Oggi si celebra la Giornata nazionale del cane guida, istituita dall'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti per favorire riflessione e conoscenza sull'importanza dei più preziosi alleati delle persone non vedenti. Questa ricorrenza però può anche essere un momento di riflessione per capire come si diventa cani guida, cosa succede quando un cane non è più in grado di lavorare e che tipo di rapporto si instaura con il conduttore.
«Uma non è solo un cane, lei è la mia libertà», dice a Kodami Giovanni Sorrentino. Sorrentino è un professore di Torre del Greco, Comune del Napoletano schiacciato tra il mare e il Parco nazionale del Vesuvio. E’ qui che il professore vive e lavora, percorrendo ogni giorno a piedi la distanza che separa la sua casa dalla scuola dove insegna italiano e latino. Il professore è non vedente e ogni giorno affronta le salite e le discese che sono la prerogativa di molte città arroccate tra mare e montagna, e di cui la sua Torre è ricca. Il professore, però, non è mai solo, con lui c’è sempre la Labrador Uma.
«Io ero molto più che diffidente con gli animali, non ne avevo mai avuti e mi sentivo a disagio con loro. Ero restio alla vita con un cane, ma nel giro di 24 ore tutte le barriere che avevo avuto per più di trent’anni sono state abbattute – ricorda il professore – Uma ha dato una svolta totale alla mia vita».
Uma e il professore ogni giorno si recano a scuola, e una volta arrivati, il cane si posiziona sotto la cattedra, in attesa che suoni anche per lei la campanella dell’intervallo. «Spesso sonnecchia mentre faccio lezione, e ancora più spesso gli studenti l’accarezzano e accudiscono», racconta Sorrentino. Accarezzare un cane guida a riposo, e soprattutto con il consenso del suo umano, non è un problema, ma può essere pericoloso quando lo si fa mentre il cane è “a lavoro”.
«Avere a che fare con un cane guida educa le persone – sottolinea Sorrentino – le quali piano piano capiscono che il cane non va distratto. Uma quando è a casa vive la sua dimensione da animale, ma quando è fuori so che tiene a freno la sua curiosità».
Il professore è stato il primo nella sua città a condurre un cane guida e quindi ad affrontare tutte le sfide e i pregiudizi, come ricorda egli stesso: «Sentivo la diffidenza delle persone nei negozi o sui mezzi di trasporto. Mi è capitato di essere allontanato perché avevo il cane con me, oggi però non succede più perché la consapevolezza sta crescendo». Ma il professore conclude con una nota amara: «L’indipendenza e l’autonomia sono beni che coloro che ne dispongono liberamente non apprezzano».
Come un cane diventa guida per non vedenti: la scuola di Scandicci
Uma prima di arrivare a Torre del Greco viveva nella provincia di Firenze, a Scandicci. Qui ha sede la Scuola Nazionale Cani Guida, la seconda al mondo, fondata nel 1929 dall'Unione Italiana Ciechi e oggi sotto l'egida della Regione Toscana.
A spiegare a Kodami le diverse fasi della vita di un cane guida è Corrado Migliorucci, responsabile tecnico della Scuola: «Le fattrici dei nostri allevamenti sono selezionate per garantire un certo carattere e stato di salute. A due mesi il cucciolo viene dato a una famiglia affidataria, ciò permette al cucciolo di crescere in un ambiente stimolante in termini di esperienze. Esperienze che enumeriamo in una lista che consegniamo alla famiglia».
Questa fase dura fino a quando il cane non compie un anno e due mesi. A questo punto ritorna a Scandicci. Un passaggio di mani, famiglie e persone che può rivelarsi lesivo del benessere dell’animale, soprattutto in presenza di specifiche motivazioni di razza, come conferma lo stesso Migliorucci: «Adesso in allevamento abbiamo solo Labrador e Golden Retriever perché abbiamo notato che i Pastori Tedeschi soffrivano in maniera particolare del distacco dall’istruttore e a volte faticavano ad affezionarsi alle nuove persone».
Si tratta di una caratteristica che Kodami ha spiegato nel video approfondimento dedicato alla storia del Pastore Tedesco con l’educatore cinofilo e membro del comitato scientifico del magazine, Luca Spennacchio.
