video suggerito
video suggerito
26 Agosto 2024
14:40

Per la morte di Simona Cavallaro solo i cani hanno avuto l’ergastolo. Il padre: «Non c’è giustizia»

A tre anni dalla morte di Simona Cavallaro, la famiglia sente di non aver avuto giustizia: a pagare con l'ergastolo sono stati solo i cani, mentre il pastore ha ricevuto una pena di soli tre anni.

98 condivisioni
cani satriano
I cani di Satriano

«Il dolore per Simona è sempre presente. Oggi sono tre anni che non è più tra noi. Il destino e la superficialità di alcune persone ha privato tutti noi della gioia di averla vicino». Sono le dure parole di Alfio Cavallaro nel terzo anniversario della morte della figlia.

Era il 26 agosto 2021 quando la ventenne Simona Cavallaro è stata ferita e uccisa da un gruppo di cani da pastore all'interno della Pineta di Satriano, in provincia di Catanzaro. La giovane si era recata lì insieme a un coetaneo per effettuare un breve sopralluogo in vista di un pic-nic da organizzare con tutto il gruppo di amici per la domenica successiva. La gita però non ha mai avuto luogo: Simona è morta quel giorno, quando è uscita dalla piccola chiesetta in legno nella quale si era rifugiata.

Non aveva paura del gregge che abitualmente attraversava quell'area pic-nic, né dei cani che sono sopraggiunti poco dopo. Il pastore responsabile del gregge è sopraggiunto solo molte ore più tardi, quando ormai per Simona non c'era più nulla da fare.

L'uomo, all'epoca 46enne, è Pietro Rossomanno, giudicato colpevole di omicidio colposo e condannato a una pena di soli tre anni al termine del processo con rito abbreviato che si è concluso il 27 giugno 2023. La pena chiesta dalla pm di Catanzaro, Irene Crea, era di 15 anni ma il gip ha convertito il capo d'accusa da omicidio volontario con dolo eventuale in omicidio colposo. Un cambiamento che, insieme al rito abbreviato, è valso a Rossomanno un sostanzioso sconto di pena.

L'epilogo processuale ha acutizzato il dolore dei familiari della giovane, come si evince chiaramente dalle parole del padre che condivide ancora una volta con Kodami il suo stato d'animo: «Le persone responsabili della sua morte vivono tranquillamente e felici la loro vita insieme alla loro famiglia e i propri figli, dimenticando il dolore che hanno causato a tutti noi. Neanche la giustizia ha allevato il nostro dolore. Ma alla giustizia divina non si potranno sottrarre».

Alfio Cavallaro ha costruito a pochi passi dalla sua abitazione, nel Comune di Soverato, il "Parco Simona Cavallaro" un luogo di memoria dedicato ai bambini della cittadina calabrese, perché, come ha spiegato alle telecamere di Kodami nel corso di una intensa video intervista: «Simona io me la immagino sempre piccola».

Video thumbnail

La storia di Simona Cavallaro in questi anni è diventata la fotografia del fallimento delle istituzioni nella gestione degli animali del territorio. Durante il processo è stato infatti accertato che Rossomanno aveva edificato l'abitazione che condivideva sulla madre su di un terreno demaniale del Comune di Satriano e la stessa area pic-nic in cui si trovava il suo gregge non era privata ma pubblica. A ciò, si aggiunge che il pastore non aveva mai registrato 12 dei 13 cani coinvolti nella morte di Simona, ad eccezione di una femmina adulta di nome Bianca. Tutti gli altri gli sono stati intestati a lui dagli operatori dell'Asl veterinaria solo dopo quel 26 agosto, a seguito della cattura dei cani, operazione alla quale ha partecipato lo stesso Rossomanno.

Proprio in ragione di questi fatti, la madre e la sorella della ventenne hanno presentato un esposto contro l'Asp di Catanzaro e il Comune di Satriano, come spiegato dall'avvocata Valentina De Pasquale che sta seguendo il caso: «Crediamo che oltre al pastore ci siano altre responsabilità. È stato consentito che questo avvenisse da chi sul territorio aveva un obbligo di vigilanza, sia per quanto riguarda il territorio, sia per la gestione degli animali. Doveva esserci una vigilanza più accurata che però non c'è stata».

Sfruttando la mai accertata proprietà sui cani, Rossomanno ha disconosciuto ogni responsabilità sugli animali una volta compreso che questa andava di pari passo con la responsabilità dell'omicidio. Per la legge italiana infatti i cani sono res, e come tali possono essere comprati e venduti. Ma si tratta comunque di "oggetti particolari" perché per la legge non possono non avere un "proprietario": i cani appartengano a chi li alleva, a chi li acquista, a chi li adotta e se si tratta di randagi sono del Sindaco del Comune in cui vengono accapalappiati, sia nel caso in cui vengano successivamente reimmessi sul territorio o che finiscano in canile.

A fare eccezione, a Satriano come nel resto d'Italia, sono i cani padronali impiegati nel mondo agricolo. In molti casi si tratta di cani da pastore o da guardiania lasciati nelle campagne dove nascono, lavorano e si riproducono spesso senza controllo. Questi non vengono mai intestati né ai chi li impiega né ai Primi cittadini. Si tratta di fantasmi delle campagne che pur svolgendo un ruolo essenziale in molti casi si trovano privati di ogni diritto, alla stregua di veri e propri attrezzi da lavoro. La registrazione in banca dati e il microchip servono proprio per tracciarne l'esistenza e dissuadere così le persone dall'abbandonarli o ucciderli quando non li considerano più utili.

Come attrezzi abbandonati sono anche i cani di Satriano. Per loro nessun percorso di recupero e nessuna redenzione, solo l'ergastolo a vita all'interno del canile Pet Service di Torre Melissa, in provincia di Crotone. Qui vengono mantenuti dal Comune di Satriano che si è assunto la responsabilità economica davanti al rifiuto di Rossomanno.

Si è creato così un cortocircuito per cui da una parte il Comune, nella speranza di rifarsi economicamente sul pastore, rifiuta di dare in affidamento i cani alle associazioni che in questi anni ne hanno fatto richiesta. Dall'altra Rossomanno nega con gli animali qualsiasi legame.

Un paradosso che neanche il termine del processo è riuscito a sciogliere. Nonostante gli animali non siano mai stati sotto sequestro, come svelato dalla prima videoinchiesta di Kodami sul caso, non sono mai usciti dalle maglie della Giustizia.

Video thumbnail
Giornalista per formazione e attivista per indole. Lavoro da sempre nella comunicazione digitale con incursioni nel mondo della carta stampata, dove mi sono occupata regolarmente di salute ambientale e innovazione. Leggo molto, possibilmente all’aria aperta, e appena posso mi cimento in percorsi di trekking nella natura. Nella filosofia di Kodami ho ritrovato i miei valori e un approccio consapevole ma agile ai problemi del mondo.
Sfondo autopromo
Segui Kodami sui canali social