Eccoci qui noi umani: abbiamo potuto coniare un "-ismo" che, con accezione negativa, descrive a pieno il nostro atteggiamento verso gli animali. Un "-ismo", inteso quindi come atteggiamento, tendenza, comportamento o azione, collettivi o individuali, per definire la differenza esistenziale che crediamo esista tra noi animali umani e gli animali non umani, screditando il loro diritto all’esistenza e la dignità della loro vita. Parliamo dello specismo, cui si oppone e contrappone l’antispecismo.
Lo specismo indica quindi l'attribuzione arbitraria, basata sull’irrazionalità e sul pregiudizio, di uno status di superiorità degli esseri umani rispetto alle altre specie animali. Si tratta a tutti gli effetti di una discriminazione che ha affinità e analogie con altre forme di pregiudizio intra-umane, come il razzismo, il sessismo e il classismo, per le quali chi le condivide o le pratica si pone in una posizione di privilegio e superiorità rispetto all’ “altro”.
Lo specismo trova (meglio dire cerca) la sua giustificazione in una filosofia morale antropocentrica e nella sua componente storica, sociologica e antropologica. Si manifesta non solo con l’ideologia pregiudiziale ma anche con atteggiamenti sociali discriminatori dell’uomo verso gli altri esseri senzienti in quanto non umani e ancor più con comportamenti di controllo, dominio e sfruttamento.
Questa ideologia diventa spesso anche fonte di giustificazione di palesi situazioni di maltrattamento animale travestite da cultura, come ad esempio la corrida dei tori.
Esiste, inoltre, una forma di specismo non basata sull’antropocentrismo, ovvero il ritenere che una specie diversa dalla specie umana sia comunque superiore ad altre; un esempio potrebbe essere considerare il cane superiore al maiale, alla vacca o alla gallina.
La nostra società dà quotidiane dimostrazioni di protezione verso i più deboli, come avviene per esempio con bambini, anziani o adulti con disturbi mentali. Ciò non avviene sistematicamente però con gli animali. Esseri ed individui senzienti che come noi sono in grado di provare emozioni, mostrare preferenze e desideri, sperimentare piacere, dolore e sofferenza, dei quali spesso sottovalutiamo le capacità mentali (come dimostrato da studi scientifici) e che, come queste categorie umane, non sono in grado di difendersi. Per questo socialmente dovremmo proteggerli e difenderli.
Breve storia dello specismo, prima della sua definizione
Lo specismo (la cui definizione nasce però in epoca moderna), ha antichissime origini, provenienti da dottrine filosofiche e religiose, per le quali gli animali sono risorse al servizio dell’uomo. A favore dello specismo nei secoli si sommano poi l’errata interpretazione dell’evoluzionismo e, al giorno d’oggi, anche “semplicemente” l’ignoranza.
Nell’antica Grecia, per esempio, per Platone e per il suo discepolo Aristotele, l'animale è a servizio dell'uomo in quanto si trova più in basso nella gerarchia della natura. La natura è, infatti, considerata dotata di struttura gerarchica in base alle capacità razionali. La concezione aristotelica fu quella che entrò a far parte del pensiero occidentale e diede origine a molte idee speciste che tuttora permangono.
A lui si ispira ad esempio San Tommaso d'Aquino, per il quale “non è peccato infliggere sofferenza agli animali e non è caritatevole astenersene”. Il Santo sostenne che gli animali sono esclusi dalla sfera morale, per cui non è un peccato procurare loro dolore. In una visione estremamente antropocentrica, l’unica ragione contro la crudeltà verso gli animali è che questa può portare alla crudeltà verso gli esseri umani.
Vi sono poi filosofi come Cartesio per il quale l’essere umano è superiore agli altri esseri poiché privi di anima e di coscienza. Questi non possono provare dolore e quando sembrano manifestare sofferenza in realtà reagiscono semplicemente a uno stimolo meccanico.
Rispetto alla religione possiamo per esempio citare la cristiana. L’antichissimo libro della Genesi cita: “L’uomo domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. […] Riempite la terra e soggiogatela” (Genesi 1, 26-28).
Anche nella religione islamica il Corano riporta un concetto simile: “Creò le greggi da cui traete calore e altri vantaggi e di cui vi cibate. […] Trasportano i vostri pesi verso contrade che non potreste raggiungere, se non con grande fatica. […] E vi ha dato i cavalli, i muli e gli asini, perché li montiate e per ornamento” (Corano 16:5-8). La religione islamica prevede inoltre il sacrificio animale come rituale religioso.
A queste dottrine filosofiche si contrappongono invece altri illustri esponenti come Pitagora, Ovidio, Seneca, Leonardo Da Vinci, Giordano Bruno, San Francesco d’Assisi, Voltaire, Hume, e Schopenhauer, per citarne alcuni.
