«Le azioni di eradicazione del muflone all’Isola del Giglio sono concluse. Penso che alla fine ne siamo usciti bene tutti: noi che abbiamo realizzato l’importante obbiettivo e le associazioni che hanno spinto e ottenuto la consistente riduzione dei mufloni abbattuti», scrive il Presidente del Parco Giampiero Sammuri nel comunicato stampa diffuso alla fine delle operazioni che hanno portato all’uccisione di una specie tanto importante quanto preziosa per la sua rarità.
Ma il buonumore di Sammuri non è di certo condiviso dagli attivisti delle associazioni Vita da cani Odv e Rete dei Santuari Liberi che hanno cercato di contrapporre allo sterminio la loro stessa presenza all’interno della Tenuta sul promontorio del Franco che, nelle intenzioni dei proprietari, avrebbe dovuto tutelare i mufloni dall’estinzione e che invece si è trasformata in una prigione senza via di scampo. E, infatti, gli attivisti hanno già provveduto a denunciare il Presidente del Parco per disastro ambientale e, nonostante tentativi del PM di archiviare il caso, il GIP ascolterà il 25 marzo 2024 le motivazioni addotte dalle associazioni.
«Vogliamo ricordare che il progetto di eradicazione ha violato le norme nazionali ed europee laddove dicono che «qualunque eradicazione per essere disposta deve basarsi su dati scientifici», dati che il Parco stesso ha ammesso di non possedere. In assenza di tali prove, infatti, le specie alloctone non possono essere dichiarate invasive e dunque non possono essere eradicate». Secondo gli attivisti, inoltre, la motivazione portata a giustificazione di questo scempio, ovvero i danni ingenti causati dai mufloni all’ambiente e all’economia, sarebbe stata forzatamente amplificata, visto che le normative permettono l’eradicazione di una specie alloctona solo in caso in cui questa abbia un impatto negativo sull’ambiente o sull’economia. Per quanto poi riguarda i danni alle coltivazioni, anche in questo caso, la smentita è arrivata direttamente dai viticoltori dell’isola che hanno scagionato il muflone da tali accuse già nel 2021 tramite una petizione.
«Grazie ad una serie di richieste di accesso agli atti condotte da noi, siamo venuti a conoscenza del fatto che in 20 anni, ossia da quando i mufloni sono evasi dal fondo chiuso, il parco ha ricevuto soltanto 3 richieste di risarcimento per danni alle viticulture per un totale di 400 euro imputabili ai mufloni, contro i quasi 400mila euro ottenuti dall’UE per eradicarli. Vogliamo solo dire che in assenza di comprovati danni, l’eradicazione del muflone del Giglio costituisce un reato».
Importato sull’isola negli anni ’50 del secolo scorso tramite un progetto di salvaguardia e di ripopolamento della specie, gli individui più puri del muflone Sardo, specie protetta, furono selezionati e portati al Giglio dove la loro purezza genetica è stata preservata, a differenza di altrove, come in Sardegna, Corsica e Cipro, dove è andata persa a causa degli incroci con la pecora domestica. Per questo alle accuse di aver eradicato una specie protetta, si aggiungono anche quelle «di aver compromesso il patrimonio genetico della specie stessa, minando la biodiversità proprio con fondi pubblici destinati alla sua preservazione».
Insomma, in sostanza, dicono gli attivisti «questo progetto non aveva dunque alcuna ragione di esistere poiché non c’erano i presupposti scientifici ed economici per procedere e, al contempo, ha ignorato elementi fondamentali, come l’unicità genetica e la tassonomia del muflone. E se Sammuri dichiara che il progetto è terminato, la nostra campagna certamente non lo è. Non ci fermeremo fino a quando giustizia non sarà fatta, perché milioni di euro di fondi pubblici destinati alla preservazione della biodiversità sono stati utilizzati da questo Parco in questo progetto per invece minarla, senza uno straccio di prove ed in violazione di normative internazionali».