Il 5 maggio di ogni anno si celebra la Giornata mondiale dell'Ambiente, un appuntamento del Programma delle Nazioni Unite nato per diffondere consapevolezza rispetto ai temi della tutela dell'ambiente e degli ecosistemi. La data scelta non è casuale: coincide con l'adozione della Dichiarazione di Stoccolma che definì i 26 principi relativi ai diritti e alle responsabilità dell'essere umano in relazione all’ambiente. Il tema scelto per questa edizione è la lotta contro l’inquinamento da plastica.
Era il 1972 quando il documento sancì, tra le altre cose, che:
Gli Stati devono prendere tutte le misure possibili per prevenire l'inquinamento dei mari con sostanze che possano mettere a repentaglio la salute umana, danneggiare le risorse organiche marine, distruggere valori estetici o disturbare altri usi legittimi dei mari.
Un impegno che non si è mai realizzato, come segnala il WWF nell'ultimo report “Plastica: dalla natura alle persone. È ora di agire”. L'associazione segnala che, ad oggi, il Mare Mediterraneo rappresenta «uno dei casi più gravi di inquinamento da plastica», e che nelle sue acque ne finiscano ogni anno circa 230mila tonnellate. Si stima che vi siano accumulate oltre un milione di tonnellate di plastiche, insieme alla «più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità marine».
Lo sfruttamento intensivo da parte della nostra specie, e a nulla sono servite le parziali, nonché tardive, misure prese dai governi. L'Italia, in particolare, a gennaio 2022 ha rimandato ancora l'entrata in vigore della plastic tax, la tassa sui manufatti in plastica con singolo impiego. La tassa venne introdotta nella Legge di Bilancio 2020, su iniziativa dell'allora ministro della transizione ecologica Sergio Costa, allo scopo di favorire la conversione ecologica delle industrie che utilizzano questi prodotti estremamente dannosi per gli ecosistemi marini.
Ciò però non è mai avvenuto. E i risultati sono ben visibili: l’Italia in qualità di secondo più grande produttore di rifiuti plastici in Europa deve fare i conti con la distruzione degli habitat e una crescente perdita di biodiversità. Le prime vittime sono le tartarughe, animali simbolo delle nostre coste che in questi mesi stanno nuotando lungo lo Stivale per nidificare, ma che immancabilmente ingeriscono buste, ami, e pezzi di rete. Lo insegnano gli esperti del Turtle Point della Stazione Zoologica di Napoli che salvano ogni anno decine di tartarughe marine. Lo abbiamo raccontato partendo dalla storia di Osimhen, la tartaruga pescata accidentalmente da una rete a strascico a largo di Maiori, nel Salernitano, all'inizio di febbraio.
Gli impatti sulla fauna marina sono tra i più documentati: a livello globale sono circa 2.150 le specie marine impattate dalla plastica. I principali impatti causati dall’interazione con le plastiche e la loro ingestione sono: intrappolamento, lesioni, soffocamento, mancanza di un’alimentazione adeguata e intossicazione da sostanze chimiche.
Inevitabilmente questo “cocktail chimico” arriva sino a noi, come ha segnalato anche il ministro italiano della Salute Orazio Schillaci nel corso della Conferenza annuale dell'European Health Management Association (Ehma) tenutasi oggi all'Università Cattolica: «Il futuro anzi il presente della medicina è avere una visione One health. Bisogna mettere insieme la salute umana con quella animale e ambientale e credo che tutto questo sia molto importante da insegnare ai più giovani fin dalle scuole elementari, dal rispetto per l'ambiente alle norme di prevenzione fino all'attività fisica».
Paesi in via di sviluppo e inquinamento
Nonostante simili dichiarazioni estemporanee, relegate a ricorrenze come appunto la Giornata dell'Ambiente, la tutela degli animali nell'agenda della politica nazionale figura il più delle volte come un tema secondario. Non la pensa così la comunità internazionale che oggi è riunita a Nairobi per la seconda sessione del programma delle Nazioni Unite "Habitat" che vede riuniti oltre 2.000 delegati giunti da 193 paesi del mondo. Alla presenza del presidente del Kenya William Ruto e di numerosi capi di Stato e di Governo si ragionerà sulle soluzioni che le città possono condividere per affrontare la tripla crisi ambientale legata a clima, biodiversità e inquinamento che affligge il pianeta. Per il nostro Paese interverrà il sottosegretario all'Ambiente Barbaro che seguirà i lavori con l’ambasciatore italiano in Kenya Roberto Natali.
