Spesso, negli animali che vivono in gruppo, la femmina studia i potenziali compagni mentre interagiscono con altri individui. Lo fa per raccogliere informazioni sociali utili a valutare la loro qualità riproduttiva, al fine di individuare il maschio più idoneo per ricoprire il ruolo di partner. Uno dei comportamenti sociali che può essere interpretato come un segno di popolarità, e quindi viene particolarmente monitorato dalle femmine, è l’atto dell’accoppiamento, indipendentemente dal sesso del conspecifico verso cui è diretto.
«La bisessualità raddoppia immediatamente le tue possibilità di un appuntamento il sabato sera», pare abbia detto una volta – e non a torto – Woody Allen.
Il comportamento omosessuale come strategia riproduttiva
Nuotando nelle acque dolci tropicali del Centro America, a un occhio esperto potrebbe capitare di scorgere un maschio di Poecilia mexicana, pesce noto anche come shortfin molly (molly pinne corte) fare sesso orale, o copulare, con un altro maschio. Con tutta probabilità, lì da qualche parte, una femmina curiosa li sta osservando interessata. Alla vista di un maschio che fa sesso con un altro individuo, infatti, il suo cervello si attiva e fa scattare l’attrazione. In tal modo, aumentano le loro probabilità di riprodursi.
Come racconto nel libro “Un’etologa in famiglia. Genitori, figli e parenti scomodi nel regno animale”, edito da Unicopli, l’accoppiamento tra individui dello stesso sesso può essere utile anche quando, in una popolazione, il rapporto tra i sessi si sbilancia a favore di uno dei due, finendo per rappresentare un limite per la riproduzione. Succede, ad esempio, tra gli albatri di Laysan (Phoebastria immutabilis), in cui si arriva ad annoverare fino al 30% di coppie saffiche in una popolazione, tra le quali il successo nell'allevare i piccoli è maggiore rispetto a quello delle femmine single. Esse, peraltro, dimostrano di essere molto stabili, rimanendo legate anche per tanti anni.
L'omosessualità nel mondo animale è ubiquitaria
Il comportamento sessuale tra individui dello stesso sesso è stato registrato in oltre 1.500 specie animali, nelle più svariate condizioni ecologiche: in cattività, in laboratorio e in libertà. È molto comune tra gli uccelli, come i pinguini, i gabbiani, le oche selvatiche o i colombi, ma si osserva frequentemente anche tra i mammiferi.
Ciononostante, l’origine di questo comportamento è avvolta nel mistero. Secondo l’ipotesi che, complice un certo perbenismo, tra noi esseri umani ha sempre fatto più presa, l’unica strategia ancestrale, e quindi quella naturale, sarebbe il comportamento eterosessuale. Solo successivamente, da questa strategia si sarebbe evoluto il comportamento omosessuale.
L'origine del comportamento omosessuale negli animali
Recentemente, Julia D. Monk, una ricercatrice della statunitense Yale University, ha pubblicato un articolo sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Ecology & Evolution, mettendo in luce la possibilità che la storia evolutiva delle strategie sessuali animali racconti esattamente il contrario. La logica sarebbe questa: quando un particolare tratto è molto diffuso nel regno animale, è ragionevole pensare che esso sia antico quanto le specie in cui lo si osserva. Partendo da questo presupposto, dunque, è più probabile che la condizione ancestrale del comportamento sessuale negli animali con una socialità complessa includesse sia il comportamento eterosessuale che quello omosessuale. In origine, insomma, gli animali a riproduzione sessuale si accoppiavano indiscriminatamente, senza identificare il compagno basandosi sul suo sesso. Vari processi evolutivi, adattivi o meno, avrebbero poi modellato la persistenza e l'espressione di un comportamento o dell’altro.
Del resto, a ben pensarci, il comportamento eterosessuale esclusivo richiede meccanismi di riconoscimento del compagno, anche molto costosi. Esso può quindi essersi sviluppato solo quando gli individui hanno cominciato a rendere riconoscibile il proprio sesso attraverso evidenti caratteri esteriori, come le dimensioni del corpo, i colori della livrea, i feromoni o le vocalizzazioni, fenomeno che si definisce “polimorfismo sessuale”.
Gli animali non si accoppiano solo per riprodursi
Peraltro, non sempre la scelta del partner e l’accoppiamento sono determinati dall'obiettivo della trasmissione dei geni alla prole. Nei, bonobo (Pan paniscus), ad esempio, il 75% del sesso non è riproduttivo, e molti individui sono bisessuali. I bonobo, diciamolo, sono un po’ i figli dei fiori tra le scimmie antropomorfe, quelli che, non a caso, il primatologo Frans de Waal definisce come la specie “facciamo l'amore, non la guerra". I bonobo usano spesso il sesso per risolvere i conflitti e migliorare i legami sociali, e questo ce l’ha raccontato molto bene anche una ricerca pubblicata da un gruppo di brillanti etologhe italiane coordinate da Elisabetta Palagi. Per entrare in un nuovo gruppo sociale, le giovani femmine cercano di fare amicizia con le femmine più anziane offrendo loro rapporti sessuali. Se le avance sono gradite, le giovani vengono gradualmente accettate nel gruppo. Capita pure che offrano sesso dopo una lite, in segno di pacificazione. Anche i maschi giovani di bisonte americano (Bison bison) si scambiano spesso favori sessuali, al di fuori della stagione riproduttiva, con l’intento di raffreddare gli animi e promuovere la coesione. È quella che si definisce la “teoria della colla sociale”.
Tutto questo ci porta inevitabilmente a pensare che la domanda più logica da porsi, quando si pensa all’omosessualità negli animali, non sia "perché impegnarsi in comportamenti sessuali con individui dello stesso sesso?", bensì "perché no?".
- Bibliografia
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