Bunny è diventata famosa in tutto il mondo per i video in cui comunica con la sua umana di riferimento attraverso una tastiera dotata di oltre 70 pulsanti che producono le parole necessarie per comporre semplici frasi in inglese. Molti giornali americani ed europei hanno raccontato la sua storia chiamandola "Bunny, the talking dog" ("Bunny, il cane parlante"). Ma perché questo cane ha sviluppato questa particolare abilità? E' davvero una comunicazione para verbale la sua? Un cane può imparare la nostra comunicazione attraverso l'espressione, appunto, del linguaggio umano? Per capire davvero la storia di Bunny, abbiamo voluto intervistare Federico Rossano, direttore del Comparative Cognition Laboratory presso la University of California di San Diego e responsabile proprio dello studio scientifico They can talk ("Possono parlare") di cui fa parte anche Bunny, che ha quasi due anni ed è uno Sheepadoodle, ovvero una razza che nasce dall'incrocio tra un cane da pastore e un Barbone, considerata di "design" perché selezionata sulla base del risultato estetico.
Il titolo dello studio è fuorviante: «Non imparano a parlare, ma scoprono più strumenti comunicativi»
Se da una parte lo studio permette di aumentare la comunicazione tra due specie che convivono da oltre 30 mila anni, dall'altra è interessante capire perché i ricercatori preferiscano insegnare al cane un nuovo linguaggio, piuttosto che approfondire la propria conoscenza del linguaggio animale: «Personalmente credo che il nome scelto per lo studio possa confondere le idee. Affermare che i cani possano parlare è sbagliato e infatti non è questo che ci stiamo chiedendo. La nostra domanda è più complessa ed è legata piuttosto a qualcosa che forse assomiglia più al bilinguismo: il cane può imparare un linguaggio differente dal suo? E se effettivamente lo potesse fare, cosa vorrebbe dirci? Indubbiamente è indispensabile prestare attenzione a saperlo comprendere nel quotidiano al di fuori della tavola sonora, ma il nostro studio non vuole sostituire la comprensione del cane da parte nostra, bensì dare all'animale ulteriori strumenti per la comunicazione con gli esseri umani».
L'origine di They can talk e lo stato attuale della ricerca
Lo studio, proposto da Leo Trottier ingegnere del software e amministratore delegato della CleverPet, start up americana che produce giochi per animali basati sulla stimolazione cognitiva, è nato dagli esempi precedenti già presenti in rete: «Prima di Bunny c'è stata Stella, e prima di lei altri studi parlavano già della possibilità di utilizzare queste tavole sonore – spiega il ricercatore – Bunny ha iniziato ad utilizzare la tastiera quando era molto giovane e la persona che vive con lei è molto attenta e precisa. Ma come loro due ci sono molti altri binomi che sono meno famosi o non lo sono per nulla». Ciò che il ricercatore e il suo team si prefigge di fare è comprendere e imparare a riconoscere le diverse fasi dell'apprendimento: «Grazie ai grandi numeri di partecipanti volontari, speriamo di capire fino a dove possiamo arrivare nella comunicazione uomo-cane attraverso il linguaggio degli umani».
Lo studio ad oggi include oltre 3000 cani provenienti da 47 nazioni: «Ci troviamo al termine della prima fase dello studio: a seguito di mesi di raccolta dati, stiamo iniziando ad analizzare e selezionare i video ripresi dalle famiglie all'interno delle loro case, riguardo le interazioni che i cani hanno con le tastiere e solo in seguito analizzeremo i procedimenti svolti e i progressi ottenuti da ogni cane in compagnia dei propri umani di riferimento. Solo così comprenderemo quindi davvero i diversi stili di apprendimento. Le nostre domande sono: quali sono i comportamenti che propongono tutti i cani? Quali vengono proposti solo da alcuni di loro? Che comportamento non viene mai proposto? Ma anche: quali sono i comportamenti che permettono di massimizzare l'apprendimento?». Grazie a queste risposte, secondo Rossano, si potranno raggiungere risultati legati al benessere dell'animale: «Se il cane malato ad esempio potesse comunicare al veterinario attraverso la tastiera quale arto è interessato dal dolore, verrebbero risparmiate molte sofferenze».
Come si svolge lo studio: «Tasti personalizzati sulle necessità delle famiglie»
Lo studio ha inizio con la presenza di pochi tasti basati sulle necessità quotidiane degli individui: «Ogni partecipante riceve un questionario in cui ci racconta di sé e del suo cane, in modo da capire che direzione prendere nella scelta dei termini presenti sulla tastiera. Ci sono cani che hanno tasti per diverse tipologie di cibo, altri che invece hanno molti tasti con i nomi delle persone che compongono la famiglia. Tutti però iniziano da termini semplici come "fuori", "play", e anche "mamma" e "papà"», chiosa Federico Rossano, sottolineando che ancora negli Stati Uniti vengono utilizzati questi termini per definire la relazione con alcuni membri della famiglia.
Una volta appresi i termini più semplici vengono gradualmente aggiunti nuovi tasti, seguendo diverse possibilità, desideri e necessità: «Ogni famiglia è chiamata a inviarci regolarmente report sull'avanzamento del percorso e, in base agli aggiornamenti, adattiamo al singolo individuo i passi successivi». A seguito dei mesi di riprese, in questo momento i ricercatori stanno analizzando i processi di apprendimento svolti dai 3000 cani: «L'analisi dei video ricevuti ci permetterà di comprendere, tra le altre cose, il ruolo che giocano l'eta in cui viene iniziato il percorso e l'appartenenza ad una razza piuttosto che ad un'altra. Un'altra domanda importante che ci stiamo ponendo è: il cane è in grado di fare riferimento a qualcosa che non è presente nell'ambiente?». Nonostante lo studio non abbia ancora risposte certe, alcuni dati sono già stati evidenziati: «Ci ha stupiti il fatto che solo raramente i cani chiedano di interagire con gli oggetti e molto più spesso fanno richieste riguardanti le persone – spiega Rossano – Attendiamo di averne la certezza e poi sicuramente approfondiremo questo dettaglio».