L’Italia, essendo una penisola, è una delle poche nazioni al mondo che può vantarsi di affacciarsi su ben quattro mari differenti che presentano una comunità ittica molto variegata e stratificata, apprezzata da secoli dalle popolazioni umane. Presentando un elevato numero di specie di pesci, i mari italiani ovviamente sono abitati anche da specie considerate pericolose per gli esseri umani in quanto velenosi o potenzialmente aggressivi.
Tra queste specie incontriamo da una parte non solo quelle aliene ma anche quelle che abitano il bacino del Mediterraneo da sempre, con cui abbiamo avuto a che fare da generazioni e la pericolosità eventuale di un abitante del mare non dipende dal fatto che sia autoctono o meno.
Tra le specie considerate pericolose infatti ci sono sia il pesce scorpione (Pterois miles), proveniente dal Mar Rosso, che la tracina (appartenente alla famiglia Trachinidae) che veniva descritta già all’epoca degli antichi greci e dei romani come uno dei pesci più subdoli per via del suo comportamento che lo spinge a nascondersi sotto la sabbia.
Il fatto che i biologi della conservazione e gli ecologi siano preoccupati per l’arrivo costante di specie provenienti da altri mari non deve dunque indurre a credere che siano tutte pericolose. Le ragioni che spingono questi scienziati a temere questi animali sono legate infatti alla minaccia che possono rappresentare per le specie autoctone e l’equilibrio ecologico dei nostri mari.
La pericolosità di un pesce dal punto di vista medico e sanitario invece si deve valutare relativamente all’eventuale rischio di avvelenamento, d’intossicazione, di ferimento, morte o lacerazione che uno di questi animali può arrecare all’uomo. Bisogna inoltre ricordare che questi pesci non possono considerarsi cattivi come troppo spesso vengono narrati sui media: questi animali seguono solamente la loro natura e usano i loro sistemi di difesa (veleni, corazze, morsi e spuntoni) solo per sopravvivere e sfuggire alla predazione. Neppure gli squali possono considerarsi "cattivi", del resto, per quanto il cinema abbia cercato sempre di rappresentarli negativamente per attrarre maggiori fette di pubblico.
Quali sono i pesci pericolosi nei mari italiani?
Dovendo iniziare a descrivere la lista delle specie considerate pericolose nei mari italiani, facciamo una piccola precisazione. In un articolo come questo che ha il compito di raccontare quali sono i pesci più pericolosi che è possibile incontrare nel mar Mediterraneo è impossibile inserire proprio tutte le specie che possono essere dannose per le persone. Abbiamo quindi deciso di fare una scelta, che possa soddisfare la necessità di rispondere alla domanda per sensibilizzare e informare il pubblico.
Nel tentativo di rappresentare un quadro complessivo della situazione odierna, abbiamo così scelto di parlare delle specie più pericolose e che fanno già parte delle cronache più recenti per via dei frequenti avvistamenti, in modo da rendere più consapevoli i bagnanti qualora si trovassero davanti ad uno di questi animali.
Pesce scorpione
Tra tutte le specie aliene che hanno cominciato ad attirare l'attenzione dei bagnanti, il Pterois miles – più noto come pesce scorpione – è sicuramente fra quelli che risultano essere più pericolosi e che anche quest’anno ha fatto parlare di sé.
La specie proviene dal Mar Rosso ed è una delle due specie note di pesce scorpione che vivono in questo mare. Dal caratteristico colore rosso, è giunto nel Mediterraneo attraversando il canale di Suez e presenta un corpo tozzo e occhi sporgenti che dispongono di alcune escrescenze di rinforzo che ricordano un corno.
Le sue pinne dorsali presentano anche dei lunghi e appuntiti raggi cavi che fungono da aculei in cui, all’interno, sono poste le ghiandole velenifere che rendono particolarmente pericolosa questa specie.
