L’Aia riduce i suoi animali d’allevamento. Ce ne saranno di meno per rendere l’ambiente più sostenibile. È questa la scelta che ha fatto il Governo olandese per dimezzare le emissioni di azoto entro il 2030. Un capo allevato su 3 non ci sarà più. È la prima nazione europea che decide di prendere questa strada, già indicata da diverse ricerche come una delle soluzioni per ridurre l’impronta antropica.
Il tema, infatti, è che le soluzioni tecnologiche non sono sufficienti a ridurre l’impatto del settore zootecnico. Quindi, di conseguenza, bisogna agire sul numero dei capi. I Paesi Bassi hanno deciso di investire 25 miliardi di euro per questo percorso di transizione.
Lo scorso maggio Greenpeace Olanda aveva inviato una lettera al Governo dell’Aia mettendola in mora per il mancato rispetto dell’articolo 6 paragrafo 2 della Direttiva Habitat, che impone agli stati membri di adottare misure per evitare il deterioramento dell’ambiente. Le emissioni e gli alti carichi di azoto, dovuti in primo luogo proprio alla zootecnia, hanno infatti messo in crisi l’intero Paese. «Serviva un drastico cambio di rotta», dicono dall’associazione ambientalista.
Lo scontro aperto con lo Stato ha portato Greenpeace Olanda ad accusarlo di negligenze sulle politiche della sostenibilità, minacciando di portarlo in tribunale. Nei mesi successivi il governo si è messo all’opera per definire l’accordo di coalizione che vedrà anche il contributo di banche, dell'industria della trasformazione e della distribuzione, proprio per rafforzare la posizione degli allevatori nelle filiere.
Per Simona Savini, della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia «ora più che mai è necessario sostenere una reale transizione ecologica del settore, riducendo gli animali allevati ma garantendo al tempo stesso al maggior numero possibile di agricoltori qualità e valorizzazione del loro lavoro». «L’Olanda manda un segnale forte anche agli altri Paesi europei: è ora di agire con coraggio se si vuole davvero fermare la distruzione della natura in Europa e in altre regioni del mondo, visto che i terreni destinati all’alimentazione animale continuano a divorare preziosi habitat naturali», prosegue.
E in Italia, che succede? È tra i Paesi europei oggetto di procedure di infrazione per il mancato rispetto della direttiva nitrati sempre per i troppi carichi di azoto dovuti dalla zootecnia. Secondo un’inchiesta di Greenpeace la Lombardia è la Regione italiana che ospita gran parte del patrimonio zootecnico nazionale: più di un Comune lombardo su dieci è a rischio ambientale per eccessivi carichi di azoto. Nella classifica dei capi per chilometro quadrato, in testa è la Lombardia (con 245,5 capi per km2), a seguire Piemonte (80,8), Veneto (76,7), Emilia-Romagna (74,6), Campania (40,4), Friuli Venezia Giulia (40,2), Umbria (30,1), Sardegna (18,7) Marche (18,6) Provincia autonoma di Bolzano (18,2) Lazio (17,8), Basilicata (16,4), Sicilia (16,3), Molise (14), Abruzzo (12,2), Puglia (11,1), Calabria (10,7), Valle d’Aosta (10,2), Toscana (9), Provincia automoma di Trento (8,2), Liguria (2,4).
«La riduzione della densità e del numero dei capi allevati continua a essere un tabù per la politica italiana, sebbene il mercato stesso dia indicazioni in tal senso, attraverso cicliche crisi della domanda di prodotti di origine animale che mettono in difficoltà anzitutto gli stessi allevatori, l’anello più debole della catena», conclude Savini.