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15 Settembre 2023
14:08

L’Università di Genova premiata per un progetto di ricerca senza sperimentazione animale

La Lega Anti Vivisezione ha consegnato il riconoscimento alle ricercatrici Anna Maria Bassi e Sonia Scarfì per il progetto finanziato come Progetti di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN)

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(Credits Samuel F. Johanns da Pixabay)

L’Università di Genova è stata premiata dalla Lega Anti Vivisezione (Lav) per il suo progetto di ricerca animal free sulle patologie respiratorie. L’attestato di merito è andato alle professoresse Anna Maria Bassi e Sonia Scarfì del Dipartimento di Medicina Sperimentale e del Dipartimento di Scienze della Terra, dell'Ambiente e della Vita dell’Università ligure per il progetto finanziato da fondi ministeriali che ha permesso di svolgere gli studi senza il coinvolgimento di animali per le sperimentazioni.

La ricerca si intitola “Sviluppo di un modello in vitro 3D fisiologicamente rilevante di tessuto alveolare umano per la valutazione di biomarcatori specifici del potenziale infiammatorio e cancerogeno, associati all'inalazione di agenti tossici” ed è basata sugli umani. Servirà per l’identificazione di sostanze potenzialmente cancerogene e contribuirà allo studio di cure per alcune note patologie respiratorie. Il lavoro delle due ricercatrici ha attratto l’attenzione della Lav siccome da diversi decenni gli studi sul cancro ai polmoni sono stati portati avanti con sperimentazioni su animali. Il lavoro dell’Università di Genova, quindi, segna un netto cambio di passo. La ricerca è iniziata nel 2017 grazie al finanziamento PRIN per i Progetti di Rilevante Interesse Nazionale e, a dimostrazione della sua valenza nell’opposizione alla sperimentazione animale, è già stata pubblicata su quattro riviste internazionali dimostrando così un possibile cambio di passo su scala nazionale e internazionale.

La Lega Anti Vivisezione, proprio prendendo spunto dal progetto dell’Università di Genova, ha quindi chiesto che vengano istituiti nuovi fondi per sostenere metodi alternativi alla sperimentazione animale. Spiega  Michela Kuan, responsabile LAV per l’area Ricerca Senza Animali: «Il numero di animali utilizzati nei laboratori di ricerca italiani è ancora altissimo, con oltre 450 mila animali sfruttati nel 2020. L’Italia si colloca ai primi posti a livello europeo per numero di cani e scimmie utilizzate, più di mille in un solo anno, un primato che non ci rende merito all’interno di un contesto europeo in cui si stanno investendo ingenti quantità di denaro e risorse in metodi innovativi ed etici».
«Continueremo a supportare la scienza, e i ricercatori, che hanno il coraggio e la volontà di investire in una ricerca innovativa ed efficace, in grado di contribuire positivamente al progresso della scienza – aggiungono da Lav – senza causare danni ad alcun essere vivente e rispondendo alle norme richieste dalle leggi internazionali. Ci auguriamo che il Ministero della Salute possa fare lo stesso, garantendo un supporto economico costante e consistente alla ricerca animal-free, in linea con altri paesi europei».

L’Italia nel 2014, con il decreto legislativo 26 del 4 marzo 2014, aveva recepito la direttiva Europea sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, stabilendo all’articolo 1 «la  sostituzione,  la  riduzione  dell'uso  di  animali   nelle procedure e il perfezionamento delle  tecniche di allevamento, di alloggiamento, di cura e di impiego degli animali nelle procedure» e ricordando che il governo è tenuto a seguire anche alcuni principi direttivi tra cui «vietare l'utilizzo di animali  per  gli  esperimenti bellici,  per  gli  xenotrapianti  e  per  le  ricerche  su sostanze  d'abuso,   negli   ambiti   sperimentali   e   di esercitazioni  didattiche  ad  eccezione  della  formazione universitaria in medicina veterinaria e dell'alta formazione dei medici e dei veterinari».

Se in alcuni ambiti, dunque, la sperimentazione animale sembra ancora necessaria – la ricerca su tumori e malattie generiche, per esempio, o ancora lo sviluppo di vaccini – la direttiva europea stabilisce che i test animali non vengano invece condotti «per  per  gli  xenotrapianti (il prelievo di organi da specie diverse da quella di chi li riceve, ndr) e  per  le  ricerche  su sostanze  d'abuso». In quest’ultimo campo rientrano però i farmaci che agiscono sul cervello, per cui sono necessari test per potenzialità di sviluppo di abuso e dipendenza, e vi rientrano anche quelli impiegati nel trattamento del cancro. La ricerca dell'Università di Genova è dunque particolarmente rilevante perché dimostra come, attraverso nuove metodologie di studio, è possibile trovare metodi alternativi per la ricerca che non comportino sofferenze e sfruttamento per gli animali.

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Pietro Zampedroni
Giornalista
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