Sono apocalittici i paesaggi che si profilano in questi giorni lungo coste atlantiche dell'Uruguay, dove letteralmente migliaia di animali sono stati ritrovati morti per decine di chilometri nella parte meridionale del paese. Uno scenario impressionante, che sta creando non pochi problemi agli abitanti, visto che oltre ad impedire l'accesso al mare, questa moria di pinguini, tartarughe, delfini e uccelli marini mette a rischio anche la salute umana a causa della decomposizione avanzata dei corpi degli animali.
La maggior parte delle vittime sono giovani pinguini di Magellano (Spheniscus magellanicus), di cui migliaia di corpi sono stati ritrovati spiaggiati solo con l'arrivo dell'ultima marea, ha dichiarato Carmen Leizagoyen, capo del dipartimento faunistico del ministero dell'Ambiente del paese. Misteriose sono ancora le cause che hanno provocato questo disastro e mentre il cattivo odore arriva anche nei pressi delle cittadine più esposte al vento proveniente dal mare, gli scienziati accorsi a studiare il fenomeno e i corpi degli animali stanno ancora cerando di capire le possibili origini di quella che verrà ricordata come una delle peggiori morti in massa di animali della storia uruguaiana.
Secondo alcuni ad uccidere così tanti animali sono state le alte temperature dell'oceano Atlantico meridionale, provocate anche dal surriscaldamento globale. Altri ricercatori invece sostengono che ad uccidere i pinguini e le tartarughe sia stata la carestia di pesci che sta colpendo l'oceano. Un fenomeno legato alla pesca eccessiva, ma anche a "El Nino", un fenomeno climatico periodico che favorisce un forte riscaldamento delle acque dell'Oceano Pacifico centro-meridionale e che può favorire anche l'insorgere di potenti cicloni subtropicali.
Pochi altri ricercatori sostengono invece che questi animali siano morti a seguito dell'ingestione di particolari microrganismi, che diffondendosi nell'acqua liberano varie sostanze tossiche, come sta per esempio avvenendo più a nord, nell'oceano Pacifico, all'altezza della California.
Da quello che è emerso dalle prime indagini preliminari dei veterinari accorsi in soccorso dei zoologi, sembra tuttavia ormai accertato che i pinguini spiaggiati non abbiano ingerito nulla per diversi giorni consecutivi prima della morte, e che perciò la teoria più accreditata relativa alla morte di questi animali, potrebbe essere proprio quella legata alla carestia.
Secondo infatti la stessa Leizagoyen oltre il novanta per cento dei pinguini ritrovati sulle spiagge uruguaiane sono esemplari giovani che presentano chiari indizi di malnutrizione. Infine, Hector Caymaris, direttore dell'area protetta Laguna de Rocha, ha dichiarato ai giornalisti di aver contato personalmente più di 500 pinguini morti lungo una spiaggia in un solo giorno. Un dato sconfortante, che rende anche bene l'idea di cosa significa pulire la sabbia delle spiagge più trafficate dai turisti.
In precedenza, l’esperto dell’ONG SOS Fauna Marina Richard Tesore aveva sottolineato che «La morte di così tanti pinguini è qualcosa a cui ci siamo abituati nel corso degli ultimi tre anni. Tuttavia, a differenza di anni fa, quando gli animali morivano per avvelenamento da idrocarburi, ciò che sta accadendo ora assume una gravità maggiore. Tutti gli animali coinvolti sono molto magri, senza cibo nello stomaco, senza un solo strato di grasso a proteggerli dal caldo o dal freddo e ad aiutarli nel nuoto. L’eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche atlantiche è evidente e potrebbe essere corresponsabile di quello che è accaduto a questi uccelli».
Viste le dimensioni della tragedia e la crudezza delle immagini raccolte dai biologi, noi di Kodami abbiamo deciso di non mostrarvi questi scatti che potrebbero impressionare i lettori, ma gli esperti hanno confessato che potremmo doverci abituare sempre più a scenari del genere. Questa moria di massa di animali marini ci permette infatti di comprendere ancora una volta come i danni che stiamo provocando alla natura posso essere spesso irrecuperabili e che talvolta i vari fenomeni che si sovrappongono tra loro in maniera tale da non lasciare alcuna via di scampo alle specie coinvolte.