I paesi in via di sviluppo sono infatti tra i primi a scontare gli effetti dell'inquinamento ambientale e della crisi climatica, come ha sottolineato Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente: «Il mondo chiede un accordo ampio, innovativo, inclusivo e trasparente, che si appoggi alla scienza e apprenda dalle parti interessate e che garantisca il sostegno ai paesi in via di sviluppo. È tempo di riprogettare i prodotti per utilizzare meno plastica, in particolare plastica non necessaria e problematica, per ridisegnare l'imballaggio e la spedizione dei prodotti per utilizzare meno plastica, per riprogettare sistemi e prodotti per il riutilizzo e la riciclabilità e per riprogettare il sistema più ampio per la giustizia».
Dichiarazioni che però vengono puntualmente disattese, come ha rilevato in più occasioni la premier di Barbados, Mia Mottley, la quale nel corso di uno storico discorsi tenuto un anno fa in occasione della Cop26 ha rilevato come a rischio siano prima di tutto i fragili ecosistemi delle piccole isole e dei paesi in via di sviluppo, destinati ad annegare in mari di plastica e a fare i conti con eventi climatici sempre più estremi.
A settembre 2022, Barbados ha presentato un nuovo progetto con la Nature Conservancy per realizzare le "obbligazioni blu", consentendo all'ex colonia britannica di reindirizzare parte del denaro destinato al proprio debito sovrano verso la conservazione dell'oceano.
Un progetto che però non è sostenuto dalla comunità internazionale, ha denunciato Mottley, la quale segnala che spesso i tassi di interesse sono più alti per i paesi poveri che per i paesi più ricchi. In contrasto con il decimo punto dei principi individuati dalla Dichiarazione di Stoccolma:
Per i Paesi in via di sviluppo, la stabilità dei prezzi, adeguati guadagni per i beni di prima necessità e materie prime, sono essenziali ai fini della tutela dell'ambiente, poiché i fattori economici devono essere presi in considerazione, così come i processi ecologici.
Selvatici ed essere umano: un paradosso italiano
Non serve andare fino ai Caraibi per osservare come l'animale politico sia di memoria breve, e più bravo a offrire proclami altisonanti che soluzioni concrete. L'esempio più calzante è dato dal ministro italiano per l'Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, il quale oggi ha parlato della necessità di «cercare un equilibrio nell’utilizzo delle risorse naturali, per consegnare ai nostri figli una Terra più integra di come l’abbiamo ricevuta. Dobbiamo conservare, adattare, mitigare. Oltre al binario istituzionale c’è quello socio-culturale, che riguarda i comportamenti individuali e collettivi».
Durante l'intervento alla Conferenza Nazionale delle Green City, organizzata a Roma in Campidoglio nell’ambito del Festival Green&Blue, Pichetto Fratin ha sottolineato l'impegno con l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite: «Entro il 2030 dobbiamo arrivare a produrre dalle rinnovabili i due terzi del fabbisogno energetico nazionale – ha aggiunto – puntiamo su idroelettrico, geotermico, fotovoltaico ed eolico, anche offshore. Il gas è il vettore per accompagnare questo cambiamento. Mentre mi aspetto di abbandonare il carbone entro il 2025 o anche prima, se i prezzi del gas tengono. Il governo ha poi messo anche in chiaro la scelta di stare nella ricerca e nella sperimentazione del nucleare».
Nessuna parola è stata spesa per parlare della crisi che sta coinvolgendo i grandi carnivori in Trentino, e anche in Abruzzo, dove gli orsi vengono cacciati con fucili o macchine fotografia. Eppure, al punto 4, la Dichiarazione di Stoccolma che ha ispirato questa Giornata stabilisce:
L'uomo ha la responsabilità specifica di salvaguardare e amministrare saggiamente la vita selvaggia e il suo habitat, messi ora in pericolo dalla combinazione di fattori avversi. La conservazione della natura, ivi compresa la vita selvaggia, deve perciò avere particolare considerazione nella pianificazione dello sviluppo economico.
Un tema richiamato anche dal presidente di Federparchi Luca Santini: «La tutela dell'ambiente necessita di adeguate politiche per la sostenibilità e, allo stesso tempo, è di fondamentale importanza la tutela del territorio, degli ecosistemi e della biodiversità. Riteniamo pertanto che sia necessario un impegno di tutti i soggetti in campo al fine di mantenere e perseguire gli obiettivi europei per raggiungere, entro il 2030, il 30% di superficie tutelata, sia a terra che a mare. In Italia, complessivamente, siamo al 21% di territorio protetto a terra e al 16% della superficie marina. È quindi necessario uno sforzo per centrare il target della UE, anche perché aumentare le aree protette vuol dire, oltre a proteggere la natura, contribuire al contrasto dei mutamenti climatici e favorire la diffusione di modelli di sviluppo sostenibile, oggi unica strada possibile per creare benessere e occupazione».
Oggi, a 51 anni di distanza, di questo e degli altri principi che i grandi della terra avrebbero dovuto tenere a mente per gestire ecosistemi e risorse energetiche resta molto poco.