Oggi 13 ottobre è la Giornata Internazionale per la Riduzione dei Disastri. Una giornata voluta dall’Unesco che nel 1989 l’ha istituita per sottolineare l’esigenza della promozione di una cultura globale sulla consapevolezza dei rischi legati alle catastrofi ambientali. Si celebra in tutto il mondo e non potrebbe che essere così: dagli incendi in Australia alle alluvioni che hanno devastato l’Italia solo qualche settimana fa, tutto il Pianeta è ormai teatro di un cambiamento climatico epocale che ha aperto la strada alle catastrofi naturali. Ma esistono modi in cui le comunità e le istituzioni possono intervenire per ridurre le loro esposizioni ai disastri naturali?
Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un aumento del numero dei disastri naturali, causati principalmente dal cambiamento climatico, i cui effetti sono sempre più devastanti, causando perdite umane e con impatti negativi economici, sociali e sullo sviluppo sostenibile. L’impatto dei disastri naturali è sproporzionato, in particolare, quando si tratta di paesi a basso e medio sviluppo. Combattere la fame e la povertà nel mondo, richiede maggiori investimenti nella riduzione dei rischi di catastrofi. Inoltre, sono necessari interventi immediati, volti a ridurre il cambiamento climatico,
Il Living Planet Report 2022 del WWF: gli animali si estinguono, il clima impazzisce
«Il messaggio è chiaro e le luci lampeggiano in rosso – sottolinea subito Marco Lambertini direttore generale di WWF International che oggi presenta il più che mai necessario Living Planet Report 2022 – Il nostro rapporto più completo di sempre sullo stato delle popolazioni globali di animali selvatici di vertebrati presenta cifre terrificanti: uno scioccante calo di due terzi del Living Planet Index in meno di 50 anni. E questo arriva in un momento in cui stiamo finalmente iniziando a comprendere l'impatto sempre più profondo delle crisi interconnesse tra clima e natura, e il ruolo fondamentale che la biodiversità gioca nel mantenimento della salute, della produttività e della stabilità dei numerosi sistemi naturali da cui dipende tutta la vita sulla Terra».
Le indicazioni del WWF sulla ricaduta in termini di disastri ambientali della perdita di biodiversità è chiarissimo: le crisi del clima e la perdita di biodiversità non sono separate l'una dall'altra ma sono due facce della stessa medaglia. Il cambiamento dell'uso del suolo è ancora infatti il principale fattore di perdita di biodiversità e gli impatti a cascata del cambiamento climatico stanno già impattando i sistemi naturali.
Ma è soprattutto un elemento quello al quale non si può non fare attenzione nella Giornata Internazionale per la Riduzione dei Disastri.: se non riusciremo a limitare l’aumento medio delle temperature a 1,5°C, è probabile che il cambiamento climatico diventerà la causa principale della perdita di biodiversità nei prossimi decenni. Con le conseguenze che stiamo imparando a conoscere fin troppo bene ogni volta che il territorio e le persone che vi abitano sono devastati da terremoti, alluvioni, frane, allagamenti, maremoti, incendi e devastazioni naturali di ogni genere.
Non si tratta solo di disastri naturali ma di tutto un mondo ormai interconnesso. «La perdita di vite umane e di beni economici a causa di condizioni meteorologiche estreme; povertà aggravata e insicurezza alimentare da siccità e inondazioni; disordini sociali e aumento dei flussi migratori; malattie zoonotiche che mettono in ginocchio il mondo intero – spiega ancora il direttore di WWF International – La perdita di natura inizia a mostrare un senso più ampio della sua importanza vitale per la nostra economia, stabilità sociale, benessere individuale e salute, e come una questione di giustizia. Le popolazioni più vulnerabili sono già le più colpite dai danni ambientali e stiamo lasciando una terribile eredità ai nostri figli e alle generazioni future. Abbiamo bisogno di un piano globale per la natura, come abbiamo fatto per il clima».
Perdere animali vuol dire cambiare il clima e aprire la porta ai disastri naturali
Ma in che modo l’azione dell’uomo può portare alla perdita di biodiversità e quindi a possibili cambiamenti climatici che innestano i disastri naturali? Il Living Planet Report 2022 mostra come è possibile creare un vero e proprio hotspot delle minacce analizzando i dati delle Liste Rosse IUCN. Scopriamo così che per i vertebrati terrestri sono sei le principali minacce: agricoltura, caccia, deforestazione, inquinamento, specie invasive e cambiamenti climatici. In particolare l'agricoltura è la minaccia più diffusa per gli anfibi, mentre la caccia e il bracconaggio hanno maggiori probabilità di minacciare uccelli e mammiferi.
