Qualche mese fa un team di ricercatori aveva scoperto dopo migliaia di ore di osservazioni che il predatore più temuto dell'Africa è l'uomo. Mentre però gli esperti continuano a dibattere sui risultati di questo studio, una nuova ricerca sembra avervi tratto ispirazione, chiarendo in modo incontrovertibile come anche la fauna del Nord America tema più di tante altre minacce la nostra specie, visto che rappresentiamo un pericolo su molti livelli per la sopravvivenza e la salute di molteplici animali.
Andando ad analizzare il contenuto di oltre 600.000 registrazioni, effettuate in 94 centri di riabilitazione della fauna selvatica, una biologa ha compreso le dimensioni del nostro impatto sulle specie selvatiche, sempre più vittime di incidenti con gli umani e di frequenti casi di avvelenamento da piombo. La maggioranza infatti degli incontri ravvicinati che avvengono tra persone ed animali selvatici in Nord America si concludono con delle esperienze spiacevoli che stanno portando varie specie, tra cui anche i predatori, a temere la nostra vicinanza oltre che la nostra presenza.
L'autrice principale di questa scoperta è Tara Miller, oggi impiegata presso la Boston University, che insieme al suo team ha anche pubblicato un articolo su Biological Conservation in cui ha riassunto i dati ottenuti con l'estenuante osservazione. Tra le tante specie che la Miller ha osservato ed analizzato per studiare l'impatto della pressione antropica sulla fauna selvatica c'erano anche diversi rapaci e rettili notoriamente considerati sfuggenti dalle masse che invece risultano fra le principali vittime della nostra specie. Tra queste gli autori dell'articolo sottolineano l'aquila calva, le tartarughe marine e i grandi pipistrelli marroni.
Sono infatti tantissimi gli organismi a finire feriti nei centri di recupero per colpa della nostra specie, chiariscono i ricercatori, che hanno inoltre dimostrato come la presenza di numerosi animali nei centri di recupero è legata ad alcuni eventi meteorologici estremi che sono a loro volta legati al nostro cattivo comportamento e ai cambiamenti climatici. «Molto di ciò che abbiamo scoperto nella ricerca non scioccherà nessuno, ma vorrei poter dire alla gente che gli incidenti stanno accadendo in tutto il paese e in Canada – ha affermato Miller – Penso che questo sia stato l'aspetto più interessante del lavoro che siamo riusciti a svolgere con questo enorme set di dati: mettere insieme ciò che i biologi della conservazione di tutto il paese stanno vedendo, osservando le tendenze per il quadro generale dell’impatto degli esseri umani sulla fauna selvatica».
Tra le ragioni che portano gli animali ad entrare nei centri di recupero circa il 40% dei casi include incidenti automobilistici o con oggetti domestici, oltre alle collisioni su edifici e la pesca. I ricercatori hanno anche scoperto come gli scontri tra veicoli siano più impattanti sulla salute delle specie selvatiche a partire dall'inizio di maggio e la fine di luglio e che inoltre colpiscono in particolare i rettili striscianti. I casi di avvelenamento sono invece più comuni in primavera, estate e inizio autunno, a causa del maggiore utilizzo dei pesticidi in agricoltura. Insieme ai frequenti incidenti di caccia, quest'ultimi poi rappresentano buona parte del restante 60% delle diagnosi accertate dai veterinari. Non tutte le notizie però sembrano negative.
Circa un terzo degli animali portati nei centri di riabilitazione della fauna selvatica vengono infatti rimessi in libertà dopo alcune settimane di permanenza, un dato che per quanto possa sembrare sconfortate (più della metà degli esemplari alal fine muore o rimane per sempre all'interno nei centri), porta gli scienziati a essere speranzosi e fiduciosi per il futuro.
Il team di ricerca ovviamente infatti spera che quest'analisi possa essere utile in futuro agli stessi centri di riabilitazione della fauna, poiché dimostra quanto risultano utili e svolgono un lavoro importante per l'intera collettività. Nel caso in cui dunque dovessero chiedere maggiori sovvenzioni e finanziamenti ai governi, il team consiglia di inserire il loro lavoro all'interno dei fascicoli contenenti le richieste, così da chiarire ai politici e ai vari enti quali possono essere gli orizzonti a cui un centro di recupero può raggiungere. «Quando sono in piena fase lavorativa, i centri di riabilitazione più grossi salvano centinaia di animali ogni settimana, dunque riportare il loro valore e quanti fondi queste strutture spendono può divenire uno strumento molto efficace per convincere i finanziatori», concludono gli scienziati, pronti ora a proporre delle possibili soluzioni per limitare il numero di incidenti e di avvelenamenti a cui vengono sottoposti gli animali selvatici nordamericani.