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6 Aprile 2021
8:54

Parole, parole, parole: siamo sicuri che gli animali non le usino?

Molte specie animali, tra cui primati, roditori, cani e uccelli, comunicano usando suoni simbolici, che forse non sono molto lontani dalle nostre parole.

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Aristotele non ne era molto convinto, e sosteneva che l’uomo fosse l’unico animale ad avere la favella; salvo poi ammettere che, in effetti, alcune specie di uccelli producono suoni articolati simili ai nostri. Molto tempo dopo è arrivato Karl von Frisch (1886–1982) e ci ha mostrato che, attraverso una coreografica danza, fatta di ancheggiamenti e sonori batter d’ali, le api esploratrici comunicano alle compagne la presenza nell’ambiente di una fonte di cibo, solitamente nettare e polline, e persino la sua localizzazione e la distanza dall’alveare. I bambini di ieri e di oggi lo sanno, se in TV hanno visto qualche episodio de "L’Ape Maia". Grazie a queste scoperte strabilianti, nel 1973, von Frisch riceve il premio Nobel, insieme a Konrad Lorenz e Nikolaas Tinbergen.
E proprio a cavallo tra gli anni ‘70 e ’80 del secolo scorso, gli studi sul linguaggio degli animali impazzano letteralmente. Ad alcune specie gli scienziati tentano persino di insegnare a comprendere la lingua umana: alle scimmie antropomorfe, ad esempio, e agli uccelli, come i pappagalli e i merli indiani, i quali, oltre a capire le parole, sarebbero anche in grado di pronunciarle.

La comunicazione funzionalmente referenziale negli animali non umani

Qualcuno ricorderà il bonobo Kanzi, che aveva appreso spontaneamente molte parole, raggiungendo il livello linguistico di un bambino di 2-2,5 anni in termini di produzione e capacità di comprensione delle parole. E poi Alex, il pappagallo cenerino che fu addestrato dalla scienziata statunitense Irene Pepperberg a nominare referenzialmente più di trenta oggetti, come uva, sedia e chiavi, sette colori, tra cui l'azzurro, il giallo e il viola, e cinque forme geometriche.

Attraverso la comunicazione funzionalmente referenziale, gli animali non umani inviano ad altri individui informazioni relative a eventi o oggetti esterni, come la presenza di cibo o di predatori. Ogni segnale vocale funzionalmente referenziale scatena una specifica risposta comportamentale nei destinatari del messaggio, coerente con lo stimolo segnalato. Nel caso dei richiami di cibo, che sono stati descritti per molti primati e uccelli, i conspecifici sono solitamente attratti verso il luogo in cui si sta alimentando l’individuo chiamante.

Quando i corvi indicano il cibo

A un orecchio etologicamente molto sensibile, un giorno, potrebbe capitare di udire un grido che rompe il silenzio e suona un po’ come un lungo ‘haaaaa!'. Con tutta probabilità, lì da qualche parte c’è un giovane corvo (Corvus frugilegus) non riproduttore che sta reclutando altri compagni in corrispondenza di una fonte di cibo presidiata da qualche individuo poco propenso alla condivisione. Potrebbe trattarsi di un conspecifico affamato o di un pericoloso predatore. Il grido "haaaaa!" è utilizzato come un segnale funzionalmente referenziale, dalla cui emissione traggono vantaggio sia il mittente che i riceventi. Questi ultimi, perché vengono a conoscenza della localizzazione di una nuova opportunità di alimentazione. Il giovane corvo, invece, perché, coalizzandosi con i conspecifici attratti dalle sue urla, ha più possibilità di riuscire a sottrarre le scorte alimentari a chi se n’è impossessato prima di lui, e ha tutta l’intenzione di volerle controllare.

Un suono diverso per ogni predatore: il caso dei cercopitechi verdi

I cercopitechi verdi (Chlorocebus pygerythrus) hanno un repertorio di circa trenta suoni, con i quali possono indicare, tra le altre cose, l'avvistamento di un predatore. Tre sono segnali d’allarme specifici, acusticamente e funzionalmente distinti, che le scimmie emettono per segnalare rispettivamente uno dei tre principali predatori naturali: il leopardo, l’aquila e il serpente. Si tratta proprio di segnali funzionalmente referenziali, che hanno un significato socialmente stabilito.

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Image by Christo Ras from Pixabay

Non sono suoni iconici, perché non imitano, per indicarlo, ciò a cui si riferiscono (ad esempio, il verso di un animale). Inoltre, come sottolinea il prof. Stefano Gensini, filosofo del linguaggio della Sapienza Università di Roma,

sono dotati di una componente simbolica, in quanto identificano un particolare tipo di predatore, e di una componente emotivo-motivazionale, in quanto segnalano il livello di pericolo e quindi l’urgenza di trovare riparo.

Questi richiami equivalgono alle nostre parole?

In effetti, questi richiami sembrano condividere con le parole un elemento fondamentale, il carattere referenziale appunto. Per quanto le loro proprietà semantiche abbiano poca somiglianza con le parole umane, la variazione acustica che li caratterizza, forse insieme ad altre informazioni legate allo specifico contesto, consente a chi ascolta questi segnali di selezionare le risposte appropriate.

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Certamente sono segnali acustici relativamente complessi, che formano un vero e proprio codice. E codificare un messaggio non verbale significa inviare informazioni a un altro individuo, il quale deve a sua volta essere in grado di decodificarlo, ossia di percepirlo e di interpretarlo. Si tratta, quindi, di sistemi comunicativi vocali sofisticati, che spesso sono associati a sistemi sociali altrettanto complessi, e, come al solito, ci ricordano che la nostra specie non è l’unica dotata di abilità cognitive avanzate.

Bibliografia

Marler P, et al. (1992). Animal signals: Motivational, referential, or both? In H. Papoušek, U. Jürgens, & M. Papoušek (Eds.), Studies in emotion and social interaction. Nonverbal vocal communication: Comparative and developmental approaches (p. 66–86). Cambridge University Press; Editions de la Maison des Sciences de l'Homme.

Heinrich B, Marzluff J. (1991). Do common ravens yell because they want to attract others? Behavioral Ecology and Sociobiology 28:13–21.

Bugnyar T, et al. (2001). Food calling in ravens: are yells referential signals? Animal Behaviour 61:949–958.

Nel 2003 mi laureo in Medicina Veterinaria. Dal 2008 sono ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano, dove insegno Etologia Veterinaria e Benessere Animale. Studio il comportamento degli animali e la relazione uomo-animale.
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