Per il giardino zoologico più antico del mondo, lo Schönbrunn di Vienna, è arrivato il momento di cambiare prospettiva: e la svolta comincerà dal non dare più un nome agli animali presenti, una decisione nata dall’esigenza di concentrare una maggiore attenzione alla conservazione dell'intera specie e non di un individuo singolo scelto per rappresentarla.
E per farlo è necessario non umanizzare più gli animali, cosa che si otterrà, secondo gli esperti del parco, evitando di dare loro dei nomi specifici. Una decisa rottura con il passato, secondo quello che riporta il Times, in quanto nei tempi andati era invece tradizione per lo zoo austriaco invitare il pubblico a presentare idee per i nomi dei suoi nuovi arrivi, come si fa del resto in molte altre strutture simili.
Nel parco zoologico austriaco vivono oltre 700 specie di animali, dalla tigre siberiana all'ippopotamo fino ai rinoceronti e ai koala e nella dichiarazione di intenti sulla pagina ufficiale si legge: «Promuoviamo la consapevolezza della natura e la protezione delle specie per farla comprendere a sempre più visitatori».
Per farlo, lo zoo di Schönbrunn collabora per esempio con la China Wildlife Conservation Association per proteggere i panda giganti, ha assunto la guida del progetto LIFE finanziato dall'UE per salvare l'ibis eremita, una delle specie di uccelli più minacciate al mondo e, ha avviato un'operazione di salvataggio in Bangladesh e nel sud dell'India per le minacciate tartarughe del fiume Batagur, oggi tra le specie più rare al mondo.
Il presidente dello parco Hering-Hagenbeck ha spiegato che verrà cambiato anche il sistema di sensibilizzazione che, se prima era fatto proprio impiegando un animale in particolare, il sindaco di Vienna, per esempio, era stato il mecenate dell'orsa Finja, mentre il tenore Jonas Kaufmann di una coppia di gibboni, Rao e Sipura, ora sarà piuttosto per l’intera specie.
Sul concetto di “umanizzazione degli animali”, al di là di un nome o meno, si dibatte da tempo e molti esperti e animalisti sono critici nei confronti della pratica che attribuisce caratteristiche umane agli animali o al loro trattamento come se fossero davvero esseri umani.
Tanto per fare qualche esempio, vanno in questa direzione anche azioni come vestirli con abiti simili ai nostri o come l’attribuzione a loro di emozioni e “parole” che sono tipicamente nostre, tutte cose che ci impediscono di trattarli per quelli che sono, ovvero animali con delle esigenze naturali ben specifiche, intendendo con questo termine i bisogni propri di un individuo a seconda della specie.
Trattare gli animali come se fossero esseri umani, infatti, può comportare il trascurare o ignorare esigenze fisiche e comportamentali che devono essere rispettate per garantire il loro benessere e la loro salute. Inoltre, riduce la comprensione della loro vera natura e della loro individualità fatta di comportamenti, istinti e modi di comunicare propri di ogni specie, portando a veri e propri malintesi sulla loro reale essenza. Insomma, l’umanizzazione non permette di trattare gli animali con rispetto e dignità e impedisce di promuovere quel indispensabile trattamento etico e responsabile nei loro confronti, sia in cattività che in natura.