Un team di ricercatori, mentre censiva i nidi dei rapaci in Alaska, ha trovato un orso nero americano (Ursus americanus), o baribal, che dormiva placidamente in un nido di aquila di mare testabianca (Haliaeetus leucocephalus). Per quanto possa sembrarci un'immagine tenera, potrebbe avere, però, un retroscena piuttosto oscuro.
Gli orsi neri, infatti, a volte fanno irruzione nei nidi delle aquile, sbarazzandosi dei giovani uccelli ancora incapaci di volare, cosa che può minacciare la popolazione locale di rapaci.
«Un orso nero che sonnecchia non è quello che ti aspetti di trovare in un nido di aquila di mare testabianca mentre conduci un'indagine sulla produttività dei nidi», si legge su Facebook dove la U.S. Fish and Wildlife Service (FWS) ha annunciato la notizia.
Ma il tono del post non era particolarmente sorpreso: era già noto, infatti, che gli orsi neri approfittino occasionalmente del lavoro architettonico delle aquile, invadendo i loro nidi e causando problemi agli uccelli e ai loro piccoli. «In passato, alcuni nidi di aquile sono stati saccheggiati da orsi neri con risultati prevedibilmente negativi per le aquile che nidificano, la perdita dei nidiacei di quell'anno», prosegue il post.
Stephen B. Lewis, biologo della fauna selvatica della FWS che ha condotto le indagini sui nidi nella base militare Joint Base Elmendorf-Richardson (JBER) nel sud dell'Alaska, ha dichiarato che gli orsi possono mangiare di tanto in tanto uova e nidiacei di aquile: «È difficile dire quanti orsi invadano i nidi delle aquile perché non abbiamo la possibilità di trascorrere così tanto tempo a monitorare i nidi per vederlo succedere o avere delle riprese come testimonianza», ha scritto in una mail a WordsSideKick.com.
Durante un'indagine condotta in elicottero a maggio, i ricercatori avevano individuato una femmina di aquila testabianca che incubava un uovo nel nido, successivamente occupato dall'orso addormentato. Una settimana dopo, l'uovo era stato lasciato fuori al freddo mentre sia l'aquila femmina che il suo compagno sono stati visti nelle vicinanze.
«Non è chiaro se il tentativo di nidificazione fosse fallito o se la femmina si stesse solo prendendo una pausa dall'incubazione», ha aggiunto Lewis, specificando, però, che i maschi di solito danno il cambio alle femmine per mantenere l'uovo alla giusta temperatura, specialmente in luoghi freddi come l'Alaska. Per questo motivo, Lewis sospetta che il tentativo di incubazione possa essere fallito già in primavera, molto prima che l'orso se ne appropriasse.
Le aquile di mare testabianca sono i più grandi rapaci residenti in Alaska e hanno un'apertura alare di circa 2,3 metri. Questi rapaci costruiscono i nidi più grandi di qualsiasi uccello nordamericano e alcuni di questi possono raggiungere i 2,4 m di diametro e pesare quasi due tonnellate.
Questi enormi nidi sono quindi abbastanza resistenti da diventare luoghi di riposo sicuri e confortevoli anche per gli orsi neri, che, invece, solitamente fanno dei giacigli su pendii molto ripidi dove altri animali non possono disturbarli. «Questo nido non è poi così lontano da un comune giaciglio di orso», ha continuato Lewis. «L'animale potrebbe essersi semplicemente arrampicato sull'albero e aver deciso di schiacciare un pisolino».
C’è poi un’altra possibilità: l’orso potrebbe essere stato attratto dall’odore di pesce che proveniva dal nido: questi, infatti, possono essere piuttosto maleodoranti, perché i pesci catturati dagli uccelli adulti per i loro piccoli a volte non vengono mangiati. «Spesso il cibo non viene consumato del tutto e finisce per essere schiacciato nel nido o abbandonato ai lati in stato di decomposizione», ha proseguito Lewis. «Gli orsi hanno un incredibile senso dell'olfatto, quindi forse [l’esemplare della foto] è stato attratto dall’odore del nido».
Le aquile testabianca hanno rischiato l’estinzione negli Stati Uniti nel 1920 e ora sono protette, dopo che, secondo l'Alaska Department of Fish and Game (ADFG), il loro numero è crollato a causa della distruzione dell'habitat, della caccia illegale, dei pesticidi e di casi di avvelenamento.
Le forti misure di tutela della specie hanno consentito alle popolazioni di riprendersi e, attraverso il monitoraggio, viene attualmente valutato l'impatto di altri disturbi umani, come il turismo e le fuoriuscite di petrolio.