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23 Novembre 2022
17:36

L’uccello volante più pesante al mondo mangia erbe mediche per combattere i parassiti

Le otarde, i più grandi uccelli in grado di volare al mondo, possiedono un comportamento che gli dona un grande vantaggio evolutivo: sono in grado di automedicarsi mangiando erbe curative.

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Otarda che mangia un’erba medica, Bautista–Sopelana et al. 2022

È impossibile vedere un'otarda (Otis tarda) in natura e dimenticarla. Massicci e colorati ammassi di piume e penne conosciuti come i più pesanti uccelli volanti al mondo insieme a una sua parente stretta di origine africana, l'otarda kori (Ardeotis kori). Oltre alle dimensioni e ai bizzarri rituali di accoppiamento, però, da oggi l'otarda sarà conosciuta anche per un nuovo primato: è il primo caso registrato di uccello che fa uso di erbe mediche.

Distesi sul ventre in un fredda mattina d'inverno cerchiamo di non muoverci troppo per non spaventarle. Abbiamo intrapreso un lungo viaggio per avvistare la nutrita popolazione spagnola di otarde che ospita circa il 70% degli individui di tutto il mondo e ora non possiamo farci scappare questa occasione. Camminano lentamente nell'immensa prateria beccando qualsiasi cosa riescano a mangiare: semi, piante, insetti e anche piccoli vertebrati. Siamo a gennaio e proprio in questo è periodo i maschi sviluppano un colorato piumaggio di corteggiamento che mostreranno nella stagione degli amori ad aprile in tutto il suo splendore ritraendo la testa in un modo peculiare.

Prima di esibirsi in questo particolare spettacolo, però, tutte le otarde cercano di apparire il più in forze possibile per i futuri partner e un recente studio di un team di ricercatori del Museo Nazionale di Scienze Naturali di Madrid pubblicato su Frontiers in Ecology and Evolution ha scoperto un trucco che solo questi fra tutti gli uccelli sembrano aver sviluppato. Prima di corteggiare i partner i maschi si nutrono di alcune particolari erbe mediche che gli permettono di eliminare i propri parassiti e risultare, dunque, ancor più belli e in forma alle femmine.

L'automedicazione negli animali

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Comprendere che una determinata pianta porta dei benefici alla propria salute non è così immediato come per gli esseri umani. In molti animali richiede millenni di pressioni evolutive in cui gli individui che hanno imparato a fare uso di tali piante sono riusciti a sopravvivere meglio degli altri. Dato l'incredibile vantaggio che porta l'automedicazione, però, sono molti gli animali selvatici che l'hanno sviluppata in una forma nell'altra.

Uno degli esempi più noti di automedicazione tra gli animali è quello degli scimpanzé che vanno alla ricerca di specifiche erbe medicinali per curare le proprie malattie e con cui addirittura potrebbero medicare anche i loro compagni con un comportamento chiamato di "allo-medicazione". L'osservazione di questo comportamento ha portato a ritenere che sia legato a capacità cognitive di alto livello, ma studi recenti hanno dimostrato, per esempio, che anche passeri e fringuelli raccolgono cicche di sigarette e le portano nei loro nidi, usando la nicotina per ridurre l'infestazione di acari.

Un altro esempio lo offrono i tursiopi indopacifici che vivono nel Mar Rosso che in caso di fastidiose infiammazioni cutanee o dermatiti utilizzano  la propria "clinica" privata composta da coralli e spugne e usano come pomata il loro muco. In uno studio pubblicato su iScience, infatti, i ricercatori hanno spiegato come questi mammiferi marini si mettano rigorosamente in fila in attesa del proprio turno e poi si strofinino su spugne e coralli selezionati per curare la loro pelle.

Questo comportamento è talmente tanto vantaggioso in termini evolutivi che persino gli insetti, animali estremamente lontani nell'albero filogenetico rispetto ai mammiferi, lo hanno sviluppato. Alcuni imenotteri, infatti, sanno perfettamente quali fiori impollinare e quale nettare produrre nel caso in cui hanno bisogno di combattere un'infestazione parassitaria.

Il primo caso di automedicazione negli uccelli

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A questa lista di "animali farmacisti" si aggiunge dunque anche l'otarda. In particolar modo i ricercatori spagnoli hanno notato che questi uccelli si nutrono solitamente di alcune particolari piante prima della stagione degli accoppiamenti e hanno voluto indagare se in questa particolare dieta ci fosse qualcosa che potesse aiutarli a essere più competitivi nei rituali di corteggiamento.

Le femmine di questi uccelli rimangono in genere fedeli all'areale di origine dove covavano per tutta la vita, mentre dopo l'accoppiamento i maschi vanno via e lasciano solo le femmine badare alle uova, ritornando soltanto sporadicamente anno dopo anno. Così in un singolo spazio ci possono essere grandi gruppi di otarde che mangiano si riproducono e, soprattutto, defecano in massa. Tale promiscuità spaziale ha fa si che sia maschi che femmine abbiano bisogno di un sistema immunitario abbastanza forte per far fronte a possibili infezioni e parassitosi. Un ambiente del genere stimola persino comportamenti positivi che possano aiutare a prevenire le malattie, proprio come l'automedicazione.

Per molti anni i ricercatori hanno raccolto campioni per un totale di 623 escrementi di otarde, di cui 178 durante la stagione degli amori di aprile. Hanno quindi esaminato al microscopio l'abbondanza di resti riconoscibili di vegetazione, scoprendo più o meno 90 specie di piante che crescono localmente. Di queste 90 specie, però, alcune appaiono più spesso sul menù delle otarde, specialmente durante la stagione degli amori: il papavero (Papaver rhoeas) e la viperina piantaginea (Echium plantagineum).

È noto da secoli all'essere umano come il papavero abbia proprietà antidolorifiche, tanto da essere stato utilizzato nella medicina tradizionale per molti anni, anche come sedativo e per aumentare la risposta immunitaria. Anche la viperina piantaginea, come il papavero, è tossica per l'uomo e il bestiame se mangiata in grandi quantità, ma possiede proprietà simili.

Gli autori hanno approfondito ancor di più lo studio isolando i composti solubili di entrambe le specie vegetali e ne hanno determinato l'identità chimica tramite particolari tecniche di analisi biochimica. Così facendo sono riusciti a evidenziare quali possibili composti potessero avere una attività antimicrobica come la rhoeadina, la rhoeagenina, l'epiberberina e la canadina.

Gli autori hanno quindi testato se questi particolari complessi molecolari potessero combattere infezioni e parassitosi comuni negli uccelli come quelle provocate dal protozoo Trichomonas gallinae, il nematode Meloidogyne javanica, e il fungo Aspergillus niger. I risultati hanno dimostrato che gli estratti di entrambe le piante sono altamente efficaci nell'inibire o uccidere protozoi e nematodi in vitro, e la viperina piantaginea è persino in grado di agire contro i funghi.

Prima di definire questo tipo di comportamento una vera e propria automedicazione, però, bisogna attendere ulteriori analisi poiché per definire scientificamente il comportamento è necessario attendere a rigidi protocolli sperimentali che possano confermare come deliberatamente questi animali si nutrano delle piante mediche per migliorare la propria salute. In ogni caso una cosa è certa: più studiamo il comportamento degli animali e più ci rendiamo conto di quante cose loro hanno scoperto che noi fino ad oggi abbiamo ignorato.

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