I takahē non sono più estinti come gli studiosi hanno continuato a credere fino qualche tempo fa. Questo bellissimo uccello dal piumaggio blu-verde, infatti, è tornato a popolare la Nuova Zelanda grazie agli sforzi di conservazione portati avanti da un team di specialisti del DOC, il Department of Conservation, che si è preso cura degli ultimi esemplari rimasti facendoli riprodurre finché non è stato possibile reinserirli nel loro habitat naturale.
E così è stato, tanto che questi buffi uccelli che sembrano una palla, si sono potuti “riappropriare” dell'Isola del Sud, loro casa originaria, dove ora vengono custoditi come icona nazionale, potendo finalmente crescere liberi in vaste aree della loro antica zona naturale.
Incapaci di volare, i takahē (Porphyrio hochstetteri) scomparirono verso la fine del XIX secolo, a causa dell’arrivo dei colonizzatori europei che distrussero il loro habitat introducendo specie alloctone come ermellini, furetti e gatti, loro predatori. Nel 1898 gli ultimi quattro esemplari vennero uccisi dai cacciatori e l’uccello venne definitivamente dichiarato estinto.
Si può immaginare quanto inaspettata sia stata la sorpresa del medico Geoffrey Orbell e la sua equipe nel 1948 quando ne scoprirono alcuni esemplari sopravvissuti in una zona remota dei monti Murchison. Fu reputato un tale miracolo che si decise di intraprendere subito azioni mirate per la sua salvaguardia. E fu così che nel 1985 venne creato il Burwood Takahē Centre, dove le uova dell’animale venivano incubate artificialmente, con lo scopo di far riprodurre la specie per restituirla un giorno alla natura.
Nel 2016 il numero di esemplari di takahē si aggirava sulle 300 unità e oggi, grazie a iniziative, ricerche e progetti di monitoraggio, se ne possono contano circa 500. Attualmente sono classificati come "vulnerabili" a livello nazionale pertanto la popolazione viene tenuta sotto controllo dal programma statale Takahē Recovery Programme all'interno del quale gli scienziati stanno lavorando duramente per aumentarne il numero e stabilire popolazioni selvatiche autosufficienti all’interno del loro precedente areale, le praterie native dell’Isola del Sud.
Il progetto è guidato da specifici obiettivi da raggiungere entro il 2026: aumentare il tasso di crescita della popolazione e aumentare la popolazione di takahē fino a un minimo di 90 coppie riproduttrici in siti sicuri. Poi stabilire almeno un nuovo sito di recupero e, quindi, far crescere di più la consapevolezza che questi uccelli sono un’icona della conservazione, riconoscimento che può contribuire molto al successo del programma di recupero.
Il lavoro per il recupero di questa specie fa parte di un impegno molto più ampio della Nuova Zelanda di proteggere i suoi uccelli unici e minacciati dai predatori. Per farlo, il Paese non utilizza metodi che possono definirsi propriamente etici, anzi: la volontà è, infatti, eliminare i predatori introdotti come ratti, opossum ed ermellini entro il 2050 e, man mano che il numero diminuirà, reintrodurre le specie rare anche al di fuori dei santuari o delle aree protette, come è successo per il kiwi, l’uccello nazionale, che l’anno scorso per la prima volta dopo generazioni, venne reintrodotto nella natura selvaggia alla periferia della città.