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29 Gennaio 2023
9:15

Per un’efficace repressione dei maltrattamenti agli animali occorre conoscenza e tecnica

Chiunque abbia come compito quello di reprimere il maltrattamento di animali, dovrebbe essere correttamente preparato per non aprire varchi che possano far rimanere impuniti e senza conseguenze atti gravi commessi a danno di esseri senzienti.

polizia crimini

La mancata applicazione della normativa che punisce i reati a danno degli animali molto spesso è legata alla mancanza di informazioni, non soltanto relative alla valutazione delle situazioni che possono essere considerate o meno come maltrattamento, ma anche alla conoscenza delle tecniche di Polizia giudiziaria.

Negli atti giudiziari occorre sempre rendere chiara la motivazione per la quale si ritiene che ci si trovi al cospetto di un maltrattamento configurabile come reato e bisogna essere in grado di mettere in atto la corretta applicazione della procedura penale: due ingredienti fondamentali per arrivare non soltanto alla condanna dei responsabili ma anche alla confisca degli animali maltrattati.

Caratteristiche che, più frequentemente di quanto si creda, mancano negli atti di Polizia giudiziaria, senza le quali difficilmente si supera il primo scoglio rappresentato dall’archiviazione richiesta dal Pubblico ministero e quasi mai il giudizio di primo grado. Garantendo al responsabile del reato, se effettivamente commesso, l’impunità grazie a carenze formali insanabili che rendono molto spesso nulli gli atti di Polizia giudiziaria, proprio per non aver seguito il corretto percorso che nel nostro attuale sistema penale ha dei riti molto precisi, forme del procedimento che possono farlo chiudere con un nulla di fatto ben prima che si entri nel merito delle responsabilità.

Il nostro sistema giudiziario è basato su una serie di riti, molte volte eccessivi e ridondanti, nati per assicurare una parità di strumenti pensati per bilanciare i diritti dell’accusa e della difesa, con la conseguente necessità di avere un castello probatorio solidamente ancorato alla presenza di tutti i diritti garantiti dal codice all’imputato, con la corretta acquisizione formale delle prove.

Un equilibrio molte volte sottovalutato o peggio ignorato da chi, sul campo, deve essere in grado di operare guardando alla successiva fase processuale per garantirsi il risultato del lavoro fatto. Qualcuno potrebbe pensare che questo problema riguardi soprattutto le guardie volontarie delle associazioni, ma così non è: spesso il problema lo si può riscontrare anche negli atti compiuti dalle forze di Polizia dello Stato e dei Comuni, specie in quelli piccoli dove non sono presenti nuclei specializzati nelle attività di Polizia giudiziaria. Un problema riscontrabile anche nelle attività degli operatori del Servizio Veterinario pubblico, che pur avendo qualifiche di ufficiali di P.G. spesso non vengono adeguatamente formati per poter svolgere un’efficace repressione dei maltrattamenti di animali.

Al di là delle conoscenze più elementari, generalmente ricevute all’Università, non sono previste nella struttura veterinaria pubblica vere e proprie scuole sulle tecniche di Polizia giudiziaria, sul come svolgere un’indagine o su come vanno redatti gli atti di P.G. quando ci si trova al cospetto di un reato. Questa carenza di preparazione porta all’assenza di conoscenze, solo per fare un esempio fra tanti, su come entrare nella scena di un crimine per acquisire le prove, cercando di ipotizzare lo scenario che ha portato alla morte di un animale o per rilevare le condizioni di maltrattamento.

L’acquisizione delle prove, per il nostro Codice di Procedura Penale, come detto, deve seguire percorsi ben precisi se non si vuole correre il rischio che per banalità procedurali diventino inutilizzabili nel dibattimento. Rischiando di far annullare un sequestro probatorio a causa della mancanza di solide motivazioni, che hanno portato a definire come “prova” quanto oggetto di sequestro. Per rischiare l’annullamento di un atto importante come un sequestro è sufficiente essersi “dimenticati” di ricevere la nomina del difensore da parte dell’indagato oppure di avergliene assegnato uno d’ufficio prima di procedere all’acquisizione delle fonti di prova.

Sono proprio queste le motivazioni, insieme a svariate altre, che possono portare a effetti dirompenti in molti processi, facendo dichiarare l’imputato assolto per non averne potuto dimostrare l’effettiva colpevolezza. Specie quando questo succede in un procedimento in cui gli animali sono stati sequestrati e affidati a terzi in attesa del processo, come accade per i cuccioli messi sotto sequestro durante indagini per traffici illeciti: una realtà che può portare alla restituzione degli animali all’indagato, che si precipiterà dai custodi chiedendogli soldi, molti soldi, in cambio dei cani che gli dovrebbero essere restituiti proprio dalle persone che li hanno accuditi per anni. Uno scenario che raramente viene fatto presente al momento dell’affidamento giudiziario in modo chiaro e che può trasformare in un incubo per quanti hanno cercato di avere un cane di razza gratis, con la giustificazione di compiere una buona azione. A ogni sequestro di cuccioli i centralini delle forze di Polizia che hanno operato vengono intasati dalle telefonate di centinaia, quando non migliaia, di persone che li vogliono adottare, scoprendosi improvvisamente desiderosi di avere un cane, ma solo se sembra di razza e non c'è da pagare.

Ma non è solo il mancato rispetto delle formalità e delle garanzie difensive che può portare a un’assoluzione, ma anche una insufficiente giustificazione delle motivazioni che hanno portato a identificare in un comportamento la commissione di un reato come il maltrattamento di animali. Qualcuno pensa che possa bastare dire che "Tizio sia responsabile di maltrattamento in quanto teneva il suo cane in condizioni igieniche e di spazio tali da causargli sofferenza", ma nella realtà giudiziaria questa semplice dichiarazione non sarebbe sufficiente per dimostrare la colpevolezza dell’indagato.

Occorre dettagliare le motivazioni negli atti, con precise descrizioni dei luoghi, rilievi e misurazioni, condizioni ambientali accertate (temperatura, illuminazione, areazione), dimensioni e descrizione degli spazi utilizzabili dagli animali, presenza di condizioni avverse e di tutte le situazioni che possano essere ascritte alla responsabilità dell’indagato e che siano documentate come causa di sofferenza agli animali. Il maltrattamento deve essere descritto, motivato, dimostrato anche da rilievi fotografici e video, indispensabili se realizzati in modo da essere qualificati come atti irripetibili, per poter andare nel fascicolo che arriverà sul tavolo del giudice, senza necessità che vi sia accordo fra accusa e difesa sull’utilizzabilità delle prove.

Per queste ragioni è molto importante che chiunque abbia come compito quello di reprimere il maltrattamento di animali sia correttamente preparato per farlo, proprio per non aprire varchi che possano far rimanere impuniti e senza conseguenze atti gravi commessi a danno di animali. Ben vengano quindi tutte le attività formative sulla persecuzione di questi crimini, spesso messe in atto da varie realtà professionali, che possano portare a una sempre maggior conoscenza degli strumenti utili a contenere reati ancora troppo poco perseguiti, in grado di generare molta sofferenza agli animali e, per contro, ingenti profitti illeciti ai responsabili.

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Ermanno Giudici
Esperto in diritti degli animali
Mi occupo di animali da sempre, ricoprendo per oltre trent’anni diversi ruoli direttivi in ENPA a livello locale e nazionale, conducendo e collaborando a importanti indagini. Autore, formatore per le Forze di Polizia sui temi dei diritti degli animali e sulla normativa che li tutela, collaboro con giornali, televisioni e organizzazioni anche internazionali.
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