Inserito dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale) tra le 4 specie aliene più pericolose presenti nei mari italiani, il pesce scorpione è noto per essere stato avvistato prima nel Mar Mediterraneo orientale e poi nel Canale di Sicilia e nel Tirreno, dove è stato avvistato tra la Calabria e la Campania.
Seppure in natura questo animale vive tra le coste coralline e i fondali fangosi, si è ben adattato alle condizioni ambientali dei nostri mari, venendo spesso fotografato dai bagnanti per via della bellezza dei suoi pigmenti e della “corona” formata dai raggi delle sue pinne.
Il pesce scorpione è considerato pericoloso poiché anche una singola goccia del suo veleno può provocare pesanti reazioni allergiche, paralisi, blocchi respiratori e indurre anche il coma. Inoltre, visto che dal punto di vista estetico questo pesce è molto apprezzato dalle persone per via dei suoi colori, spesso i bagnanti rischiano di venire punti dai suoi aculei, quando essi si avvicinano ad un esemplare per scattare delle fotografie o compiere delle riprese.
Il veleno di questi pesci può arrivare anche ad essere mortale per gli esseri umani, visto che colpisce il sistema nervoso centrale, in particolar modo quando all’interno delle ghiandole velenifere sono state raccolte grandi concentrazioni di veleno. Visto che gli esemplari più giovani sono soliti per di più nuotare nei pressi del fondale sabbioso, rischiando di raggiungere le principali spiagge frequentate dai turisti, possono venire anche calpestati.
L’Ispra ha consigliato a tutti i bagnanti di allontanarsi dalla spiaggia qualora se ne avvistasse un esemplare e di chiamare immediatamente le forze di pronto intervento per segnalare l’avvistamento.
Bisogna inoltre anche ricordare che il veleno prodotto rimane attivo per molto tempo all’interno degli aculei: è dunque pericoloso anche maneggiare gli esemplari spiaggiati o deceduti, in quanto ferirsi con gli aculei rimane una minaccia per la propria salute.
Proprio per questo, i biologi marini e i ricercatori dell’Ispra stanno cercando di diffondere le notizie basilari anche ai pescatori che possono inavvertitamente trovarsi questa specie nelle reti, con il rischio di pungersi e di ferirsi al momento del controllo del pescato.
Il pesce scorpione risulta così velenoso poiché ha adottato questo sistema difensivo contro i predatori. Il suo mare di origine, ovvero il Mar Rosso e parte del Golfo Persico, è infatti frequentato da squali di barriera che – qualora non fossero minacciati dal veleno – si ciberebbero tranquillamente del pesce scorpione, essendo infatti sempre alla ricerca di prede, anche all’interno della barriera corallina.
Le due specie di pesce coniglio
Altre due specie che sono state inserite dai biologi nella lista delle creature aliene più pericolose del Mediterraneo appartengono al gruppo dei pesci coniglio e sono Siganus luridus e Siganus rivulatus.
Conosciuti anche corrispettivamente come “pesce coniglio scuro” e “pesce coniglio striato”, questi animali sono famosi nell’ambiente dell’acquariofilia perché brucano la vegetazione marina proprio come dei conigli, arrecando moltissimi danni ambientali – soprattutto alle praterie ricche di alghe brune – tramite i loro denti incisivi.
Endemici dell’Oceano Indiano e del Mar Rosso, questi pesci cambiano livrea a secondo della stagione, dell’ora e della località geografica, presentando persino una livrea notturna marmorizzata che li rende molto difficili da distinguere. Hanno comunque entrambi una sagoma ovale e il corpo compresso lateralmente, con una bocca piccola e le labbra ben evidenti. In generale S. luridus è comunque più scuro di S. ruvidus che presenta a sua volta un maggior numero di striature rispetto l'altra specie.