L’addestramento viene svolto con quello che viene definito «metodo gentile», spiega Migliorucci: «Se il cane fa qualcosa di positivo ha un premio, sociale o materiale. Se fa qualcosa che non ci piace, noi non facciamo seguire nessun comportamento. Questo perché ogni nostro gesto dà un valore, giusto o sbagliato che sia, anche quando non vogliamo rinforzarlo. La punizione, quindi non viene praticata in alcun modo».
Il problema delle punizioni nell’ambito dell’addestramento non è secondario, visto che gli istruttori devono bilanciare il benessere del cane con la responsabilità di condurre una persona non vedente. «Più si punisce, più il cane smette di prendere decisioni autonome, e questo è un problema, soprattutto per i cani guida che tutti i giorni si trovano davanti all’imprevedibilità delle strade», ricorda Migliorucci.
L’addestramento inizia all’interno della scuola, per poi spostarsi in zone urbane che presentano una difficoltà crescente.
Dopo questa fase il cane viene consegnato al non vedente sulla base di una graduatoria, che pone in cima le persone che conducono una esistenza attiva, o che in passato avevano già un cane guida, la cui improvvisa assenza può quindi penalizzare molto la qualità della vita.
I cani vengono consegnati da maggio a novembre ad altrettante persone in tutta Italia seguendo precisi parametri: «Nel formare i binomi teniamo presente innanzitutto il tipo di lavoro e il contesto nel quale si muoverà il cane con il conduttore; poi il carattere, cercando di formare coppie equilibrate; il terzo parametro riguarda la dimensione dell'animale rispetto al suo conduttore».
La Scuola continua a vegliare sui cani attraverso controlli a scadenze precise, dato che i cani restano di proprietà della Regione Toscana anche dopo la consegna al non vedente. «Se durante i controlli, fatti attraverso comunicazioni da parte del veterinario, ci rendiamo conto che il cane non è tenuto bene possiamo sempre riprendercelo», sottolinea Migliorucci.
Quando il cane non è più in grado di assolvere al suo compito, dopo un periodo che varia da 9 a 16 anni di servizio, ha la possibilità di restare con il suo umano, che prenderà in aggiunta un nuovo cane guida. Più spesso però il cane fuori servizio torna a Scandicci: «Una volta tornati qui non lasciamo che restino in canile ma gli troviamo una nuova famiglia affidataria per una giusta vecchiaia. Se questo non succede li lasciamo liberi nel nostro parco».
Famiglia affidataria, istruttore, persona non vedente, e la pensione di Scandicci. I frequenti cambi di scenario, unito all’assolvimento di quello che è un lavoro a tutti gli effetti, possono ledere il benessere del cane, e di questo è consapevole Migliorucci: «Proprio per limitare al massimo lo stress alleviamo cani che sono già propensi a questo tipo di esperienze, e molto socievoli. Tuttavia bisogna ricordare che tutti i cani, non solo quelli d’accompagnamento, hanno una vita controllata dall’uomo. L’importante è avere un buon amico al fianco che gli faccia fare una buona vita».
Il cane diventa cane guida quando indossa la pettorina, senza, è un cane come gli altri. «Il cambio di comportamento non è brusco, ma avviene attraverso la relazione con le persone – aggiunge il responsabile della Scuola – Niente di troppo diverso da quanto accade con cani di famiglia che devono imparare a mettere la museruola o a stare tranquilli dal veterinario».
Alla domanda se sia possibile fare diventare un cane di famiglia un cane guida, Migliorucci però è scettico: «All’inizio si faceva, ma poi abbiamo visto che non dava risultati ottimali perché il cane dopo l’addestramento tende a riprendere le abitudini che aveva prima. Inoltre, anche alla luce dei parametri lavorativi non sempre si ha già con sé il cane giusto per rispondere a determinate esigenze».
Il problema del benessere del cane da lavoro
I cani guida, quindi, sono cani da lavoro a tutti gli effetti, una definizione che lascia scettico chi si occupa da sempre di benessere animale.
«Un cane resta sempre un cane. Parlare di “cane da lavoro”, di per sé, non ha senso. Il cane può svolgere diverse funzioni, perché ogni cane è sociale e collaborativo con l'uomo, ma questo non lo rende uno strumento, resta sempre un individuo con i suoi bisogni». E' il commento di Elena Garoni, veterinaria comportamentalista e membro del comitato scientifico di Kodami.
