Ero solita andare a Napoli al rifugio di Luigi Carozzo perché lui è una di quelle persone che si possono solo stimare davvero, senza se e senza ma. Luigi vive all’interno del suo rifugio in cui accoglie e cerca di ricollocare moltissimi cani. Una missione la sua, un vero e proprio lavoro a tempo pieno che, nonostante abbia avuto anche una targa di riconoscimento da parte del Comune, porta avanti senza sostegno pubblico ma solo grazie alla generosità di tantissime persone che lo aiutano.
Andavo a Napoli, come sempre, perché mi piaceva passare del tempo al rifugio, dare una mano a Luigi, conoscere i nuovi cani arrivati e fargli qualche bella foto per gli appelli di adozione: salutare le vecchie leve canine era fra le cose più belle da fare e chiacchierare con lui del più e del meno era sempre un’esperienza arricchente. Quella mattina ero partita molto presto da Firenze e sapevo che fra i nuovi arrivi c’era una cagnolina di cui avevo già visto le foto: Mukka. Mi avevano colpito moltissimo i suoi scatti, soprattutto il suo sguardo. Non aveva il solito piglio curioso che contraddistingue i cuccioloni di quella età: sembrava, coi suoi grandi occhi neri, guardare oltre e con un velo di di tristezza al di là della prospettiva nella quale era immersa. Ma non era il canile il problema: la cagnetta era proprio così, avrei di lì a poco scoperto: anche dal vivo appariva davvero pensierosa e introversa come in quelle immagini. Ne ebbi conferma subito quando, arrivando, Luigi me la presentò che trotterellava libera in mezzo al gruppo dei suoi cani che vivono in gruppo e fuori dai box. Quella cucciolona pezzata di bianco e nero, proprio come una mucca a cui doveva il simpatico nome, correva avanti e indietro senza sosta: cercava di chiamare gli altri cani proponendo inchini e dribblate ma nessuno riusciva a stare al suo passo. I cani più seri del gruppo rischiavano di perdere la pazienza di fronte a tanta velocità, i più giocosi tentavano di starle dietro senza risultati, altri ne erano infastiditi ma, nonostante i rimproveri, Mukka non si fermava.
Io sono Mukka. E tu chi sei?
In quella esplosione di corse e fisicità dove i più avrebbero visto una cucciolona curiosa e felice, io avevo visto tutto quello che i suoi occhi in foto già mi avevano detto: una cagnona piena di risorse che non sapeva come usarle, volenterosa di aprire dei dialoghi con gli altri cani ma senza averne gli strumenti. Sola contro un mondo, già da subito quando era stata trovata abbandonata e sola anche in quel momento pur stando in mezzo a tanti cani: “Corro, corro finché ho fiato e nessuno mi potrà acciuffare perché corro per me stessa. Sono inarrivabile”. Con le persone era esattamente così Mukka, proprio come la potevo osservare quella mattina: aveva i suoi tempi, faceva delle annusatine sporadiche, ti concedeva un po’ di vicinanza ma conservando quella leggera diffidenza di chi si concede solo al ritmo dei suoi tempi. Era bellissima, triste ma tanto desiderosa di dare di più: assomigliava ad una di quelle rappresentazioni di Pierrot che ride ma una lacrima solca il suo viso come una costante. Mi ero follemente innamorata di quella cagnona introversa, sapevo che portarla a casa e adottarla avrebbe compromesso degli equilibri, che non era il momento e dentro di me respingevo questa affettività con tutte le mie forze.