Hanno raggiunto il Mediterraneo orientale e centrale attraversando anch’essi il Canale di Suez e sono pericolosi per via di tre principali fattori. Innanzitutto i raggi delle loro pinne sono particolarmente appuntiti, un fattore che rende le punture tra le più dolorose che è possibile provare a mare. Inoltre le punte di questi aculei contengono anche del veleno, che per quanto non risulta mortale può provocare varie tipologie di choc con corrispettive crisi respiratorie. Un problema che si acuisce particolarmente se la persona è asmatica, eccessivamente sensibile, cardiopatica o incinta. Bisogna quindi stare particolarmente attenti a camminare all’interno dell’acqua, quando ci si trova in delle spiagge in cui sono stati avvistati degli esemplari.
Infine la carne di questi pesci è tossica poiché presenta dei microrganismi – in particolare il dinoflagellato Gambierdiscus toxicus – che producono ulteriori sostanze che inducono la ciguatera, una sindrome alimentare che scatena prurito, difficoltà a deglutire, visione offuscata, convulsioni, diarrea, erezioni, spasmi e minzioni incontrollate e dolorose che possono durare ore.
Entrambe le specie sono presenti nel Mediterraneo da diverso tempo, ma si stanno espandendo verso occidente solo recentemente ovvero da quando mar d’Alberan, Adriatico e Tirreno sono divenuti via via più caldi per colpa del surriscaldamento climatico.
Alcuni abili pescatori e cuochi della costa meridionale del Mediterraneo, spinti dalla moda del consumo di specie pericolose introdotto dalle cucine orientali – fra tutti quella giapponese – hanno imparato a pescarli, cucinarli e ad allevarli limitando al massimo il rischio di venire punti e dal soffrire la cinguatera. Ciò ha favorito in alcune zone dell'Africa settentrionale persino dei tentativi di piscicoltura per questi animali, ma diversi esperti dell’Unione Europea e dell’Unione Africana hanno sollevato parecchi dubbi sull’allevamento di queste specie, visto che potrebbero arrecare comunque moltissimi danni all’economie locali, oltre a casi d’intossicazione, incidenti e all’aumento di questi animali nei vari ecosistemi marini.
Non sarà alla fin dei conti un caso se diverse nazioni – tra cui la nostra – hanno cominciato a chiedere ai pescatori di segnalare la presenza di queste due specie nel pescato e di non rigettarli in mare, nel tentativo così di arginare la loro avanzata.
Il pesce palla maculato
Lagocephalus sceleratus è forse il meno noto dei pesci alieni presenti nel nostro mare, ma è anch’esso particolarmente seguito dagli esperti dell’Ispra e delle università che seguono l’espansione di questi particolari animali marini.
Del pesce palla maculato si conosce anche l’entrata ufficiale nel Mediterraneo, visto che il suo arrivo tramite il Canale di Suez è stato seguito dai biologi durante il corso del 2003.
È una delle specie più invasive del mondo e la sua presenza nelle acque italiane è stata registrata per la prima volta nei pressi dell’isola di Lampedusa, nel 2013. Da allora la sua presenza è stata verificata sia all’interno del Canale di Sicilia, con diversi avvistamenti in Tunisia come sulle coste trapanesi e agrigentine, ma anche nel mar Adriatico, nel mare d’Alberan e al largo dalla Sardegna.
Molto più semplice da riconoscere rispetto le due specie di pesce coniglio, il pesce palla maculato presenta diverse macchie scure lungo la sua superficie, in particolare sul dorso. Il ventre presenta infatti un colore argenteo e in generale il suo colpo risulta essere schiacciato in senso orizzontale, quando non assume la tipica forma sferica dei pesci palla, quando risulta spaventato.
Anche questi animali infatti hanno la capacità di ingerire velocemente l’acqua di mare, per aumentare le proprie dimensioni, assumere la forma di una palla o di una scatola rotondeggiante e impedire così ai predatori di cibarsi della sua carne.
A differenza delle altre specie sopra menzionate, il pesce palla maculato predilige inoltre le coste rocciose ed è per questo che è più facilmente avvistabile lontano dalle spiagge sabbiose.
