«Sul corpo di Andrea Papi sono state rilevate lesioni identificabili come da penetrazione di una coppia di canini caratterizzata da una distanza tipica dei canini di un orso maschio adulto». Questo è quanto viene descritto nella perizia autoptica condotta sul corpo del giovane da parte dei medici veterinari forensi Roberto Scarcella e Cristina Marchetti, della Società Italiana delle Scienze Forensi Veterinarie, di cui fanno parte esperti in grado di supportare la magistratura nelle indagini sui reati contro gli animali e che ha come obiettivo anche di contribuire a un’evoluzione nella concezione stessa dei diritti animali.
Secondo la perizia, svolta su incarico della LeAl Odv, non può essere stata JJ4, la femmina di 17 anni ritenuta responsabile e ad ora incarcerata al Casteller, ad uccidere il runner nei boschi di Caldes, in Val di Sole, lo scorso 5 aprile.
L'identità dell'orsa era emersa però in seguito a una perizia genetica eseguita nei laboratori indipendenti della Fondazione Edmund Mach, che aveva individuato tracce del dna di Gaia (altro nome di JJ4) sul corpo del giovane.
La notizia dell'analisi svolta dai veterinari forensi è stata diffusa dall'avvocato dell'organizzazione LeAl odv, Aurora Loprete, attraverso i suoi canali social. «JJ4 potrebbe essere passata in seguito all'uccisione del ragazzo e aver toccato il suo corpo già privo di vita – commenta Loprete a Kodami – Così facendo potrebbe aver lasciato tracce del suo dna quando era già morto».
La fondazione Mach sul corpo di Papi non ha però indicato di aver trovato alcuna traccia di materiale genetico appartenente ad altri orsi.
Il responso di questa analisi, quindi, aggiunge un nuovo tassello ad una vicenda molto complessa. Loprete è convinta che questo parere possa aiutare ad avvicinarsi alla verità su quanto accaduto lo scorso 5 aprile. «La giustizia per l'orsa, per il giovane Papi e per la sua famiglia si può ottenere solo di fronte a un quadro giuridico completo che dia risposte chiare, mentre quanto proposto dalla Provincia Autonoma di Trento manca di una dinamica e di una descrizione dimostrabile».
Il presidente della Società Italiana delle Scienze Forensi Veterinarie, Orlando Paciello, aveva dichiarato a sua volta di considerare insufficienti le analisi svolte dalla Provincia Autonoma, in una lettera aperta inviata al Presidente della Pat, Maurizio Fugatti, al Ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin e al Ministro della Salute, Orazio Schillaci oltre che alla Presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente, l’onorevole Michela Vittoria Brambilla.
«Nostro malgrado, dobbiamo constatare che, nonostante il notevole progresso della scienza e della formazione nel campo della medicina veterinaria forense, non è stata adottata nessuna specifica azione, né tantomeno alcun coinvolgimento professionale atti a ricostruire la dinamica dei fatti e ad ottenere degli elementi di prova consistenti per l’emanazione di qualsiasi tipo di giudizio», scriveva Paciello nella missiva.
Parole che seguivano un'altra presa di posizione determinante in questa vicenda, ovvero quella dell'Ordine dei Veterinari di Trento, i quali, negli stessi giorni, avevano chiarito che nessun medico sul territorio avrebbe praticato l'eutanasia su JJ4 perché: «Lo stato di salute dell'esemplare non giustifica l'intervento eutanasico nell'urgenza, così come prospettato, ma richiede una analisi complessiva della gestione dei plantigradi sul territorio provinciale».
La decisione della Provincia Autonoma di intervenire con l'abbattimento dell'orsa, era stata definita fin da subito come irrazionale anche da Paciello che, nella missiva aggiungeva: «Preme ricordare in questo contesto che la vita degli animali, ivi compresa l’orsa JJ4, è tutelata in primis dalla nostra Costituzione, nonché da norme nazionali ed internazionali».
La speranza di LeAl è che JJ4 possa ora tornare in libertà, ma il destino dell'orsa è senza dubbio complesso e non ruota solo sull'analisi condotta dall'Associazione dei Veterinari Forensi. La liberazione di un orso che ha già trascorso più di un mese all'interno di un recinto, a stretto contatto con l'uomo, infatti, è un'opzione estremamente complessa, come sottolineava in un'intervista a Kodami anche Andrea Mustoni, coordinatore Tecnico del progetto Life Ursus: «Ormai è stata catturata e l'ipotesi di una sua liberazione si trasforma ogni giorno di più in un'utopia».