Due rinoceronti e due elefanti a Fontana di Trevi. In tutto il loro splendore, anche se un paio di loro sono incerottati e ricoperti di carta da pacchi. Illuminati dal sole di una calda ottobrata romana, i due animali in realtà erano solo di cartone ma poco importa perché, davanti alla fontana più famosa del mondo tornata affollata di turisti post pandemia, avevano il compito di ricordare a tutti che ancora si può partire per una vacanza, fucile in spalla, e tornare a casa con la testa di un leone, il collo di una giraffa, le zanne di un ippopotamo come souvenir.
I rinoceronti e gli elefanti, soprattutto quelli impacchettati, dovevano ricordare a tutti che ancora si può. E ancora si fa, anche in Italia. Si chiama Caccia al Trofeo, ed è una brutta abitudine, un residuo del passato coloniale di quando i bianchi abbienti e privilegiati potevano permettersi il lusso, ormai indifendibile, di essere ospiti in un paese straniero uccidendone gli animali più iconici e rappresentativi. Si continua a fare anche se l’86% degli italiani intervistati da Savanta ComRes condanna la caccia di qualsiasi animale selvatico, che si trovi in Italia, in Europa, in Africa o in qualunque altra parte del mondo.
Contro questa brutale realtà HSI Humane Society International ha portato i due cartonati davanti alla Fontana di Trevi per tornare a chiedere all’Italia di vietare l’importazione e l’esportazione di trofei di caccia. Li ha messi lì come testimonial della campagna Impallinati, imbalsamati, imballati. In consegna? #NotinMyWorld che chiama in causa i cittadini pregandoli di prendere posizione e fare pressione sui governi degli Stati membri dell’Unione Europea perché questa pratica inutilmente feroce finisca al più presto.
«Se Italia e Europa sono parte del problema, allora possono essere anche parte della soluzione»
«Anche se l’uccisione avviene in Africa, Nord America e Russia – spiega Martina Pluda direttrice per l’Italia di HSI che con le sue iniziative è presente in 50 paesi del mondo – la triste verità è che l’Unione Europea svolge un ruolo cruciale e letale quando si tratta di caccia al trofeo. Tra il 2014 e il 2020 l’Italia ha importato 437 trofei provenienti da specie protette a livello internazionale. In Europa l’Italia è il primo importatore di trofei di ippopotami e il quarto importatore di trofei di leoni africani di origine selvatica. Il quinto per quanto riguarda gli elefanti. Forse non possiamo fermare tutto questo, ma possiamo chiedere alla politica di agire. Se l’Italia e l’UE sono parte del problema, possiamo anche essere parte della soluzione, fermando le importazioni e le esportazioni da e per il nostro paese».
Cos’è la caccia al trofeo?
Cacciare non per mangiare il corpo dell’animale ucciso, ma per ottenerne alcune parti da poter esporre. È questa, in sintesi, la Caccia al Trofeo. Per farla, i cacciatori appassionati, non esitano ad attraversare continenti per partecipare a gare molto costose che offrono la possibilità di tornare a casa con teste, pelli, artigli, denti, zanne, corna o, a volte, corpi interi impagliati. Alcuni animali, tra quelli maggiormente cacciati come ad esempio elefante, leone e leopardo africano sono classificati come specie “vulnerabili”, mentre il rinoceronte nero è classificato come specie “in pericolo critico”. Spesso, inoltre, la Caccia al Trofeo è associata a pratiche antisportive e molto crudeli: fra queste spicca la cosiddetta “canned hunting” la caccia in scatola, che uccide animali in grandi spazi recintati ma esposti ai cacciatori, protetti da reti, senza alcuna via di fuga.