Simile al capolepre, un altro pesce pericoloso che però difficilmente raggiunge l’Italia, questo animale è inserito nella top dei pesci più tossici del mar Mediterraneo perché la sua carne è ricca di una sostanza tossica, nota come tetradotossina. Essa induce paralisi respiratorie, problemi gravi al sistema cardiocircolatorio, vomito, svenimenti e talvolta anche reazioni allergiche repentine – oltre ad effetti più rari come erezioni dolorose e irrigidimento dei muscoli – che possono risultare fatali in coloro che ne hanno inavvertitamente mangiato la carne.
La tetradotossina è principalmente contenuta all’interno di alcuni organi particolari del pesce, fra cui il fegato e i reni. E nel 2009 diversi casi di avvelenamento in Egitto e Israele scossero il Mediterraneo, poiché colpirono alcune famiglie di turisti e di pescatori, che si ritrovarono casualmente questa specie offerta nel loro piatto.
Secondo alcuni biologi anche il morso di questo pesce potrebbe risultare doloroso, ma visto che raramente i pesci palla rispondono ad un’aggressione con un'aggressione, il morso è molto meno pericoloso rispetto al consumo diretto della sua carne.
I biologi chiedono comunque ai pescatori e ai bagnanti di segnalare eventuali avvistamenti e di stare particolarmente attenti che i bambini non stuzzichino volontariamente questi pesci nelle spiagge per fargli assumere forzatamente la forma “a palla” tramite l’uso di retini, secchielli o di bastoncini. Un fenomeno discutibile che oltre a favorire l’insorgere di incidenti è indecoroso anche da un punto di vista etico.
Insegnare infatti ai propri bambini a non torturare gli animali dovrebbe far parte del percorso educativo intrapreso da ciascuna famiglia, per educare le future generazioni all’amore nei confronti della natura e al rispetto ambientale. Il modo in cui purtroppo però qualche genitore si ostina ancora a pescare questi e altri pesci in spiaggia, per offrire ai propri piccoli “un gioco”, con cui passare le ore trascorse a mare, va contro questo obiettivo ed è passabile di critiche da parte dell’intera collettività.
La torpedine comune
La torpedine (Torpedo torpedo) è un pesce cartilagineo che si ritrova storicamente nel bacino del Mediterraneo da 5,3 milioni di anni ed è una specie imparentata con le razze e le mante. È una delle poche specie in natura in grado di produrre delle scariche elettriche tramite un organo presente in entrambi i lati del tronco del pesce. E' in grado di “fulminare” anche gli esseri umani e risulta fatale per moltissimi predatori che tentano di attaccarla.
Per quanto la specie presente nel Mediterraneo e nell’Atlantico orientale non sia considerata pericolosa come altre specie di torpedini che è possibile trovare ai tropici o in Australia, tuttavia anche la popolazione europea può risultare fatale se si è particolarmente soggetti a problemi di cuore o si è molti giovani.
Essi infatti sono in grado di produrre un campo elettrico in grado di fornire una scarica da 50 a 220 volt a seconda dell’età, della loro sottopopolazione e delle loro condizioni di salute. Ad uccidere però in verità le persone che inavvertitamente toccano una torpedine non è la scarica in sé, ma l’essere eventualmente immersi in un contesto acquatico.
La scarica delle torpedini infatti è molto meno potente rispetto ad un eventuale scarica elettrica presa da alcune prese di corrente, ma quando si è immersi sott’acqua lo shock provocato dalla scossa induce le persone ad aprire istantaneamente la bocca e a trangugiare grosse quantità di acqua, favorendo così la morte per annegamento.
Di per sé quindi le torpedini uccidono gli esseri umani con un effetto indiretto e in effetti, se colpiti vicino la spiaggia o con solo una parte del corpo immersa in acqua, ci sono maggiori probabilità di sopravvivere. Possono tuttavia anche creare dei corti circuiti in eventuali peacemaker.
