Sono passati nove mesi da quanto Pasqualino è arrivato a San Romolo. Un viaggio di 1400 chilometri per ritrovare la libertà perduta: da un box del canile romano di Muratella ai prati dell'Armata dei randagi, l'oasi canina di Stefano Di Caprio nell'entroterra della Liguria.
Pasqualino era un cane selvatico che viveva per strada senza dare fastidio a nessuno, finché un giorno una signora ha deciso di segnalarlo alle autorità e farlo diventare, di conseguenza, un prigioniero del canile. Ma l'intesa di un gruppo di amici e colleghi ha trovato la chiave per liberarlo: il viaggio verso Stefano.
L'oasi canina per semi-selvatici gestita da Stefano nasce dall’idea di creare i presupposti per l’adozione di quei cani che altrimenti non avrebbero alcuna possibilità. Quelli che hanno sviluppato una diffidenza più o meno marcata nei confronti dell’uomo. C'è un ideale alla base: dando una possibilità al cane di esprimere le sue potenzialità in un branco già strutturato l'animale può tornare ad avere un equilibrio e quindi a trovare eventualmente un'adozione stabile. All' "Armata" i cani hanno modo di apprendere le dinamiche sociali che spesso gli mancano a causa spesso di interventi umani su soggetti che vivevano benissimo a distanza dall'uomo.
I cani da Stefano, così, riescono ad esprimersi, a far emergere il loro carattere e l’apprendimento delle dinamiche di base del branco sviluppa le potenzialità dei singoli individui. E questo è il punto cardine del rifugio, del resto: dare una possibilità.
Kodami lo scorso luglio ha seguito il lungo viaggio di Pasqualino e quando siamo andati a trovarlo all'Armata dei randagi si nascondeva ancora dietro ai cespugli. Non comunicava né con gli umani né con i suoi conspecifici. Pochi mesi dopo, quando l'inverno ha fatto il suo ingresso ai piedi del monte Bignone e Pasqualino, oggi ribattezzato Theodore, si è riscoperto cane libero. E Stefano oggi ci racconta la sua nuova vita insieme al branco dell'Armata.
Stefano, come sta oggi Theodore?
«Molto bene direi, si mescola con tutti i cani presenti senza problemi di sorta. Credo stia legando particolarmente con 243 (il primo cane arrivato all'Armata, ndr) e, ovviamente, la cosa mi fa particolarmente felice. Theodore è quello che un mio amico chiama "un cane dei cani": sta bene in mezzo ai suoi simili».
Ci sono stati dei momenti di abbattimento?
«No, solo noi umani possiamo non farcela. Theodore è un cane splendido con una capacità comunicativa incredibile. È un ottimo guardiano e ha pure una personalità molto importante. Sapevo benissimo chi stavo adottando e sono molto felice sia del cane che è diventato oggi che di com'era quando è arrivato. Il fatto che non si venda per una coccola o un biscottino sono per me ormai quasi dei dogmi per i cani che vorrei avere».
Che cane è oggi Theodore?
«È quello che dovrebbe essere: un cane splendido nel suo essere tale. Non vuole contatto fisico anche se mi cammina affianco o se mi annusa un dito. Si rotola nelle foglie, abbaia ai ciclisti, fa giochi e attività con gli altri cani. Insomma finalmente fa il cane. La cosa molto bella, data anche dal fatto che Unabomber è una roccia, è come sta cercando di inserirsi nelle dinamiche di questo grosso nucleo formato da altri 13 cani e qualche umano».
Come è avvenuto l'inserimento?
«Secondo una mia teoria, quindi prendetela come tale, proprio perché Theodore è un "cane dei cani", deve entrare in determinate dinamiche anche se non vorrebbe. Credo fortemente che il "ragazzo" abbia la voglia e le competenze per diventare un cardine di questo progetto quindi, come i più alti in rango che sono qui, vorrebbe entrare in casa per il momento finale della giornata. La morale? 45 kg di Maremmano che grattano la porta ma come ti avvicini se ne va. Se gli lascio la porta aperta, a volte si sdraia un pò con noi ma di chiuderla non se ne parla».
Cosa rappresenta la sua storia per l'Armata?
«Unabomber rappresenta il futuro dell'Armata e i cani lo sanno. Tutti cercano di trasmettergli qualcosa. Ad esempio, quando entra in sala c'è sempre qualche cane che si sdraia tra dove sta lui e il divano dei cani. Quando sia avvicina nella zona dove viviamo, in casa, è sempre molto pacato e calmo: sembra davvero valutare ogni volta quello che fa, cosa che troppo spesso non succede coi pet».
È un cane fortunato Pasqualino?
«C'è chi lo vede come un poverino perché pensa guardandolo “ chissà cosa gli è successo" e questo perché non si fa accarezzare, e dunque le persone possono pensare che per lui serva solo il calore di un divano e l'amore umano. C'è chi invece vede un individuo cristallino, che non si venderebbe per nulla, che sopra ogni cosa mette il suo branco, che è grato per quello che gli è stato fatto anche se non manipolabile e che ogni giorno dà qualcosa in più di se stesso e chissà quali meraviglie ancora rivelerà in futuro».