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16 Ottobre 2021
18:00

Nur, il “cane da lavoro” che nessuno ha davvero salvato dal canile

È sempre più frequente il fenomeno ormai fuori controllo delle adozioni al nord Italia di cani che sono stati prelevati spesso dal territorio al Sud e che non avranno mai le caratteristiche per adattarsi alla vicinanza delle persone nelle grandi città. La storia di Nur, il cane che nessuno ha davvero salvato dal canile.

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Istruttrice cinofila
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Nell'immaginario collettivo della stragrande maggioranza delle persone, esistono delle zone del nostro paese più critiche di altre in termini di randagismo e gestione degli animali d’affezione. E questo è un dato di fatto innegabile. Eppure siamo arrivati ad una svolta storica nel nostro paese per quel che riguarda il fenomeno del randagismo e, seppur con grandi difficoltà, inizia a farsi strada. Fondata su basi etologiche e scientifiche, l’evidenza che non tutti i cani hanno necessità di essere adottati. Seppur lentamente, a passi infinitamente piccoli, inizia a prender piede così l’idea sempre più impellente che in alcune zone d’Italia esistono delle differenziazioni da fare quando si tratta di randagi e di prelievi sul territorio. Soprattutto al Centro-Sud accade spesso che dei cani liberi vengono presi, portati in canile o, ancor peggio, spostati presso strutture e professionisti nel “civile nord Italia” affinché vengano “lavorati” e resi più adottabili. Ma non è così che dovrebbe funzionare, ahimè, e sempre più importante è formare un volontariato sano e non assistenzialista che distingua in termini adeguati un soggetto adottabile ed adattabile da un soggetto che non sarà mai realmente inserito nell’ecumene umana.

Questi cani, i cosiddetti ferali, sono individui che da generazioni vivono in contesti ambientali ampi e non promiscui con gli esseri umani, che hanno dalle persone una distanza di fuga importante, che non tollerano il contatto e la manipolazione, che non hanno bisogno di essere salvati e amati perché le loro non sono paure da superare ma veri e propri schemi comportamentali innati che nessuno potrà mai modificare “comprandoli” con cibo, carezze e comode cucce.

E se un qualsiasi professionista, persino il migliore sulla piazza, vi dicesse che col tempo quel cane si abituerà, sappiate che sta mentendo spudoratamente: la genetica non la cambi, non sei Dio.

Ecco, Nur appartiene a quella schiera infinita di cani prelevati sul territorio calabrese che in virtù di una papabile adozione, vengono messi in canile in attesa del “lieto fine” al nord Italia. La Calabria, che spesso è tacciata di essere la terra di nessuno in termini di tutela di cani, accoglie nei suoi territori a volte impervi e nascosti un gran numero di gruppi familiari di cani che da generazioni, vive e muore senza regole umane, semplicemente liberi dai vincoli. Cruda come constatazione, certo, ma per chi ha avuto la fortuna di osservare a debita distanza questi cani, sono l’emblema e l’immagine di animali che sanno cavarsela e sopravvivere senza il supporto di nessuno. Nur nasce e cresce in questa terra di nessuno fino a che qualcuno ha deciso che avrebbe potuto avere un’opportunità di essere adottata se solo si fosse fidata più delle persone.

L’arrivo di Nur al Nord

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E’ difficile il più delle volte constatare che in assoluta buona fede, soprattutto quando questi cani sono ancora cuccioli, i volontari scambino alcuni comportamenti per delle grandi paure senza accorgersi che non vi sarà mai il minimo margine in termini di adozione e adattamento verso le persone. A differenza di sua sorella che in tantissime occasioni aveva risposto in modo importante alle richieste delle persone, vendendosi cara la pelle pur di non subire dialoghi ed interazioni con le persone, Nur questa forza caratteriale non l’ha mai tirata fuori. Dal suo arrivo al Nord e per lunghissimi quattro anni, prima di arrivare nella pensione della mia collega Cristina a Pisa, Nur ha subito quella “deformazione professionale” di alcuni che è “lavorare il cane”. Lavorare affinché impari a fidarsi un po’ di più, lavorare affinché possa indossare una pettorina, lavorare affinché impari da buon cane a prendere del cibo dalle nostre mani, lavorare affinché possa imparare ad andare al guinzaglio in virtù di un’adozione.