Le torpedini erano d’altronde studiate e consumate anche durante il periodo romano, venendo utilizzate principalmente tra i piatti della gente povera. Inoltre Plinio il Vecchio, Galeno e Scribonio più volte citano nei loro scritti delle usanze – oggi considerate bizzarre – che coinvolgevano l’utilizzo di questi animali.
Venivano per esempio usati in delle pozioni utili per rinvigorire le donne incinta ed inoltre se ne consigliava l’utilizzo, quando si soffriva di mal di testa. Plinio consigliò addirittura nel suo Naturalis Historia di appoggiare una torpedine viva sulla calotta del cranio degli epilettici, dopo aver rasato i capelli, per guarire le emicranie più persistenti, usando il pesce come se fosse un capello. Il problema tuttavia consisteva nel pescare la torpedine, quindi suggeriva ai pescatori intenti a svolgere questo lavoro di munirsi di particolari reti, cha garantissero loro la possibilità di catturare l'animale in acqua senza toccarlo.
Per quanto assurda, tale soluzione sembrava funzionare veramente e venne impiegata per alcuni secoli, anche da alcuni imperatori, almeno fino alla fine dell’Impero romano d’occidente.
La famiglia delle tracine
Le tracine hanno accompagnato la storia umana per millenni e risultano essere i pesci più frequenti nelle liste "classiche" delle specie marine pericolose, insieme a meduse e squali. All’interno della loro famiglia, n’esistono ben 9 specie in tutto il mondo e sono noti in Italia anche come pesci ragno, poiché si nascondono sotto la sabbia in attesa di poter effettuare un agguato alle loro prede…e a coloro che se li ritrovano malauguratamente fra i piedi!
Di queste nove specie, tutte tranne vivono nel Mediterraneo e nell’Atlantico e presentano un corpo cilindrico, parzialmente appiattito sul ventre, le cui estremità sono composte da una coda particolarmente affilata e da una testa arrotondata, che a sua volta ospita una bocca molto larga e un paio di occhi che tendono a risultare “sporgenti”, sulla sommità del cranio.
A risultare pericolose sono gli aculei velenosi che presentano sul dorso, che nella maggioranza dei casi vengono schiacciati sbadatamente dai bagnanti mentre percorrono i tratti di mare lambenti la costa, camminando al posto di nuotare.
Per quanto non risultano mortali, gli aculei delle tracine sono particolarmente dolorosi. Tal volta il dolore infatti si irradia fino all’ascelle, bruciando intensivamente i bordi della ferita e i muscoli dell’intero arto colpito.
Altri sintomi spiacevoli del contatto con una tracina sono i frequenti attacchi di vomito, nausea, svenimenti e tremori, che sono legati allo shock provocato dallo squarciamento della pelle provocato dagli aculei. In ogni caso, di seguito all’incontro con uno di questi pesci, la profilassi prevede una terapia antidolorifica di almeno una settimana e una cura antitetanica e antiemetica.
Un consiglio molto utile da applicare subito dopo il momento del contatto consiste nel tenere la ferita sotto la sabbia rovente, per almeno 30 minuti, poiché il veleno prodotto dalla tracina è termolabile, ovvero perde efficacia con l’innalzamento della temperatura. Per ridurre inoltre il rischio di infezioni, si consiglia di spremere la ferita affinché il sangue defluisca insieme ad eventuali frammenti degli aculei, separatisi dall’animale.
Per quanto la tracina non risulta mortale, il dolore provocato dai suoi aculei talvolta ha arrecato delle morti per arresto cardiaco o anche di seguito a shock anafilattico nei soggetti più sensibili. Per questo si consiglia a tutte le persone fragili che amano frequentare le spiagge di dotarsi delle scarpette da mare, che limitano i danni arrecati dai loro aculei.
E gli squali?
