Monza perde un pezzo importante per la lotta dei diritti degli animali. È morta Franca, anima dell’Enpa locale. Tutti la conoscevano come con il cognome del marito Bruno Bolis, campione nazionale dell'hockey su rotelle, scomparso ormai dieci anni fa, nel 2011.
Franca è stata sempre una roccia, aveva una grande grinta per aiutare gli animali, in particolar modo i cani, soprattutto negli anni in cui le leggi statali condannavano i randagi alla soppressione o, peggio, alla vivisezione dopo tre giorni di permanenza nel canile comunale. Racconta a Kodami Giorgio Riva, presidente dell'Enpa di Monza che «in quegli anni la signora Franca, con uno spirito zoofilo tutto brianzolo, aveva messo in piedi e manteneva in prima persona un rifugio privato per cani abbandonati: era arrivata ad averne tra i 60 e i 70».
Erano gli anni Settanta quando, grazie al suo lavoro alla direzione della Philips, aveva ottenuto di destinare tutto il cibo avanzato dalla mensa al nutrimento dei cani randagi e a quelli mantenuti dalla sezione Enpa in quattro box che si trovavano nel piccolo canile Fusi di Lissone. «Erano gli anni in cui di pet food non si parlava: non c’erano crocchette o umido ma solo il ‘pastone’. Per noi il suo intervento fu molto importante», aggiunge.
Con il passare degli anni la signora Franca ha vissuto tutto lo sviluppo dell’Enpa locale: nel 1983 inizia il percorso che si è concretizzato nella gestione diretta del vecchio canile comunale. Nel 2003 apre la nuova sede operativa di Via Lecco e nel 2015 prende il via la gestione del parco canile di Monza di via San Damiano. In tutto questo periodo Franca Bolis è stata vicina ai volontari. «Fino a poco tempo fa l'abbiamo avuta, come rappresentante di tutti i soci Enpa, quale membro della giuria al concorso ‘Cane Fantasia‘ alla tradizionale benedizione degli animali, manifestazione alla quale non voleva mai mancare», spiegano da Enpa Monza. E Riva ricorda: «Quando la presentavo dicevo che era ‘la più vecchia socia’ e immediatamente arrivava il suo rimbrotto ironico e affettuoso di disapprovazione con un immancabile ‘ehi tu’, che in dialetto diceva con ‘tì uì'».