Meta, Twitter, TikTok e YouTube sono avvisati. La nuova modifica della legge inglese sulla sicurezza online promossa dal governo di Rishi Sunak è chiara. Le aziende proprietarie dei principali social network devono, entro poche settimane, rimuovere o rendere inaccessibili ai loro utenti tutti i contenuti che contengono crudeltà nei confronti degli animali, oppure rischiano di ricevere multe salate fino a 18 milioni di sterline (il 10% delle loro entrate annuali). Uniche eccezioni, i documentari e i video di denuncia nei confronti dei maltrattamenti e degli allevamenti intensivi. Sono stati gli stessi ministri inglesi ad annunciare la notizia in prima serata sulla BBC.
Tutto ha avuto inizio quando proprio l'emittente televisiva britannica trasmise lo scorso giugno una serie di servizi, riuniti sotto una serie di documentari dal titolo "Monkey Haters", che avevano proprio lo scopo di dimostrare come esistesse un commercio internazionale di video aventi come focus le torture praticate sugli animali. Anche noi di Kodami abbiamo parlato diverse volte di questo fenomeno, che riesce sfortunatamente ad attirare sempre più persone, grazie ad una distribuzione molto capillare sui social e app di messaggistica instantanea.
Secondo il nuovo disegno di legge, il parlamento britannico desidera ora equiparare il reato di vendita e distribuzione illegale di questi video ai reati connessi al revenge porn, agli abusi sessuali e alle minacce di morte. Intende, si intende così anche contrastare il mercato illegale di piccole scimmie dall'Indonesia verso l'Europa e gli Stati Uniti. Proprio per raggiungere questo obiettivo, gli investigatori inglesi hanno intercettato diverse chat su Telegram in cui centinaia di persone raccoglievano fondi per commissionare e organizzare delle challange, tra cui torture proprio ai danni di piccoli primati e altri mammiferi.
Poco prima che l'indagine venisse svelata dalla BBC, negli Stati Uniti un ex membro dell'aeronautica militare era stato accusato di essere stato uno dei principali organizzatori del traffico di questi video, e altre 20 persone sono state indagate per aver tentato di comprare scimmie da un venditore ora arrestato in Indonesia, che aveva diversi canali YouTube, prontamente rimossi poi dalla piattaforma.
Proprio sulla questione, l'azienda – di proprietà di Google – ha dichiarato che sui loro canali non c'è alcun posto per i trafficanti di animali e che continueranno a migliorare gli algoritmi affinché riescano a individuare a monte coloro che si divertono a pubblicare video di tortura sugli animali. Telegram ha invece affermato che i suoi moderatori non possono controllare in modo intensivo i gruppi privati connessi a questa forma di commercio illegale, ma ha deciso che si sforzerà comunque per contrastare il fenomeno della vendita illegale degli animali selvatici.
David Bowles della Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, un ente di beneficenza che opera in Inghilterra e in Galles, ha accolto favorevolmente l'emendamento e spera che venga messo in atto da subito. Negli ultimi anni, infatti, la sua associazione è stata testimone di tantissimi casi di violenza sui primati, ma non solo. Nell'Europa dell'Est sono infatti tantissimi i trafficanti che cercano di vendere anche altre specie animali esotiche animali, come felini, orsi e serpenti, attraverso anche video promozionali. «È profondamente inquietante e scoraggiante quanto stiano diventando diffusi i contenuti e le immagini di abusi sugli animali nei social», ha affermato.
Nicola O'Brien, coordinatore capo della Social Media Animal Cruelty Coalition (SMACC) ha invece chiarito che la legge proposta dovrebbe porre ancora una maggiore attenzione sulle gestione delle piattaforme, più che sui trafficanti, affinché i CEO di tali aziende si assumano finalmente le proprie responsabilità. Gran parte degli animali torturati in questi video sono stati infatti venduti pubblicamente con dei post o dei messaggi nelle storie.
Da parte loro però le aziende (come WhatsApp, Signal e iMessage) si sono dichiarate non colpevoli e contrarie a queste disposizioni. E hanno anche affermato di non poter accedere o visualizzare i messaggi di nessun utente senza violare le tutele esistenti sulla privacy. Quindi hanno anche minacciato di lasciare il Regno Unito, piuttosto che mettere a rischio il diritto alla privacy dei loro iscritti.
Questa risposta non ha fatto però altro che convincere ulteriormente il governo britannico e i diversi ambientalisti inglesi della bontà della legge. «Non hanno proprio idea dei danni che stanno provocando – ha commentato Bowles – Non si accorgono di stare violando tutti i diritti acquisiti di questi animali e di non fare nulla affinché le loro piattaforme non diventino un contenitore di materiale gore» .
Il Regno Unito non è d'altronde l'unica realtà che si sta muovendo verso questa direzione. Anche l'Unione Europea sta cominciando infatti a riflettere su come impedire la condivisione di molti video violenti sui social. Inoltre, solo poche settimane fa è entrato in servizio il Digital Service Act, che prevede una stretta su tutta la rete relativa alla pubblicazione di contenuti illegali, di pubblicità ingannevoli e di fake news.