Un nuovo studio dimostra che la reintroduzione dei lupi nel Parco Nazionale di Yellowstone non ha ripristinato un ecosistema degradato dalla loro assenza. I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Ecological Monographs.
Molto spesso gli ecosistemi subiscono dei danni perché vengono modificate le reti alimentari al loro interno. Questo causa uno squilibrio tra le varie specie che si cerca di colmare reintroducendo gli animali che, per un motivo o per un altro, sono scomparsi o diminuiti. Eppure, come dimostrano i risultati della ricerca, non sempre queste azioni sono efficaci.
Per comprendere meglio il concetto della reintroduzione delle specie in un ecosistema, possiamo pensare a un oggetto che si rompe. Una volta frantumato in mille pezzi, possiamo cercare di ripararlo, ma è difficile che torni esattamente come prima, forse non sarà nemmeno più forte o stabile come un tempo. Ecco, le reintroduzioni delle specie all'interno di un'ecosistema servono per riparare danni dovuti alla loro assenza, ma non è detto che siano totalmente efficaci e che possano ristabilire l'equilibrio iniziale. In questo contesto si inserisce uno studio condotto dai ricercatori del Warner College of Natural Resources della CSU hanno esaminato gli effetti di tre predatori apicali a Yellowstone: lupi grigi (Canis lupis), puma (Felis concolor) e orsi grizzly (Ursus arctos horribilis).
Lupi e puma furono sterminati dall'uomo a Yellowstone all'inizio degli anni '20. Senza predatori apicali, gli alci vivevano indisturbati e hanno fatto piazza pulita dei salici che si trovavano lungo i corsi d'acqua nella catena settentrionale di Yellowstone, esaurendo, così, cibo e i materiali utilizzati dai castori costringendoli a spostarsi in aree più adatte. Tuttavia, con la reintroduzione dei lupi nel parco nel 1995 e il contemporaneo recupero naturale delle popolazioni di puma e grizzly, il numero di alci ha iniziato a diminuire. Nonostante ciò, la rigenerazione dei salici non è stata efficace a causa dell'eccessiva presenza di bisonti, i cui numeri sono aumentati in modo significativo in quanto raramente cacciati dai carnivori per via delle loro dimensioni massicce.
Nel 2001, quindi, inizia uno studio per vedere se il ripristino dei carnivori potesse far riprendere l'ecosistema. I ricercatori hanno delineato quattro aree di studio nella zona settentrionale del parco, recintato otto lotti per impedire il pascolo e costruito dighe artificiali (ma come se fossero fatte dai castori) sia in lotti recitanti che non. Hanno inoltre lasciato inalterate le aree di controllo per vedere eventuali differenze con quelle modificate. Se i predatori avessero regolato la popolazione di alci, impedendo loro di mangiare i salici, il paesaggio sarebbe ipoteticamente tornato allo stato precedente. Invece, i salici non sono cresciuti molto nelle zone di controllo, mentre nei siti recintati e con dighe artificiali si.
Questo dimostra che non basta reinserire "specie mancanti" per ripristinare un ecosistema. In questo caso, infatti, nel corso del tempo si sono verificati molti cambiamenti all'interno del parco, tali da non rendere sufficiente la reintroduzione del lupo e il rispristino di orsi e puma. «Questa ricerca contribuisce notevolmente alla nostra comprensione di Yellowstone, evidenziando il grado in cui i collegamenti complessi in una rete alimentare influenzano gli ecosistemi durante il recupero delle specie autoctone», afferma Daniel Stahler, biologo esperto della fauna selvatica del Parco Nazionale di Yellowstone. «Questa ricerca evidenzia anche il valore dei parchi nazionali nell’aiutarci a comprendere i processi ecologici, al fine di proteggere meglio gli ecosistemi. Non dovremmo avere cura dei nostri parchi nazionali solo perché proteggono, preservano e consentono alle persone di godersi la natura, ma perché forniscono un luogo in cui la scienza ben progettata può elevare la nostra comprensione della sua complessità».