Il nostro affetto verso i cani a volte è stracolmo di commiserazione, come se ciò che facciamo per loro ci debba essere in qualche modo ripagato dall’apertura e dalla fiducia. Siamo una specie sociale talmente accuditiva che a volte dimentichiamo completamente che ci sono delle caratteristiche di quel cane che la nostra relazione, per quanto profonda, non colmerà mai. Ed è giusto che sia così perché i cani non ci appartengono ma sono animali con meccanismi sociali molto complessi.

Nur aveva la sua famiglia

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E Nur la sua famiglia in Calabria l’aveva, i suoi legami che contano erano lì: chi siamo noi per sostituirci al mondo di un altro essere vivente e decidere che le persone e un’adozione sono meglio di una vita con la propria famiglia canina? Nur forse agli occhi di qualcuno i suoi passi avanti li ha fatti: se le metti una pettorina, beh se la lascia mettere. Se le agganci una lunghina, ci sa andare di fianco ad una persona. Se le chiedi di rientrare nel suo sgambo la sera per mangiare e farsi una dormita, segue Cristina e rientra.

Però, c’è un grande però: questa cose le ha imparate tutte a suon di compromessi che sono diventati delle vere e proprie stereotipie: ad esempio Nur sa stare vicino le persone solo a sinistra perché a destra si blocca e non riesce a muovere un passo. Sa davvero andare a guinzaglio allora? Era questa la competenza che le occorreva implementare nella sua vita? Nur sa rientrare nel suo sgambo per la notte con Cristina, certo, ma anche qui lo fa attraversando la soglia solo da un lato e se la chiami stando lontano, perché altrimenti è impossibilitata a fare un ragionamento senza cadere vittima delle sue emozioni e della distanza mentale dalle persone di cui ha bisogno e si blocca. Eppure Cristina la lascia libera di esprimersi, non ha mai nessuna richiesta nei suoi confronti e da lei non subisce alcun avvicinamento.

Era questo quello che serviva a Nur per vivere meglio? Adesso, in questo anno in rifugio da Cristina, gli unici momenti sociali per lei sono alla presenza di altri due cani con cui esce volentieri e condivide dei momenti: nella sua testa il valore che hanno i cani è nettamente superiore rispetto a quello delle persone. Come darle torto? Se può scegliere, Nur fa le sue pipì guardandoti a distanza di molti metri, per lasciar detto qualcosa di sé agli altri e all’ambiente, con la dovuta cautela e distanza. E chi siamo noi per per decidere che deve starci vicino? Sappiamo benissimo che un cane come lei è un’adozione praticamente impossibile, perché è difficilissimo trovare qualcuno che la lasci libera di esprimersi senza chiederle mai nulla e senza aspettarsi in cambio nulla.

Tante realtà e colleghi in Italia stanno iniziando a investire nella possibilità di tirare su strutture per togliere dai canili in cui sono stati relegati cani come Nur e ridargli, seppur in parte, la dignità che meritano. La speranza in questo senso è che un giorno si possa fare massa critica al punto di non dover più indietreggiare nel guardare gli occhi di un cane chiuso in un box, bloccato lì in attesa di tornare alla sua libertà e a cui è stata promessa una vita che decisamente non avrebbe mai scelto se avesse potuto e per poi soffrire con lui e per lui per un insano egoismo tutto umano.

Nur verrà spostata in uno stallo casalingo entro fine mese perché come una proprietà, credano per lei sia una migliore soluzione. Se ci fosse una struttura che volesse accoglierla facendosi portavoce della sua libertà, siamo pronti ad occuparcene per evitarle questo ennesimo tradimento.

Per maggiori informazioni su Nur:

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