ore ha ricevuto decine di risposte, quasi tutte dello stesso tenore: «Potete lasciarle a Villa Peripato, lì ce ne sono già altre». Per chi non lo sapesse la Villa è un’area verde della città pugliese dove, effettivamente, in una grande vasca, hanno trovato casa diverse tartarughe nel corso di questi anni. Per la precisione al momento ce ne sono 70. Come ci siano arrivate lì? Una storia lunga di tanti anni di abbandoni senza una regola, che ha portato una piccola piscina a ospitare un numero spropositato di esemplari.
Il problema è che l’abbandono di tartarughe d’acqua, in particolare delle testuggini Trachemys scripta, ha provocato non pochi danni a molti ecosistemi del nostro paese. Adottate con poca consapevolezza soprattutto negli anni 90, quando venivano acquistate per poche migliaia di lire alle fiere e alle feste di paese, per tanto tempo sono state oggetto di importazione incontrollata. Si tratta infatti di specie importate provenienti originariamente dalle acque degli USA. Il problema più grande, però, è che queste testuggini sono fondamentalmente onnivore. Mangiano tutto quello che trovano, devastando flora e fauna acquatica degli habitat dove vengono ricollocate. Esattamente quello che è accaduto anche in Italia dove, peraltro, sono stati avviati numerosi programmi per l’eradicazione della specie. Dal 2018, data di entrata in vigore del decreto sulle specie aliene, la detenzione di esemplari di Trachemys scripta scripta (tartaruga d’acqua dalle orecchie gialle), Trachemys scripta elegans (orecchie rosse) e Trachemys scripta troostii (guance bianche) doveva essere denunciata, considerato il divieto di commercializzazione, di introduzione sul territorio nazionale o di rilascio in natura.
Come spesso accade, però, le norme restano spesso lettera morta e infatti moltissime persone, in questi anni, hanno deciso di disfarsi di esemplari che o non riuscivano a tenere più in una vaschetta (perché diventate troppo grandi) o non assurgevano più alla loro funzione di giocattolo per bambini oramai cresciuti e con figli. E così in tanti hanno deciso di abbandonare le loro “affezionate” Trachemys, oramai di 15 o 20 anni in un ambiente che ritenevano più adatto alla loro vita: un laghetto, un corso d’acqua o la piscina di un giardinetto cittadino. È esattamente quello che è successo anche a Taranto dove, oltre che nella succitata Villa Peripato, decine e decine di esemplari sono stati abbandonati in questi anni nei fiumi Cervaro, Galeso e Tara. Un gesto compiuto senza capire i danni che il loro proliferare avrebbe potuto comportare agli ecosistemi preesistenti.
Ecco allora che nella discussione è intervenuto Gianni De Vincentiis, responsabile locale del WWF: «Te le regalavano alle giostre quando erano piccoline – racconta a Kodami – in realtà poi crescono e diventano di dimensioni notevoli. Abbiamo trovato tartarughe abbandonate ovunque, anche nei bidoni dei rifiuti. Oltre a quelle che erano state lasciate in fiumi e laghi. Non c’è mai stata una decisione del Comune di far diventare quella di Villa Peripato una piscina per le tartarughe, fatto sta che negli anni ne sono state abbandonate lì a decine. Non è così che ci si comporta. Non si fa altro che far incrementare la popolazione creando un ammassamento di animali che non possono vivere tutti insieme, non avendo per esempio neanche lo spazio per prendere il sole, fondamentale per queste specie. La gente, vedendo che c’erano già delle tartarughe, andava di volta in volta a buttarle lì dentro e così sono diventate ancora di più. L’unico centro autorizzato in Puglia, invece, è il Cras di Calimera, che sino a qualche tempo fa, però, non sapeva più dove metterle».
De Vincentiis ha così provato a fare un po’ di chiarezza sulla situazione, ricordando quanto previsto dalle leggi vigenti sul gruppo e ammonendo chi, con tutte le buone intenzioni, aveva fornito una erronea informazione: «Qualche giorno fa mi ha contattato una signora – continua il referente del WWF – anche lei aveva tre tartarughe comprate per la figlia quando era piccolina. Adesso non c’è più nessuno che le possa seguire. Mi ha chiesto a chi potrebbe darle e la metterò in contatto con il Cras. Già è tanto che abbia chiesto a chi rivolgersi invece di abbandonarle in qualche laghetto o in un fiume, ma la questione è importante».
È bene ribadire, allora, che laddove si detenga una tartaruga d’acqua delle specie succitate non si deve assolutamente pensare di rilasciarla in natura o in aree artificiali, anche qualora qui vi siano già presenti altri esemplari e qualcuno che si occupi di dare loro da mangiare (come avviene a Villa Peripato a Taranto, dove l'impegno di Comune, Arca, Protezione Civile e WWF ha finora garantito la loro tutela). Abbandonare una tartaruga comporta la violazione della legge e crea importanti danni all’ecosistema esistente, danneggia irrimediabilmente la biodiversità di quell’area e rischia di provocare la morte di tanti pesci e della flora acquatica. Gli animali non sono giocattoli e, anche in questi casi, serve tanta consapevolezza e tanto senso di responsabilità. Al contempo è bene ricordare che laddove si detengano animali particolari, come per esempio una testuggine, è necessario informarsi costantemente sulle modifiche alla normativa vigente. L'ignoranza della legge, soprattutto in questi casi, non può essere contemplata.