Oggi, 2 ottobre, in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale degli Animali negli Allevamenti, una ricorrenza dedicata a tutti gli animali da reddito e da allevamento che vivono in condizioni crudeli e di sofferenza perché esclusivamente considerati cibo Celebrata per la prima volta nel 2005, in concomitanza con l’anniversario della nascita del Mahatma Gandhi, l’obiettivo di questa giornata è attirare l’attenzione verso le condizioni in cui ancora oggi vivono miliardi di bovini, suini, polli e tutti gli altri animali destinati alla filiera alimentare.
Si stima che ogni anno, sono circa 65 miliardi gli animali che muoiono in tutto il mondo per produrre carne, uova e lattici. Numeri impressionanti, basta pensare solamente all’interno dell’Unione Europea, nel 2021 c’erano ben 142 milioni di suini, 76 milioni di bovini, 60 milioni di pecore e 11 milioni di capre, senza contare polli, pesci e altri animali. La maggior parte di questi animali vive ancora negli allevamenti intensivi, dove sono costretti in condizioni artificiali di perenne sofferenza. Gabbie strettissime, assenza di luce solare, e ritmi di alimentazione e allevamento disumani.
Mentre questo tipo di allevamento consente di soddisfare la richiesta dei consumatori, e tutta la filiera dei controlli veterinari garantisce un’alta salubrità del prodotto finale (carne, latte, uova, pesce), numerose questioni etiche mettono in discussione questa pratica. In primis, tra tutte, la questione del benessere animale. Nell’era delle lotte per il riconoscimento dei diritti degli animali come esseri senzienti (la cui tutela è stata persino inserita in costituzione) è quantomeno discutibile che gli animali vivano ammassati o, peggio ancora, rinchiusi in gabbie e che non possano esprimere i normali comportamenti che caratterizzano ogni singola specie e ogni singolo individuo.
La dignità della vita di questi animali viene letteralmente umiliata, e la loro aspettativa di vita notevolmente ridotta. Pensiamo che un bovino potrebbe vivere fino a 20-25 anni e che, a seconda della filiera produttiva, vive in allevamento circa 4-5 anni se è una vacca da latte, o fino a circa 6 mesi se è un bovino da carne. Una gallina ovaiola vive al massimo 2 anni, mentre un pollo broiler da carne vive all’incirca 6 settimane, quando questi animali potrebbero vivere fino a 8-10 anni. Un suino per la produzione di prosciutto vive all’incirca 6 mesi mentre potrebbe vivere fino a 15-20 anni.
Si sommano poi quegli animali che non arrivano nemmeno al mese di vita come i figli maschi delle vacche da latte, o al giorno di vita, come i pulcini maschi delle galline ovaiole, pratica che fortunatamente sarà bandita entro il 2026. Ci sono poi le altrettanto importanti questioni ambientali legate alle carne. Gli allevamenti sono tra le principali fonti di gas serra responsabili dei cambiamenti climatici: gli animali allevati rappresentano il 14,5% di tutte le emissioni di origine antropica.
Per non parlare dei numeri legati al consumo di suolo mondiale. Circa il 50% della superficie abitabile mondiale è utilizzata da allevamenti e agricoltura e il bestiame occupa quasi l’80% di questa superficie. Gli allevamenti sono perciò anche una del tematiche al centro della tanto necessaria ricerca di una società e di una produttività sempre più sostenibile per il Pianeta.
Pensare di fermare improvvisamente il consumo di carne è però utopistico e oggettivamente irrealizzabile. Ci sono però infiniti motivi per ridurne drasticamente il consumo, in questo ognuno di noi può fare la sua parte. Per restituire in primis una dignità a questi animali, umiliata e ridotta semplicemente a cibo e lontana anni luce dalla natura e dall’etologia delle specie allevate.
Oggi, anche grazie ai movimenti come il vegetarianismo e il veganismo, gli animali e i loro diritti sono sempre più al centro dei dibattiti pubblici e politici. Come dimostra anche l’enorme attenzione mediatica riservata ai maiali e ai cinghiali della Sfattoria degli Ultimi, uno dei tanti rifugi e santuari presenti in Italia e che ogni anno aumentano sempre più.
Ma anche gli stessi consumatori di carne sono sempre più attenti alle condizioni in cui vivono e vengono allevati gli animali. In Italia, esiste infatti la rete "Allevamento Etico", ovvero un’associazione di produttori che propone un elenco e una recensione degli allevamenti a cui rivolgersi per consumare la carne in maniera rispettosa dell’ambiente e, per quanto possibile, degli animali. L’allevamento etico è un tipo di allevamento che si impegna a favore del benessere animale e per la produzione di alimenti sani, con regole aziendali che vanno oltre i marchi di qualità come il biologico.
Ma ridurre il consumo di carne significa anche e soprattutto, inseguire una società e uno stile di vita sempre più sostenibile e rispettoso della natura e dell’ambiente, obiettivo che non possiamo più in alcun modo rimandare, e persino migliorare la qualità della nostra vita. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), considera le carni processate nel gruppo 1 delle sostanze cancerogene. Vuol dire che i salumi sono stati inclusi nel gruppo delle sostanze per cui è stato stabilito con certezza un nesso causale con lo sviluppo di tumore (come accade per alcol, amianto, arsenico e fumo di sigaretta).
Risultano come probabile cancerogeno per l’uomo (gruppo 2A), invece, anche le carni rosse fresche, come quelle derivate dal maiale, dai bovini, dal cavallo e dall’agnello. In occasione di questa giornata, quindi, riflettiamo su come fare davvero per i ridurre i nostri consumi di carne. Ci sono un milione di ragioni per farlo e ne guadagneranno davvero tutti: la vita e la dignità degli animali, l’ambiente in cui viviamo e persino le nostre stesse vite.