Una lunghissima e allarmante serie di morie di massa tra le balene grigie nell'Oceano Pacifico nord-orientale potrebbe finalmente avere una spiegazione, grazie al lavoro di alcuni scienziati che sono riusciti a collegare questo drammatico fenomeno ai rapidi cambiamenti nella copertura di ghiaccio marino artico. Secondo infatti un nuovo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, questa lunga e apparentemente inspiegabile moria di massa cominciata addirittura negli anni 80 è strettamente collegata alla copertura del ghiaccio marino, che in alcuni anni riduce drasticamente la quantità di cibo disponibile per le balene.
A partire dalla fine degli anni 80 del secolo scorso, le balene grigie (Eschrichtius robustus) che vivono al largo delle coste del Nord America hanno subito una serie di morie di massa che hanno ridotto di volta in volta la popolazione con una percentuale che varia dal 15 a ben il 25%. In totale sono oltre 2.000 le balene grigie morte in almeno tre distinti eventi individuati dagli studiosi. Il primo di questi eventi ha avuto luogo tra il 1987 e il 1989 e fu il più grande in termini di grandezza, con almeno 700 balene trovate morte nell'arco di più o meno un anno.
Tuttavia, è stato solo a partire dagli anni 90 che si è cominciati a indagare sulle possibili spiegazioni dietro questo strano e triste fenomeno, il che significa che, secondo lo studio, il numero di spiaggiamenti associati a questo evento potrebbe essere anche sottostimato. Il secondo ebbe invece luogo tra il 1999 e il 2000, quando furono invece 651 i cetacei morti. La terza e ultima moria di massa è invece cominciata nel 2019, quando oltre 70 balene grigie furono trovate morte in appena sei mesi. Quest'ultimo evento è purtroppo ancora in corso e al momento, con i dati aggiornati al 26 settembre 2023, sono già morte in totale di 688 balene grigie.
Ciò che ha causato ciascuno di questi eventi non è mai stato del tutto chiaro e gli esperti sono sempre stati piuttosto sorpresi nell'osservare queste oscillazioni demografiche estreme che non ci si aspetterebbe accadere per una specie così grande e longeva come la balena grigia. La caccia commerciale durata fino alla metà del XX secolo aveva infatti portato la popolazione di balene grigie del Pacifico settentrionale fin quasi all'estinzione, tuttavia, cessata la caccia, i misticeti sono aumentati rapidamente con una popolazione che conta oggi circa 14.500 individui.
Anche in virtù di questa rapida ripresa, gli scienziati avevano inizialmente ipotizzato che dietro le morti in massa periodiche potesse esserci il numero eccessivamente alto dei cetacei, che superava quindi quello che l'habitat e le risorse disponibili erano in grado di supportare. In realtà ora sappiamo che il cambiamento delle condizioni e nella fluttuazione dei livelli del ghiaccio marino nell'Artico possono spiegare molto meglio questi insoliti eventi di mortalità, almeno stando a quanto sostengono gli autori di questo nuovo studio.
Per il team guidato da Joshua Stewart del Marine Mammal Institute dell'Oregon State University, sono infatti la copertura di ghiaccio marino e la quantità di cibo disponibile a determinare queste forti fluttuazioni demografiche. In alcuni anni, infatti, una copertura di ghiaccio molto più spessa e diffusa del solito può bloccare il passaggio verso i mari di Bering e dei Čukči, dove le balene trascorrono buona parte dei mesi estivi per nutrirsi di gamberetti e altri crostacei, prima di migrare nuovamente verso sud con un viaggio di oltre 15.000 km.
Quando quindi la disponibilità delle loro prede nell'Artico è molto bassa e le balene non riescono a raggiungere le aree di alimentazione a causa del ghiaccio marino, la popolazione subisce uno shock demografico rapido, con conseguente moria di massa. E infatti la popolazione di misticeti si è poi ripresa piuttosto rapidamente dopo i primi due eventi. Ma quanto riguarda invece la moria di massa cominciata nel 2019 e ancora in corso, le cose sembrano essere però un po' più complesse. A differenza dei due eventi precedenti, infatti, sarebbe invece una storica riduzione della copertura di ghiaccio a causare la morte dei cetacei.
Tutto ciò starebbe accadendo perché il ghiaccio marino ospita di solito un tappeto di alghe che vive sulla superficie inferiore, che però si stacca ricoprendo interamente il fondale quando si scioglie. Con meno ghiaccio crescono però meno alghe, il che è riduce il numero di crostacei che le mangiano e che sono il cibo preferito delle balene. Per di più, lo scioglimento eccessivo dei ghiacci influenza anche le correnti marine, che possono spazzare via i sedimenti dove vivono i crostacei e altri piccoli animali marini, riducendo ulteriormente il cibo a disposizione dei cetacei.
Tutti questi fattori insieme riducono quindi la qualità e la quantità di cibo su cui fanno affidamento le balene grigie nel periodo estivo, causando quindi le morie di massa e ritrovamenti lungo le coste nordamericane. Neanche a dirlo, il surriscaldamento globale e la crisi climatica, potrebbero essere il motivo principale per cui questo terzo evento di mortalità si sta trascinando così a lungo rispetto a quelli precedenti. Quello che gli scienziati stanno osservando è perciò un fenomeno molto più complesso e articolato in risposta a condizioni oceaniche altamente variabili e in rapido cambiamento rispetto a quelle a cui siamo abituati, per questo è stato difficile dimostrarlo.
Gli ecosistemi stanno infatti reagendo al riscaldamento climatico causato dalle attività umane in vari modi, non tutti sempre prevedibili o misurabili. Tali cambiamenti stanno già avendo un impatto enorme sulle specie e gli habitat, tuttavia possono essere molto più evidenti e facili da studiare per le specie con cicli biologici più brevi e con scarse capacità di movimento. Questo studio dimostra invece che anche alcuni degli animali più grandi, mobili e longevi del pianeta sono ugualmente suscettibili, anche a cambiamenti relativamente piccoli che avvengono man mano che l'Artico si surriscalda.
In conclusione, anche se difficilmente si potranno superare i picchi delle quasi 25.000 balene grigie censite tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli anni 80, secondo gli autori le minacce legate alla crisi climatica e alla riduzione del cibo, per quanto importanti e significative, non dovrebbero comunque mettere in serio rischio di estinzione la popolazione del Pacifico nord-orientale. Un piccola consolazione che in ogni caso dovrà far tenere alta l'attenzione sul futuro di questi grandi cetacei e di tutti gli altri abitanti dei freddi mari del nord.