Non è mai semplice sfuggire ai predatori quando hai dimensioni molto ridotte e abiti in un ambiente acquatico. Alcuni animali hanno cercato di risolvere questo problema sviluppando numerosi sistema di difesa che vanno dalla produzione di sostanze tossiche alla presenza di corazze e spuntoni che impediscono meccanicamente ai predatori di mangiarli. Quando però sei tra le prede alla base di un intero ecosistema, con decine e decine di altri soggetti abituati a cacciarti e a mangiare anche le tue uova, questi sistemi di difesa non bastano più e necessiti di sviluppare altre strategie per sfuggire alla predazione.
Le dafnie – dei piccoli crostacei cladoceri che compongono il plancton di molti ambienti lacustri – sono conosciute anche come pulci d'acqua e sono riuscite ad affrontare l'eccessiva predazione, sviluppando cambiamenti morfologici e comportamentali in grado di limitare l'azione dei predatori. Questo almeno secondo un team molto variegato di scienziati appartenenti a due differenti università di Kyoto e a un'università sudcoreana a Yongin, che hanno lavorato insieme per diversi anni nel tentativo di spiegare l'origine della plasticità fenotipica di questo gruppo di artropodi. Uno studio che ha permesso loro di pubblicare un articolo su Freshwater Biology, una delle riviste di settore più importanti relative allo studio degli ecosistemi di acqua dolce.
Il genere Daphnia d'altronde è storicamente legato al dibattito sulle forme e le dimensioni standard di questi animali. Come spiegato in moltissimi corsi di laurea che prevedono lo studio degli ecosistemi delle acque interne, le specie appartenenti a questo gruppo possono cambiare forma, presentando degli "spuntoni" sul loro carapace qualora la pressione predatoria rischi di ridurre troppo la popolazione. Questi strumenti difensivi, infatti, rendono molto più difficoltosa la loro ingestione e permettono alle dafnie di sopravvivere, soprattutto nei momenti di massima siccità, quando sono più vulnerabili.
Le scoperte effettuate dal team hanno permesso però definitivamente di confermare un'altra teoria da molto tempo legata a queste creature, stabilendo di fatto una relazione precisa tra i cambiamenti nella dimensione corporea delle dafnie e le preferenze da parte dei predatori verso una determinata misura. Secondo infatti buona parte degli zoologi, questi crostacei cercherebbero di eludere il comportamento predatorio cambiando di generazione in generazione le dimensioni del proprio corpo, così da non abituarli ad un'unica taglia riuscendo così a sfuggirgli. Un fattore che diminuisce enormemente il numero di esemplari uccisi in particolar modo dalle larve di Chaoborus, note anche come moscerino fantasma, che preferiscono prede molto più piccole, o dai piccoli pesci, che preferiscono invece prede più grandi.
I risultati dello studio hanno quindi dimostrato che sono gli esemplari di taglia media a rischiare di essere maggiormente cacciati, visto che rientrano nell'intervallo di tutte le tipologie di predatori, grandi e piccoli. Ed inoltre sembra che sono le larve degli insetti ad esercitare una maggiore influenza sugli stili di vita di questi crostacei e sul loro cambiamento morfologico. I pesci infatti, per quanto altamente impattanti per alcune popolazioni, risultano essere dei predatori meno efficaci nei confronti di questi crostacei ed effettuano una pressione inferiore sul loro eventuale declino all'interno di un lago o di un fiume.
La strategia vitale quindi di mutare la propria morfologia e dimensioni con il passare delle generazioni sarebbe quindi una risposta maggiormente "pensata" nei confronti dei numerosi insetti che si nutrono di invertebrati nei corsi delle acque interne, tra cui anche molte specie che vengono utilizzati dai biologi durante il loro monitoraggi inerenti la qualità ambientale.
Nel complesso, gli esemplari di Daphnia di taglia piccola e media esprimono quindi un più alto grado di plasticità morfologica spinta dai predatori rispetto alle altre dafnie e alle altre specie di crostacei. «È stato dimostrato che questa plasticità fenotipica è espressa da una varietà di fattori, tra cui il tipo di predatore, la modalità predatore e la densità – ha affermato l'autore corrispondente Mariko Nagano della Kyoto University of Advanced Science. – Sono tuttavia i piccoli predatori come le larve di alcuni insetti a risultare il peggior pericolo per questi animali, tanto che il meccanismo da noi analizzato può essere visto maggiormente come una strategia di difesa nei confronti di queste specie rispetto a quelle di maggiori dimensione».