Le vaste savane africane costituiscono quasi la metà del continente e rappresentano un habitat cruciale per molte specie, tra cui l'elefante africano (Loxodonta africana) a rischio di estinzione. Questa situazione ha spinto l'implementazione di misure di conservazione mirate e un recente studio, pubblicato su Science Advances, ha fornito risultati promettenti riguardo all'efficacia di tali misure nella regione dell'Africa meridionale. Sembra, infatti, che gli sforzi dedicati alla conservazione siano riusciti a fermare il declino della popolazione di elefanti africani in quest'area specifica.
Le savane africane coprono 13,5 milioni di km2, di cui il 10% è protetto e 2,2 milioni di km2 (16%) sostengono gli elefanti africani a livello globale. C'è da dire, però, che questi territori ospitano anche mezzo miliardo di persone, il che comporta un alto rischio di conflitti tra attività umane e fauna selvatica. La domanda, quindi, sorge spontanea: in che modo possono essere protetti gli elefanti? La chiave per garantire la loro sopravvivenza a lungo termine, secondo questo recente studio, risiede nella creazione di aree protette interconnesse.
Per giungere a questa conclusione, un gruppo di ricercatori ha condotto un'analisi dettagliata calcolando i tassi di crescita di oltre 100 popolazioni di elefanti nell'Africa meridionale nel periodo compreso tra il 1995 e il 2020, che rappresentano circa il 70% della totalità degli elefanti africani. Nel compresso, i risultati della ricerca offrono una prospettiva abbastanza positiva. I dati indicano che attualmente il numero di individui è lo stesso di 25 anni fa. Si tratta di una piccola, ma grande vittoria per la conservazione, tenendo conto che attualmente vi è un elevato declino della biodiversità a causa delle attività umane.
Tuttavia, la situazione non è uniforme in ogni regione studiata. Alcune aree, come la Tanzania meridionale, lo Zambia orientale e lo Zimbabwe settentrionale, hanno registrato un forte calo delle popolazioni di elefanti a causa soprattutto del bracconaggio per l'avorio. Al contrario, quelle presenti in altre regioni, come il nord del Botswana, sono per fortuna in forte espansione.
Per avere quindi un quadro più chiaro della situazione, i ricercatori hanno esaminato le caratteristiche delle popolazioni locali per identificare i fattori che le rendono stabili, ovvero né in crescita né in declino. Il team ha determinato che tali popolazioni vivono in vaste aree centrali caratterizzate da elevati livelli di protezione e minimo impatto umano, circondate da "zone cuscinetto" in cui sono invece permesse alcune attività sostenibili, come agricoltura e la silvicoltura.
La caratteristica distintiva di queste zone centrali, inoltre, è la loro connessione con altri parchi, condizione che premette alle mandrie di muoversi in modo sicuro. Hanno scoperto, così, che ciò che rende stabili le popolazioni degli elefanti sono questi corridoi ecologici che permettono loro di spostarsi. «I cuscinetti accolgono gli elefanti quando la popolazione centrale diventa troppo numerosa, ma forniscono anche vie di fuga quando i pachidermi affrontano cattive condizioni ambientali o altre minacce, come il bracconaggio», spiegano i ricercatori.
In conclusione, per preservare questi magnifici mammiferi è necessario creare connessioni tra le diverse zone che abitano. Questo approccio favorisce l'instaurarsi di un equilibrio naturale, riducendo al minimo gli sforzi di conservazione. Le popolazioni che dispongono di più opzioni per spostarsi, infatti, risultano essere più robuste e stabili, una considerazione cruciale date le incertezze legate anche agli effetti dei cambiamenti climatici. «L'invito a collegare i parchi non è una novità, molte voci si sono levate in tal senso», ha dichiarato Huang. «Tuttavia, sorprendentemente, finora sono state pubblicate poche prove concrete dell'efficacia di questa azione. Questo studio contribuisce a quantificare il motivo per cui questa pratica risulta essere così essenziale».