Rimase il mio pensiero fisso per giorni, settimane, mesi. Ero comunque contenta perché sapevo che alcuni colleghi educatori l’avevano adocchiata e inserita in un bel progetto a Città della Scienza: era una testimonial d’eccellenza, lavorava in presenza di persone, faceva gli attrezzi, aveva imparato a fidarsi delle persone, di se stessa e persino degli odiati guinzagli. Quella fu la mia presunzione: che fosse cresciuta, maturata e che tutto sommato, quelle esperienze l’avessero resa meno fragile. Forse avrei potuto adottarla adesso, d’altronde la mia Metella si avviava ai sedici anni, gli altri cani di casa erano tutti adulti e propensi verso gli altri cani, i miei bimbi iniziavano ad avere un’età gestibile per fare attenzione ad una nuova arrivata e rispettarla e la casa che avevo in affitto era un posto con tanto verde. Cosa poteva andare storto? Nulla! Ma quando portiamo un cane a casa dobbiamo sempre considerare che quello che abbiamo conosciuto, di persona anche, non sarà mai davvero al cento per cento quel cane (figuriamoci scegliendolo da una foto su internet!). Ecco perché è importante andare nei rifugi e darsi tempo, conoscendosi reciprocamente senza fretta, perché pur con tutte le intenzioni buone del mondo, noi avremo conosciuto solo alcune sfumature di quel cane e lui di noi: il resto della strada che faremo insieme sarà una scoperta vicendevole, fatta di alti e bassi, di fermi e ripartenze. Un viaggio insieme alla scoperta di un’amicizia profonda e rispettosa. Questo significa adottare un cane consapevolmente.
Tutto quello che ci siamo insegnate con Mukka
Mentre scrivo al computer questo articolo per Kodami, la guardo sonnecchiare nell’erba al sole, dai suoi undici anni. Ne sono passati dieci dal nostro primo incontro e tante sono le cose che sono successe. Cambi di casa, di paesi, di stili di vita, di amici, passaggi temporanei di cani, gatti e persone. Eppure siamo ancora insieme, con tutte le difficoltà che abbiamo affrontato e tante cose che io ho cercato di fornirle come strumenti e che lei mi hai regalato. Molte persone dicono: “Il mio cane mi ha insegnato tanto!” ma è una frase che non mi trova d’accordo totalmente. Credo che i cani, a differenza di noi, fungano in parte da specchio ad alcuni tratti delle nostre personalità: questo ci permette di vedere i nostri difetti, le nostre vulnerabilità, i nostri punti di forza e quello che amiamo. Per questo ci affezioniamo ai cani, per questo io l’ho scelta questa cagnona fra tante: quello che avevo visto dalle prime foto era esattamente quello che mi avrebbe permesso di crescere io come persona. Mi aspettavo una cagna diversa e meno complicata e invece ho dovuto rinunciare alle mie aspettative. Avrei voluto una cagna che si lasciasse aiutare da me a superare alcune difficoltà e ho dovuto con la pazienza, che non è affatto un mio tratto distintivo, lasciare che Mukka ce la facesse da sola, perché non ha mai voluto che l’aiutassi. Del resto anche io sono così e ho compreso quanto fosse importante per lei il suo percorso di indipendenza.
E da qui scriverò direttamente rivolgendomi a te, Mukka: siamo così simili e così diverse da esserci trovate a scontrarci tante volte, non mi vergogno di dirlo. Tante volte pensavo di aver fallito, di non essere all’altezza e di non comprenderti nei tuoi bisogni. Tante volte mi hai mostrato che un viaggio inizia sempre dal primo passo, che superare le criticità significa avere i mezzi per trasformarle in opportunità anche quando tutti intorno non ci scommetterebbero un euro. E diciamocelo: sono tante le persone che hanno parlato di te, di noi, che hanno dato giudizi e affibbiato etichette. Amica mia, se riguardo questo pezzo di strada fatto insieme negli ultimi undici anni, mi volto indietro e sorrido a ripensarci. Poi tu alzi un attimo la testa, mi guardi, io torno su questo pezzo da finire e tu a sonnecchiare al sole. E allora adottate: in canile ci sono tesori che non luccicano né tintinnano ma a volte abbaiano forte e vi faranno perdere la pazienza, ma se avrete la forza di smontare le vostre aspettative, scoprirete la loro ricchezza e loro la vostra. Grazie Mukka amica mia.