Le religioni orientali, invece, come Buddhismo e Induismo, si contrappongono a quelle occidentali diffondendo l’insegnamento basato sull’uguaglianza tra umani e gli animali, con pari dignità e portatori degli stessi diritti.
Il termine specismo
La storia della dominanza dell’uomo sugli animali è quindi lunga quanto la storia dell’uomo: è però nel secolo passato che nasce il termine specismo. Negli anni 60, mentre cresceva un fervore principalmente incentrato contro il razzismo, il sessismo e il classismo, l’etica e la politica sembravano trascurare i non umani ma, in poco tempo, si iniziarono a sviluppare ideologie morali che considerassero gli animali.
Il termine specismo nasce appena 50 anni fa: venne coniato nel 1970 dallo psicologo e scrittore britannico, sostenitore della difesa dei diritti degli animali, Richard Dudley Ryder. In un opuscolo contro la sperimentazione animale, l’autore sosteneva che il tentativo di ottenere benefici per la specie umana attraverso l’abuso di individui di altre specie è “semplicemente specismo e come tale si basa su ragioni morali egoistiche piuttosto che su ragioni razionali”. Ryder inizia a paragonare inoltre lo specismo al razzismo: “… l’irrazionalità in entrambe le forme di pregiudizio è identica. Se viene accettato come moralmente sbagliato infliggere deliberatamente sofferenza a creature umane innocenti, è conseguentemente logico considerare anche sbagliato infliggere sofferenza a individui innocenti di altre specie”.
Il termine verrà poi reso popolare nel 1975 da Peter Singer, filosofo australiano, saggista e docente di bioetica, nel suo libro-manifesto del movimento animalista “Liberazione animale”. Secondo Singer, lo specismo è “un pregiudizio o atteggiamento di prevenzione a favore degli interessi dei membri della propria specie e a sfavore di quelli dei membri di altre specie”.
Gli autori ritengono che lo specismo sia parte integrante di quella lunga serie di atteggiamenti che violano il principio di eguaglianza, che hanno nel razzismo e nel sessismo le loro espressioni intra-specifiche più caratteristiche ed evidenti.
Al principio del XXI Secolo, il sociologo David Nibert completa queste nozioni aggiungendo che lo specismo è “un’ideologia diffusa per legittimare l’uccisione e lo sfruttamento degli altri animali”.
In Italia, il filosofo, etologo e zooantropologo Roberto Marchesini, è autore di numerosi articoli e libri sui temi dello specismo e dell’antispecismo. Marchesini – che è stato protagonista di uno dei nostri video incontri di MeetKodami – ribalta la posizione di superiorità auto-attribuita dall’uomo, affermando che egli si proietta al di sopra della natura a causa di un profondo senso di incompletezza e di una sua difficoltà a trovare una propria identità all’interno del mondo naturale. L’umano cerca quindi di risolvere questa difficoltà creando la distinzione cultura-natura. L’animale quindi, che non possiede cultura e non è capace di proiettarsi al di fuori della natura, viene reificato e considerato oggetto d’utilità.
Antispecismo
L'antispecismo è il movimento filosofico, culturale, politico e sociale, anche in forma di attivismo, che si oppone allo specismo, all’antropocentrismo e all’ideologia del dominio veicolata dalla società umana. Per l’antispecismo non sono moralmente ed eticamente giustificabili sia l'attribuzione di un diverso valore e status agli individui unicamente in base alla loro specie di appartenenza, che la presunzione umana di poter disporre della vita, della libertà e del corpo di un essere senziente di un’altra specie.
L’antispecismo si basa sull’uguaglianza, proprio come l’antirazzismo rifiuta la discriminazione arbitraria basata sulla presunzione dell’esistenza di razze umane migliori o superiori e come l’antisessismo e l’anticlassismo respingono la discriminazione basata sul sesso e sulla classe sociale.
L’antispecismo cerca di destrutturare e ricostruire la società umana in base a criteri ecocentrici e non più antropocentrici, per i quali noi siamo parte integrante di un sistema globale e non più super partes.
E' il risultato di una lunga storia che passa da distinte fasi e distinte ideologie, risedendo nell’animalismo che denuncia la violenza dell'uomo verso gli altri animali e ne promuove il rispetto dei diritti. Si passa così dal “semplice” principio di zoofilia (amore verso gli animali) e dal principio protezionista degli animali come “estensione” dei diritti e dei bisogni umani, a un vero e proprio movimento radicale liberazionista dell'animale dal dominio umano, che va quindi ben al di là della zoofilia e del protezionismo vecchio stampo.
In un’ipotetica società umana liberata e aspecista i rapporti tra umani e altri animali dovrebbero cambiare radicalmente e non essere più regolati dal controllo e dallo sfruttamento da parte dell’umano, nell’ottica di una pacifica convivenza su un pianete che non è solo nostro e utilizzando risorse che non sono solo nostre e generando il minor impatto possibile sugli altri esseri senzienti.