Esiste un preciso dovere per i medici veterinari liberi professionisti, che non sono investiti dei poteri e doveri tipici dei veterinari del servizio pubblico, di informare l’Autorità Giudiziaria dei reati dei quali vengano a conoscenza nell’esercizio della professione. Un obbligo al quale sono assoggettati anche tutti i professionisti che operano nell’ambito della salute umana perché il precetto riguarda tutti gli esercenti delle professioni sanitarie nel loro complesso.
Vediamo cosa dice precisamente il testo dell’articolo del Codice Penale che impone questo obbligo e cerchiamo anche di capire quale sia la ratio che lo ha fatto prevedere al legislatore:
Art. 365 c.p.
“Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’autorità indicata nell’articolo 361, è punito con la multa fino a cinquecentosedici euro.
Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale”.
L’obbligo nasce dalla considerazione che i sanitari, in virtù della loro professione, possano venire a conoscenza di reati che diversamente potrebbero non emergere e, di conseguenza, potrebbe non essere garantita un’adeguata tutela per la vittima senza la conseguente punizione del responsabile.
L’articolo peraltro indica in modo anche molto chiaro il fatto che quest’obbligo non riguardi solo casi evidenti di reato, ma anche soltanto possibilità che questo reato sia effettivamente accaduto.
Il veterinario, quindi, dovrà riferire all’autorità giudiziaria ogni situazione che configuri, ad esempio, un maltrattamento accertato o anche solo ipoteticamente possibile, secondo le modalità previste dall’articolo Art. 334 c.p.p.
"Chi ha l’obbligo del referto deve farlo pervenire entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente al pubblico ministero o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all’ufficiale di polizia giudiziaria più vicino.Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare.Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto.”
Sono frequenti i casi in cui un veterinario potrebbe trovarsi nella necessità di segnalare un cliente all’autorità giudiziaria, basti pensare ai cani con le orecchie o la coda tagliate, a soggetti sottoposti a maltrattamenti che possono derivare da percosse o atti violenti o ancora all’asportazione delle unghie nei felini. Altro esempio grave è la tratta dei cuccioli provenienti dall’Est Europa che avviene attraverso la produzione di documenti sanitari (come il passaporto europeo) che contengono dati falsi: una data di nascita incompatibile con l’età presunta dell’animale e poi accertata nel corso della visita ad esempio.
Questo obbligo di referto troppo spesso non viene rispettato, con varie motivazioni che vanno oltre alla semplice ignoranza della disposizione. È bene dunque ricordare che in caso di condanna il veterinario potrebbe essere soggetto anche ai provvedimenti disciplinari previsti per le violazioni del codice deontologico.
Il maltrattamento degli animali, infine, può essere anche un indicatore di altro genere di maltrattamenti commessi in famiglia e a maggior ragione omettere la segnalazione potrebbe esporre a rischi concreti non solo gli animali ma anche le componenti più fragili del contesto familiare, come minori o persone anziane. Per questo il rispetto di questo dovere riveste una particolare importanza e non dovrebbe mai essere mai considerato come una spiacevole seccatura dalla quale sia meglio rifuggire.