«E' un esempio tra i tanti dell'impiego di animali ai nostri fini, e questo apre a una domanda: è etico?», aggiunge Garoni.
Come abbiamo visto, i cani guida sono addestrati a non lasciarsi distrarre nel momento in cui indossano la loro pettorina e assolvono ai loro compiti, ciò significa non seguire odori, non fare marcature, ignorare altri cani e persone, e molto altro. «Per assolvere il compito di accompagnare la persona in un mondo pieno di pericoli vuol dire non rispondere alle sollecitazione – ricorda Garoni – E' ovvio che deve essere così, ma ciò non deve impedirci di riflettere sul fatto che i cani significa privarle delle loro necessità etologiche».
E qui una precisazione doverosa: «A questi cani bisogna assicurare momenti per fare i cani, oltre alla loro funzione di guida, pensando che sia il cane che la persona hanno diritto a un'alta qualità della vita».
Ma i problemi iniziano molto prima, e risiede proprio nel modo in cui i cani vengono al mondo negli allevamenti: «L'attaccamento primario e secondario dev'essere il più possibile stabile e privo di stress – spiega Garoni – I cani hanno comunque un grande capacità di adattamento, possono affezionarsi a persone nuove in contesti diversi, ma non è una cosa da augurarsi per il cane».
I Labrador e i Golden Retriever sono cani dotati di qualità che li rendono versatili e facilmente adattabili: «Alta socialità e socievolezza, e spiccata motivazione collaborativa – ricorda l'esperta – Sono orientati a una referenza umana, in aggiunta a ciò hanno una elevata capacità di sopportazione».
La straordinaria funzione sociale dei cani guida, capaci di ridare libertà di movimento alle persone innalzandone la qualità della vita, sembra però fagocitare tutta la riflessione da cui dovrebbe partire un rapporto basato sul rispetto.
Cane di famiglia come cane guida: una via possibile
Anche se è più raro, può succedere che una persona non si appoggi alle scuole e alle grandi associazioni per avere un cane guida, preferendo un animale non da allevamento. Anche se in numero minore, infatti, esistono anche cani guida senza pedigree.
La scelta in questo caso avviene per necessità, dato che le scuole hanno una lunga lista d’attesa e non riescono a soddisfare tutte le richieste. Ma uno dei motivi più importanti alla base di questa scelta è rappresentato dalla volontà di trovare un appoggio nel compagno animale di cui la persona si fidava anche prima di perdere la vista.
A queste persone si rivolge Cosimo Lentini, che dopo aver lavorato 37 anni in una grande associazione in cui si occupava dell'addestramenti di cani guida, ha deciso di fondare una propria associazione, l'Aicas, attraverso cui insegna come essere cani guida anche a meticci e cani di famiglia.
«Questo è possibile perché la razza non è così importante, si fa prima a dire quali cani non vanno bene piuttosto che il contrario – dice Lentini – Ci sono molti casi, ma l’ultimo riguarda una signora di Genova che quando è diventata cieca ha scelto di fare il percorso con il suo cane di famiglia, un Cocker, e insieme vanno benissimo».
E in un altro caso: «Una signora di Padova di 72 anni che nella sua ricerca di un cane guida ha scelto di cercare in canile, dove ha trovato un meticcio tricolore, e anche lei non sta avendo problemi».
Questo perché il rapporto tra il cane guida e il suo conduttore si basa su una comunicazione quanto più personalizzata possibile. «Addestrare un cane e dopo un certo periodo di tempo chiamare la persona non vedente non aveva senso, ed era anzi problematico – sottolinea Lentini – Lavorare da zero con cane e persona permette anche al non vedente di sapere come agire nei confronti dell’animale, perché acquisisce egli stesso le capacità per intervenire in caso di difficoltà future».
Il problema del benessere del cane guida resta. Tuttavia, alla luce delle sempre più numerose conoscenze scientifiche ed etologiche, è forse possibile trovare metodi che comprimano sempre meno la libertà d’espressione dell’animale, senza inficiare la necessità di indipendenza delle persone non vedenti.