Sembra ufficiale, il nostro affollato Pianeta è entrato in antropausa. Con questa parola, che viene da anthropo- (umano), alcuni scienziati hanno recentemente definito su Nature Ecology & Evolution, una delle riviste scientifiche più autorevoli, la fase di mobilità umana insolitamente ridotta che stiamo attraversando.
Da mesi, infatti, il mondo intero è tenuto sotto scacco dall’epidemia di COVID-19, la più grande pandemia al mondo, e molti Paesi, a intervalli regolari e con intensità variabile, si fermano per tentare di controllarne la diffusione.
E’ vero che le città si sono popolate di animali?
Osservazioni per lo più aneddotiche suggeriscono che, quando le attività umane rallentano, le città si popolano di animali non umani. In questi mesi, su Facebook e Instagram si sono moltiplicate le immagini di animali urbani, come i cinghiali, i ratti, i gabbiani o le anatre, sorpresi a vagare per le vie centrali o a far banchetto con gli avanzi di merenda dimenticati da qualche bambino tra uno scivolo e un’altalena. Le cronache raccontano anche di incontri inaspettati con specie selvatiche: un puma a passeggio nel centro di Santiago, in Cile, delfini nel porto di Trieste, coppie di sciacalli nei giardini cittadini di Tel Aviv, in Israele, e così via.
Pur considerando che le fake news sono sempre in agguato, e alcune di queste immagini potrebbero essere fotomontaggi creati ad arte per attirare i tanto sospirati follower e like, sembrerebbe proprio che alcune specie animali stiano approfittando di questi momenti di maggior tranquillità per esplorare il territorio e, magari, assaggiare cibi nuovi e appetitosi.
Perché si sono avvistate più specie durante il lockdown
Il rallentamento delle attività antropiche riduce la pressione sugli altri animali per almeno due motivi: si rarefà la presenza delle persone, che dalle altre specie sono spesso viste come una minaccia, e l’inquinamento diminuisce.
Le acque, più pulite, più limpide e più silenziose, per via delle restrizioni sul traffico navale e della minor quantità di scarichi industriali, tornano a popolarsi di alghe, pesci, cigni e anatidi. Nel mese di aprile, la CNN ha riportato un raro avvistamento di esemplari di aquile di mare maculate, specie di razze esotiche, che fluttuavano placidamente lungo la costa degli Emirati; le tartarughe hanno ripreso a nidificare in Florida e un delfino di fiume, noto come Ganges Dolphin, pare abbia fatto ritorno a Calcutta, in India, dopo quasi tre decenni. Nello stesso periodo, l’Ocean Networks Canada, che gestisce alcuni osservatori marini cablati nelle coste occidentali e orientali del Canada e dell'Artico, ha registrato un calo significativo del suono a bassa frequenza normalmente associato alle navi e alle imbarcazioni da pesca a motore. Un messaggio, questo, che, per le balene e gli altri esseri viventi del mare, vale come può valere per me, cittadina metropolitana, il cartello: “benvenuta alle Maldive!”.
Nei periodi di limitazione della circolazione, la quiete urbana viene meno perturbata dai suoni provenienti dagli aerei, dai veicoli, dagli altoparlanti locali, o dai mercati affollati. E di questa diminuzione del rumore giovano gli uccelli e le farfalle, il cui numero aumenta, anche perché si riproducono di più. In India, si è osservato un cambiamento nel comportamento di alcune specie di uccelli migratori parziali, quelli, cioè, che si spostano a corto raggio. Le cicogne, gli aironi cenerini, le spatole e gli ibis, ad esempio, che generalmente ripartono per i loro viaggi entro marzo, quest’anno si sono soffermati più a lungo nelle riserve naturali.
Un bene per gli animali? Non necessariamente
Qualcuno si sorprenderà, però, nel sapere che non a tutti potrebbe andare bene.
Per alcune specie, infatti, la pandemia potrebbe essere portatrice di nuove, complesse sfide. Penso soprattutto agli animali urbani sempre più commensali, come i ratti, i gabbiani o, in alcuni Paesi, le scimmie. Il più facile accesso alla nicchia alimentare rappresentata dai nostri rifiuti potrebbe rendere questi animali talmente dipendenti dal cibo scartato, o fornito, dagli esseri umani, che il ritorno alla normalità, per loro, potrebbe essere troppo duro.
Inoltre, l'esercizio all'aperto, spesso consentito anche in periodo di restrizioni, porta le persone a riversarsi negli spazi verdi adiacenti alle aree metropolitane, dove esse potrebbero arrecare disturbo alla fauna selvatica residente.
Insomma, dalle limitazioni della circolazione e delle attività umane emergono due facce della medaglia per gli animali: alcune specie possono goderne, altre potrebbero invece pagare uno scotto rilevante in termini di capacità di sopravvivere.
Vale la pena riflettere profondamente sulle conseguenze che la pandemia di COVID-19 può avere, dunque, non solo sulla nostra salute, ma anche sull’equilibrio degli ecosistemi.
Bibliografia
Rutz, C., Loretto, MC., Bates, A.E. et al. COVID-19 lockdown allows researchers to quantify the effects of human activity on wildlife. Nat Ecol Evol 4, 1156–1159 (2020).
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CNN (2020). Rays, sharks, and dolphins enjoy new freedom as humans retreat from the oceans
The Guardian (2020). Silence is golden for whales as lockdown reduces ocean noise
Times of India. (2020c). Lockdown effect: Gangetic dolphins spotted at Kolkata ghats after 30 years!