Seppur da molti bagnanti gli squali vengono considerati ancora tra i pesci più pericolosi che è possibile avvistare nei nostri mari, in verità gran parte delle specie del Mediterraneo (circa 47) risultano innocue per noi umani e sono molto rari i casi di aggressione avvenuti nel nostro paese. Tra quelli potenzialmente considerati come pericolosi abbiamo lo squalo martello liscio (ovvero Sphyrna zygaena) presente in Sicilia, lo squalo bianco (Carcharodon carcharias), che in oltre due secoli di avvistamenti avrebbe provocato solo 53 incidenti non mortali in tutto il Mediterraneo, e lo squalo mako (Isurus oxyrinchus) che seppur è risultato protagonista di alcuni recenti decessi in Egitto, non è molto comune nei nostri mari.
Lo squalo tigre invece (Galeocerdo cuvier) è una specie particolarmente problematica. Tra tutti gli squali presenti nel bacino, è l’animale più aggressivo e risulta essere una delle specie ittiche più pericolose dell’uomo, soprattutto per la potenza e la violenza dei suoi morsi. Anche in questo caso però i numeri di incidenti sono straordinariamente bassi rispetto alle vittime che noi uomini provochiamo giornalmente con il nostro comportamento tra gli altri esseri viventi. Fino al 2022 sarebbero infatti solo 138 gli attacchi all’uomo provocati da queste specie in tutto il mondo, di cui 36 fatali. Quasi assenti nel Mediterraneo sono quindi i danni provocati dallo squalo tigre, accusato dai media di essere “il più vorace predatore dei mari” che “mangia letteralmente di tutto”.
Come evitare i pesci pericolosi e cosa fare in caso di contatto
Per limitare al massimo l’incontro con queste specie, in particolare gli "alieni" che stanno allarmando gli stessi ricercatori, si consiglia innanzitutto di fare bene attenzione a quali pesci vengono serviti nei ristoranti e si raccomanda di imparare a riconoscere la forma dei pesci principalmente presenti sulle tavole imbandite degli italiani, di modo da non avere cattive sorprese. Molteplici casi di avvelenamento sono infatti stati causati dalla sbadataggine di alcuni cuochi amatoriali che hanno servito nei loro piatti pesci che in teoria non sarebbero dovuti finire neppure sulle piastre della loro cucina.
In caso invece di incontri ravvicinati sulle spiagge, quando vi dirigete verso le vostre mete delle vacanze basta che andate a cercare sul web se la zona che andrete a visitare è stata toccata dall’arrivo di eventuali specie pericolose. In particolar modo per i pesci coniglio, il pesce scorpione e il pesce palla maculato, i servizi forniti da alcune agenzie nazionali come l’ISPRA o l’ARPA forniscono costanti informazioni relativi agli avvistamenti, per permettere ai turisti di potersi godere le vacanze con una certa dose di tranquillità.
Qualora invece vi trovaste di fronte ad uno di questi animali non andate nel panico: allontanatevi velocemente dall’acqua e chiamate i Carabinieri che hanno assimilato alcuni compiti del vecchio Corpo Forestale dello Stato e provvederanno a segnalare l'avvistamento.
Se riuscite a fare delle foto in sicurezza, ben lontano in particolar modo dal pesce scorpione, potreste anche mandare alle Forze dell'ordine le immagini, così da confermare l’eventuale identificazione della specie.
Fatto ciò, se volete anche partecipare allo sforzo collettivo inerente lo studio della biodiversità, potreste anche scaricare l’app gratuita iNaturalist, così da caricare la foto anche all’interno di un database che viene sempre più spesso utilizzato dai ricercatori per compiere le loro ricerche.
Nel caso in cui foste entrati invece in contatto con uno degli animali o aveste mangiato una delle specie presenti in questa lista, recatevi al pronto soccorso: più è tempestivo l’intervento medico migliori sono le chance di sopravvivenza, con una riduzione diretta degli effetti delle tossine. Se soffrite inoltre di allergie, è sempre meglio premunirsi con degli antistaminici per ridurre quantomeno gli effetti esplosivi dell'ingestione di alcune sostanze allergiche.