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1 Novembre 2021
11:19

Non solo gli umani sono capaci di tenere il ritmo: lo fanno anche i lemuri del Madagascar

Le ricerche sono durate 12 anni e grazie a numerose spedizioni nelle foreste pluviali del Madagascar e la collaborazione con un gruppo del luogo, gli studiosi sono riusciti a registrare i canti di venti diversi gruppi di indri, dimostrando che i primati comunicano attraverso questi suoni che seguono ritmi specifici, esattamente come avviene negli esseri umani.

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Sono unici nella loro varietà, vivono solo nel loro habitat naturale, il Madagascar e su alcune piccole isole vicine, e lottano per la vita quotidianamente a causa della deforestazione. Sono i Lemuriformes, o più conosciuti come Lemuri. Appartengono all’ordine dei primati e sono considerati antenati delle scimmie e la loro varietà è impressionante: si contano ben 100 specie diverse che si distinguono per le dimensioni e l’aspetto.

Tra queste, il più grande è l’indri che può superare anche i 9 chili. Ma non è questa la sua particolarità più interessante. Sembra infatti che l’indri, non solo sappia cantare, ma abbia il senso del ritmo, come gli esseri umani. Lo rivela uno studio dell’Università di Torino, realizzato insieme all'Enes Lab di Saint-Etienne e all'Istituto Max Planck di Psicolinguistica di Nijmegen e pubblicata di recente su Current Biology.

Le ricerche sono durate 12 anni e grazie a numerose spedizioni nelle foreste pluviali del Madagascar e la collaborazione con un gruppo del luogo che si occupa della protezione e dello studio di questi primati fortemente minacciati dalla riduzione del loro habitat, gli studiosi sono riusciti a registrare i canti di venti diversi gruppi di indri, dimostrando che i primati comunicano attraverso questi suoni che seguono ritmi specifici.

L’evento è considerato un'importante scoperta per due motivi: il primo, perché fino a oggi la bioacustica, ovvero l’ascolto e lo studio dei suoni della natura, attraverso cui gli animali comunicano, si corteggiano, si riproducono e trovano cibo aveva appurato che l'abilità di cantare, seguendo schemi ritmici tipici della musica umana, apparteneva solo gli uccelli. Mai, infatti, finora si era riscontrata in qualche altra specie.

Il secondo perché, come spiega nella ricerca Andrea Ravignani, coautore del testo insieme a Chiara De Gregorio, cercando le abilità musicali in altre specie, diventa possibile comprendere meglio come le capacità ritmiche si siano originate ed evolute negli umani. Ravignani aggiunge anche che la speranza della ricerca è che possa fare da apripista per nuove indagini sempre sui lemuri, prima che sia troppo tardi per ascoltare i loro spettacolari canti, ma anche su altre specie ancora non studiate sotto questo punto di vista.

I lemuri in pericolo: il loro habitat scompare rapidamente

Secondo l'IUCN, l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, con più del 90% degli esemplari che vedono la propria esistenza minacciata, i lemuri sono la specie più in pericolo al mondo. Una situazione allarmante, dovuta alla continua distruzione del loro habitat e alla caccia illegale.

L'isola del Madagascar era coperta da vaste foreste, ma quando 2000 anni fa i primi uomini cominciarono a colonizzare l'isola, ebbe inizio la distruzione, che continua tutt’ora, con uno sconsiderato disboscamento per ottenere terreni coltivabili, per ricavare legna da ardere e carbone e per fare spazio alle attività dell'industria mineraria. Tutto questo sfruttamento intensivo delle foreste non fa che distruggere e rendere sempre più piccolo e frammentato l'habitat in cui i lemuri sono costretti a vivere.

Come se non bastasse, i lemuri sono vittima anche della caccia illegale. Nonostante siano protetti dalle leggi del Madagascar, le specie più grosse rappresentano una fonte di cibo per la popolazione, a causa della povertà diffusa, e altre, che sono invece considerate presagi di pericolo in arrivo, vengono uccise dalle tribù.

E il futuro non appare per nulla roseo per i lemuri: i nuovi modelli sul cambiamento climatico e sulla perdita delle foreste pluviali elaborati da Adam Smith, ecologo del Missouri Botanical Garden e autore di uno studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, mostrano che la combinazione tra deforestazione e clima instabile potrebbe far sparire la foresta nel giro di 60 anni, trasformandola in praterie degradate e terreni coltivati.

Per lo scienziato, però, non bisogna perdere la speranza. Nel senso che le previsioni dello studio devono essere il tentativo di stabilire cosa succederà in futuro, delineando quindi le possibili opzioni per agire.

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Simona Sirianni
Giornalista
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