Tra il 1990 e il 2020 sono state stimate circa 1,1 milioni di tartarughe marine uccise illegalmente e, in alcuni casi, trafficate. Inoltre, negli ultimi 10 anni gli esemplari ai quali è stata destinata questa crudele sorte sono stati ben 44 mila ogni anno in 65 paesi diversi, stime che dimostrano, però, che queste attività illecite sono in calo.
Dunque numeri spaventosi che nascondono, però, una buona notizia. Queste stime sono state pubblicate sulla rivista Global Change Biology e sono state effettuate da un team di ricercatori dell'Arizona State University che hanno analizzato su vasta scala il fenomeno del bracconaggio delle tartarughe marine.
L'essere umano da sempre ha pretese sulla natura. Come tanti Zeus nel mito di Ganimede rapiamo le cose più belle per potercene servire. In una versione del mito, infatti, il padre degli dei si trasforma in un'aquila e rapisce il bellissimo Ganimede per poter servire come coppiere sull'Olimpo. Così anche l'uomo minaccia la fauna selvatica tramite la caccia e il traffico illegale. Animali e piante da tutto il mondo vengono commerciate per i più svariati motivi e solo per soddisfare i nostri desideri più reconditi.
Le tartarughe, in particolare, vengono cacciate per essere esposte come trofei, per gli organi e le parti del corpo alle quali vengono erroneamente attribuite proprietà curative o afrodisiache e spesso fanno parte di tradizioni culinarie secolari difficili da cambiare.
Per riuscire a far nascere una stima come quella dell'Arizona State University, i ricercatori hanno dovuto setacciare un'incredibile mole di dati nel giro di 30 anni. Sono stati presi in esame i dati provenienti da articoli di riviste scientifiche certificate, rapporti presenti negli archivi di giornali e media online, rapporti delle ONG e questionari online.
Oltre all'enorme quantità di tartarughe marine uccise illegalmente, ciò che hanno scoperto gli studiosi è che il 95% di queste proveniva da due specie: le tartarughe verdi (Chelonia mydas) e tartarughe embricate (Eretmochelys imbricata). Questi rettili sono entrambi classificati come specie a rischio d'estinzione secondo l'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) e inseriti anche nell'Endangered Species Act, la più importante legge negli Stati Uniti per la protezione delle specie in pericolo.
Inoltre, il Sud-est asiatico e il Madagascar sono emersi come i principali paesi dove la cattura e il commercio di tartarughe marine sembra essere all'ordine del giorno. Le specie più in voga nel mercato nero sono proprio le tartarughe embricate che per i loro carapaci meravigliosi sono bramati da collezionisti di tutto il mondo.
Approfondendo la ricerca il team si è focalizzato sulla raccolta di informazioni utili per aiutare a determinare le priorità nella gestione della conservazione di queste specie. Ad esempio, il Vietnam è risultato il paese dal quale più frequentemente parte il traffico illegale, mentre la Cina e il Giappone sono la destinazioni per quasi tutti i prodotti trafficati a base di tartaruga marina.
In questo moderno revival del mito di Ganimede e Zeus in cui l'uomo si appropria della natura, c'è comunque una buona notizia. Lo studio mostra che lo sfruttamento illegale delle tartarughe marine è diminuito di circa il 28% negli ultimi dieci anni, sorprendendo notevolmente i ricercatori.
Questo declino potrebbe essere dovuto a una legislazione più stringente e a maggiori sforzi di conservazione, insieme a un aumento della consapevolezza del problema o a un cambiamento delle norme e delle tradizioni locali. A rendere più rosee le aspettative di conservazione di questi animali, poi, c'è il fatto che la maggior parte dello sfruttamento illegale segnalato negli ultimi dieci anni si è verificato in grandi popolazioni di tartarughe marine stabili e geneticamente diverse.
Tuttavia bisogna prendere con cautela questi numeri ricordandosi che si trattano comunque di stime. L'aspetto importante della ricerca, infatti, sta nell'aver messo sotto una nuova prospettiva il traffico illegale, mostrando come non sia un problema dei singoli paesi, ma sia necessario uno sforzo internazionale per poter garantire un adeguato sostegno alla biodiversità globale.