Lo chiamano “gatto della fortuna”, o anche “gatto cinese della fortuna”, ma in realtà il "maneki neko" – questo il suo vero nome – non è affatto cinese, ma giapponese. E proprio alla cultura e alle credenze giapponesi è legata la sua “fama” di talismano, che ha anche poco a vedere con il saluto.
Se è vero che spesso lo si trova nei ristoranti di cucina cinese, le sue origini sono però appunto giapponesi, e il suo nome significa letteralmente “gatto che chiama”. Questo perché la sua posa riproduce non un saluto, come comunemente si è portati a pensare collegandola al modo di salutare occidentale, ma un richiamo.
I giapponesi infatti chiamano a sé le persone sollevando la mano con il palmo rivolto verso l’esterno, piegando le dita verso il basso e rialzandole ripetutamente, ed è credenza locale che quando un gatto assume questa posa stia attirando fortuna. Da qui la scultura, che viene tenuta nelle abitazioni o nelle attività commerciali. A ispirare la statuetta il Bobtail giapponese, un gatto molto popolare nel Paese, e a seconda della zampa che tiene alzata, le si attribuisce diversi significati: se la zampa alzata è la destra, il gatto dovrebbe propiziare la salute e la famiglia. Se è quella sinistra dovrebbe invece portare fortuna negli affari e attirare i clienti.
Le origini del maneki neko
Le origini del maneki neko sono incerte. Non è chiaro se siano stati creati per la prima volta a Tokyo o a Osaka, ma vengono fatti risalire alla fine del Periodo Edo (e dunque alla seconda metà dell’800), quando iniziarono a comparire su stampe e pubblicità.
C’è anche chi sostiene che la figurina del gatto con la zampa alzata abbia iniziato a diffondersi nel periodo del rinnovamento Meiji, il grande cambiamento nella struttura sociale e politica del Giappone che riconsegnò il potere all'imperatore dopo secoli di dominio degli shōgun. In questo periodo vennero proibiti ornamenti e talismani a sfondo sessuale molto popolari all’epoca ed esposti fuori dalle case di appuntamento, e il gattino con la zampa alzata iniziò a comparire al loro posto come a rappresentare una donna che chiama a sé.
Ci sono poi diverse leggende che riguardano il maneki neko e il modo in cui si sarebbe conquistato la fama di portafortuna. Tra le più popolari, quella dell’imperatore (ma altri aneddoti si riferiscono anche a un samurai) che, incrociando un gatto con la zampa alzata lungo la strada che stava percorrendo, si avvicinò convinto di essere stato richiamato, allontanandosi dal percorso originario ed evitando così una trappola che gli era stata tesa più avanti.
Un’altra leggenda racconta di un ricco feudatario che durante un temporale si riparò sotto un albero vicino a un tempio. Vedendo a poca distanza il gatto di uno dei monaci che lo guardava con la zampa alzata gli si avvicinò, e pochi istanti dopo un fulmine colpì l’albero sotto cui si era riparato: per esprimere gratitudine al gatto e al monaco, il ricco signore decise di donare denaro al tempio.
C’è poi la leggenda dell’anziana donna costretta a vendere il gatto perché molto povera: una notte, dopo la vendita, l’animale le apparse in sogno dicendole di realizzare con l’argilla una statuetta che lo rappresentasse. La donna obbedì, vendendo la statuetta in poco tempo. Iniziò quindi a farne atre, che continuò a vendere sino a diventare benestante e dire addio alla povertà.
Significato e colori
Oltre alla zampa alzata, il maneki neko ha diversi significati anche a seconda del colore. La statuetta di solito ritrae un gatto tricolore, base bianca con macchie nere e arancioni, e si tratta della colorazione più popolare, anche alla luce del fatto che è relativamente raro trovare un Bobtail giapponese con questo manto, ma viene prodotta anche in altri colori.
Il maneki neko bianco, per esempio, indica purezza, mentre quello nero terrebbe lontani gli influssi negativi e proteggerebbe la salute. Alcune credenze ritengono inoltre che tengano lontani aggressori e molestatori, ed è per questo che spesso viene scelto di questo colore dalle donne.
Il maneki neko oro è invece associato alla ricchezza e al benessere economico, mentre quello rosso tiene lontani spiriti maligni e malattie, e ha una funzione più protettiva, come il nero. Il maneki nero verde, infine, proteggerebbe chi guida e aiuterebbe nei riconoscimenti accademici.
I gatti nel folklore giapponese
I gatti – “neko”, in giapponese – rivestono in generale un ruolo importante nel folklore giapponese. Il loro arrivo nel Paese è stimato intorno al 538 d.C., dalla Cina, e avrebbero iniziato a diffondersi nei templi per tenere lontani i topo dagli antichi testi e manoscritti che vi erano custoditi. Da qui la rappresentazione classica dei gatti vicino ai monaci in stampe e sculture.
Stando alle informazioni diffuse in Giappone, il primo nome di gatto registrato su un documento ufficiale è stato “Myobu no Otodo”, il gatto dell’imperatore Ichijo. Leggenda narra che a prendersene cura fosse un’intera corte di donne, che lo nutriva, vezzeggiava e teneva in salute. Ma i gatti non vengono visti soltanto come protettori o animali domestici: in Giappone assumono anche una connotazione molto spirituale e strettamente legata al buddismo, come testimonia la leggenda secondo cui alla morte del Buddha, tra tutti gli animali che accorsero attorno al suo corpo per piangerne la sua scomparsa spiccavano il serpente e il gatto, senza lacrime. Secondo alcune teorie perché entrambi malvagi, secondo altri perché il gatto, nella sua saggezza e lungimiranza, già sapeva dell’immortalità del Buddha.
Ci sono poi i demoni e le creature mitologiche che richiamano i gatti. È il caso del “Bakeneko”, letteralmente “mostro-gatto”, che nel folklore giapponese è la forma in cui i gatti muterebbero una volta raggiunta l’età avanzata. Ha il potere di creare sfere di fuoco, di camminare su due zampe e anche di trasformarsi in umano, mantenendo però tratti felini. Sembra che la leggenda affondi le radici nell’olio usato nell’antichità per accendere le lampade, ricavato dalle sardine: un’essenza che attirava i gatti e li spingeva a leggere le lampade, con la luce che si rifletteva nei loro occhi a trasformarli in “demoni”, appunto. Ci sono poi i “Nekomata” che, sempre secondo la credenza, si nutrono di esseri umani, ingannandoli assumendo a loro volta una forma umana: a “tradirli” la doppia coda.
Un’altra curiosità legata ai gatti riguarda poi il tempio scintoista di Kyōtango, nella prefettura di Kyoto. Il tempio Kotohira-jinja è l’unico in tutto il Giappone ad avere statue di gatti al posto dei cani, come è tradizione, all’ingresso. I “Komaneko”, questo il nome dei gatti guardiani, sono presenti perché gli abitanti della città hanno voluto esprimere gratitudine verso i gatti che cacciavano i topi, salvando così i bachi da seta, preziosissimi per l’economia della città.