Nessun rimpianto per la sofferenza animale
La sofferenza animale non è considerata. Il Safari Club International, un’organizzazione di cacciatori dedita alla protezione della libertà di caccia, ha istituito il “Premio per i metodi alternativi” per gli animali uccisi con fucili ad avancarica, pistole, archi e altre armi. Armi obsolete che aumentano la sofferenza e l’agonia dell’animale. Il leone Cecil, ferito a morte con le frecce nel 2015 in Zimbawe, agonizzò per almeno per 10 ore, prima di essere ritrovato il giorno successivo alla sua morte. Si può leggere sul loro sito: «Il SCI Italian Chapter premia ogni anno i 10 migliori trofei di ogni Continente e i 10 migliori trofei conseguiti con l’arco. Verranno anche premiati il miglior trofeo Italiano e il miglior trofeo in assoluto (Overall). Per il miglior trofeo in assoluto (Overall) non varrà la distinzione del metodo di caccia».
Il sondaggio: l’86% non vuole la caccia di animali selvatici; l’88% è contraria all’importazione dei trofei
A marzo 2021 l’HSI ha commissionato a Savanta ComRes un sondaggio on line su un totale di 10.587 adulti in 5 paesi diversi (Danimarca, Germania, Italia, Polonia e Spagna) per capire cosa pensa l’opinione pubblica riguardo alla Caccia al Trofeo e sull’importazione di questi trofei in Europa. L’esito appare inequivocabile: una maggioranza significativa degli italiani intervistati (86%) si oppone alla caccia al trofeo di tutti gli animali selvatici. Ancora di più (88%) se si tratta di animali protetti. Soltanto un quarto (25%) è consapevole che questo tipo di caccia è consentita oggi in Europa e soltanto la metà che anche gli stessi italiani viaggiano all’estero proprio per cacciare animali selvatici e tornare in Italia con i loro resti. Ancora l’88%, quindi una maggioranza ben significativa, è contraria a permettere l’importazione in Italia di trofei di caccia di animali morti. Infine, per 85 persone su 100, la caccia al trofeo contribuisce all’estinzione delle specie animali. L’ippopotamo, l’elefante africano e il leone sono le tre specie di animali più cacciate per portarne parti in Italia come trofei: oltre 240 nei cinque anni 2014-2018.
Meglio le foto: un elefante può produrre anche 1,6 milioni di dollari
Invece di ucciderli, gli animali possono diventare un vero traino per il turismo. Lo sanno bene nella Repubblica democratica del Congo e in Uganda, dove la presenza e la salvaguardia dei gorilla di montagna è stato un vero toccasana per le popolazioni locali. E infatti, fra i dati offerti da HSI, quello che colpisce di più è l’inutilità economica della Caccia al Trofeo, che si unisce ovviamente alle motivazioni di carattere etico. «Il costo di una singola Caccia al Trofeo può arrivare a 400 mila dollari nel caso del rinoceronte nero – spiega Martina Pluda – ma solo una minima parte di questa somma finisce per finanziare la conservazione della specie. Invece lasciare in vita gli animali rende molto di più. Se infatti un cacciatore può arrivare a pagare fino a 40 mila dollari per sparare a un elefante maschio, lo stesso animale vivo può generare ogni anno 23 mila dollari tramite turismo fotografico, ottenendo un valore potenziale di 1,6 milioni di dollari nell’arco della sua vita».
Cosa può fare l’Italia?
In una società sempre più attenta alla protezione della biodiversità e alla conservazione delle specie selvatiche, dopo i moniti che sono arrivati dalla pandemia di covid 19 e nel tentativo di contrastare gli effetti sempre più devastanti del cambiamento climatico, quale ruolo può avere la politica nella questione dell’uccisione di specie iconiche come elefanti, leoni e rinoceronti per il solo piacere di trasformare una zampa in un posacenere, un collo in una lampada, una zanna d’avorio in un soprammobile? «Questa nuova campagna internazionale nasce proprio con questo obiettivo: sensibilizzare l’opinione pubblica e fare pressione sui Governi degli Stati membri dell’Unione Europea – conclude Martina Pluda. – Per questo motivo, HSI/Europe ha lanciato una petizione (hsi.org/bastacacciaaltrofeo) per chiedere all’Italia di introdurre un divieto di importazione, esportazione e ri-esportazione dei trofei di tutte le specie minacciate o in pericolo di estinzione».