«Questo lavoro – spiega il report – ha rivelato che le minacce provenienti da agricoltura, caccia e bracconaggio, e deforestazione sono particolarmente gravi ai tropici; mentre hotspot di inquinamento sono particolarmente importanti in Europa. L'Himalaya, il sud-est asiatico, la costa orientale dell'Australia, la foresta secca del Madagascar, il Rift Albertino e le montagne dell'Africa orientale, le foreste della Guinea dell'Africa occidentale, la foresta atlantica, l’Amazzonia e le Ande settentrionali fino a Panama e il Costa Rica nell'America meridionale e centrale, sono state tutte considerate "aree ad alta priorità per la mitigazione del rischio" per tutti i gruppi tassonomici in tutte le categorie di minaccia».
Gli oceani a rischio: un pericolo per il Pianeta
Anche ciò che succede negli abissi degli oceani non è meno importante, e anche in questo caso le attività dell’uomo, in questo caso la pesca, sono causa diretta della sua distruzione. Il rapporto WWF sottolinea, ad esempio, come «l’abbondanza delle popolazioni di squali e razze oceanici a livello globale è diminuita del 71% negli ultimi 50 anni, principalmente a causa di un aumento di 18 volte della pressione di pesca dal 1970. L'abbondanza globale di 18 su 31 specie di squali e razze oceaniche è diminuita del 71% negli ultimi 50 anni».
Come impatta questo sulla vita del Pianeta? «Il declino di grandi predatori apicali come squali e tonni può comportare cambiamenti funzionali significativi nelle reti alimentari oceaniche. Ma gli squali sono fondamentali anche per l’economia di molte comunità locali e minacciano inoltre la sicurezza alimentare e il reddito in molte nazioni a basso reddito».
Esiste un’alternativa? «Lo sviluppo di mezzi di sussistenza alternativi e altre possibilità di reddito per i pescatori potrebbe facilitare notevolmente la transizione verso la sostenibilità. Arrestare il declino e riportare le popolazioni a livelli sostenibili attraverso limiti di cattura contribuirà a garantire il futuro di questi predatori iconici, nonché degli ecosistemi e delle persone che dipendono da essi».
Esempi di protezione, conservazione e resilienza
C’è un modo per invertire la rotta? Per evitare che le attività umane, che da millenni sostengono la vita degli uomini producendo quanto necessario alla sussistenza, non entrino in conflitto con la conservazione della terra e non provochino disastri naturali? Secondo il Living Planet Report 2022 si. Si tratta di cambiare il modo di concepire lo sfruttamento del territorio e delle sue risorse. «In Zambia – cita ad esempio il rapporto – l’aumento delle temperature e il cambiamento del regime delle precipitazioni hanno portato a un aumento della frequenza di inondazioni e eventi di siccità. Tra le altre cose, questi eventi hanno sconvolto i sistemi idrici che sono fondamentali per sostenere gli ecosistemi, nonché le condizioni di vita e la salute delle comunità locali. La scarsità idrica produce impatti ambientali e sociali, ulteriormente esacerbati dal cambiamento climatico».
Un'iniziativa locale, Climate Smart Agriculture Alliance (CSAA), sta però provando a sovvertire la situazione e capovolgere i parametri fin ora adottati per lo sfruttamento del territorio. «Si sta lavorando con i membri della comunità piantando specie di colture autoctone all'interno dei bacini idrografici di uno dei distretti Chikankata, con l’obiettivo di aumentare le risorse idriche per un uso futuro. I membri della comunità locale, in questo modo, gestiscono i bacini idrografici, proteggendoli e preservandoli e allo stesso tempo aumentando la resilienza agli impatti della crisi climatica».
Nel 2021, per la prima volta, gli organismi delle Nazioni Unite per il clima e la biodiversità – l'Intergovernmental Panel on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) e l'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – si sono riuniti per evidenziare le molteplici connessioni tra le crisi del clima e della biodiversità, comprese le loro radici comuni, e ci hanno avvertiti dei rischi emergenti di un futuro invivibile.
Il punto è, come avverte il rapporto, che «gli esseri umani utilizzano tante risorse ecologiche come se vivessimo su quasi due pianeti. Questo erode la salute del nostro pianeta e le prospettive dell'umanità». Ma con una riorganizzazione fondamentale, a livello di sistema, degli ambiti tecnologici, economici e sociali, compresi i modelli, gli obiettivi e i valori, potremmo ancora avere la possibilità di invertire il trend di declino della natura. Fondamentale quindi Cop 15, la quindicesima Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica, che si terrà dal 7 al 19 dicembre a Montreal. Sarà l’incontro conclusivo per definire il piano strategico globale per il prossimo decennio. «Solo attraverso l'identificazione e la ricerca di soluzioni che affrontano queste sfide connesse garantendo al contempo benefici per le persone – conclude il rapporto – saremo in grado di correggere il tiro e garantire un mondo naturale più sano, aiutando a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile». Con buone probabilità di interrompere il circolo vizioso della perdità di biodiversità che provoca cambiamenti ambientali a loro volta causa di disastri naturali che non riusciamo a prevenire ma che distruggono territori e vita.
Immagini fotografiche dal Living Planet Report 2022