L'abuso e il maltrattamento degli animali non sono fenomeni isolati ma sistemici all'interno dell'industria zootecnica, e vanno di pari passo allo sfruttamento dei lavoratori. Attraverso un lavoro d'inchiesta che va dagli allevamenti di tacchini del Lazio fino ai palazzi di vetro del Parlamento Europeo, la giornalista Giulia Innocenzi ha raccontato la realtà dietro a prodotti che troviamo ogni giorno sugli scaffali del supermercato.
Innocenzi, insieme al film-maker Pablo D'Ambrosi, nel documentario "Food for profit" offre una panoramica delle tantissime ombre dell'industria della carne. Kodami l'ha contattata per parlare di quello che ha visto e di come il maltrattamento degli animali negli allevamenti sia legato a doppio filo a quello delle persone, fino a incidere sulla salute anche di chi crede di non avere a che fare con questo sistema.
Il caporalato esiste nelle aziende agricole e anche in quelle zootecniche, come mostri in "Food for profit", eppure se ne parla molto poco. Perché?
Le condizioni di lavoro in questi luoghi sono estreme e non se ne sa praticamente niente perché il mondo degli allevamenti intensivi e dei macelli è estremamente chiuso e omertoso, è molto difficile fare uscire le informazioni. In Germania la stragrande maggioranza dei lavoratori sono rumeni o polacchi: si tratta di persone che vengono convinte ad andare a lavorare nei macelli con la promessa di stipendi promettenti e altri benefit, per poi scoprire che le cooperative di subappaltatori in realtà decurtano dal loro stipendio tutte le spese. Devono lavorare di più e soprattutto si ammalano mentre lavorano per via dei ritmi insostenibili e non possono mettersi in malattia, soprattutto durante il periodo di prova, altrimenti vengono lasciati a casa.
Questo ha delle ripercussioni anche sul benessere degli animali?
Sì. Nel Lazio il nostro infiltrato ha lavorato in un allevamento di tacchini: qui i lavoratori erano pagati in nero, in contanti, e non all'ora ma "a bilico", cioè per ogni cassone riempito. I lavoratori quindi vengono incentivati ad andare il più velocemente possibile, e per farlo se ne fregano degli animali che regolarmente vengono presi a calci o finiscono con le ali incastrate nei macchinari. Secondo le disposizioni del datore di lavoro devono caricare sui camion anche tacchini morti, cosa contraria alle leggi in tema di benessere animale. Gli operai però hanno paura di parlare, perché anche qui come in Germania non vengono assunti italiani proprio per evitare che vengano denunciatele condizioni di lavoro: si preferisce quindi assumere manovalanza straniera da sfruttare nell'omertà.
Sfruttamento del lavoratore e sfruttamento animale vanno di pari passo nel sistema che abbiamo creato?
Assolutamente sì, il caso dei tacchini è lampante, ma anche nel macello i lavoratori sono costretti ad andare sempre più veloci. Oggi si macellano oltre 400 maiali all'ora, questo significa che c'è minor cura per ogni singolo animale, anche nella fase dello stordimento prima della macellazione. Questo va a detrimento sia del benessere dell'uomo che dell'animale.
Questo Governo si è dimostrato particolarmente ostile al tema animale contribuendo così a polarizzare il discorso come non avveniva da tempo. Pensa che questa presa di posizione abbia alla fine giocato un ruolo nel successo del documentario?
Questo è un Governo che non si nasconde dietro a dichiarazioni più o meno ipocrite. Non fanno finta di difendere gli animali o le parti più deboli del settore zootecnico, e lo ha spiegato bene il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida quando ha dichiarato che "l'unico essere senziente sul Pianeta è l'essere umano". Questo atteggiamento ha fatto capire che è importante esporsi, chiedere che i diritti degli animali siano contemplati, anche perché sono anche i diritti dell'ambiente e degli uomini. Questo vale sia per chi mangia carne che per chi non la mangia.
Tutelare la salute e il benessere degli animali negli allevamenti ha un impatto sulla salute delle persone esterne al sistema di produzione?
Sì, anche chi non la mangia è toccato da questo tema. Negli Stati Uniti gli allevamenti di bovini sono stati colpiti dall'aviaria che poi è stata trasmessa anche a un lavoratore. L'uomo contagiato non ha avuto conseguenze negative ma è la prova che la malattia si avvicina sempre di più a noi, che siamo mammiferi come i bovini. Andiamo avanti facendo finta che non ci stiamo mettendo sempre più in pericolo. La risposta è di stare tranquilli, ma i vaccini non sono pronti, questa è una toppa su un problema che riusciamo a risolvere. La verità è che dobbiamo abbandonare questo sistema produttivo che crea allarmi sanitari, e lo stiamo vedendo anche per quanto riguarda l'antibiotico resistenza.
Quanto tempo ha dedicato alla realizzazione di Food for profit?
Questo tema mi accompagna da più di 10 anni. Colui che mi ha introdotta all'argomento è stato Jonathan Safran Foer con il libro "Se niente importa", in seguito mi sono dedicata attraverso trasmissioni e inchieste al tema, ma sentivo che dovevo fare qualcosa di più. L'idea del progetto è partita concretamente nel 2018: è stato lunghissimo anche perché non c'era una casa di produzione e io e Pablo l'abbiamo costituita per fare questo film e i risultati si sono visti e siamo molto felici.
A seguito della diffusione di "Food for profit" l'eurodeputato Paolo Di Castro ha rinunciato alla rielezione, lo stesso è avvenuto per l'eurodeputata spagnola Clara Aguilera, entrambi presenti nel documentario. Quali sono i prossimi risultati da raggiungere?
Incidere sulla fine ai sussidi pubblici agli allevamenti intensivi da parte dell'Europa: questo sarebbe il risultato più grande di tutti. Vorrei mostrare questo film a tutti gli europei, il prossimo paese è la Spagna, dove usciremo nei cinema il prossimo 7 giugno. Ci piacerebbe poter incidere sulla nuova Politica Agricola Comune che è già in discussione e verrà votata dal prossimo Parlamento Europeo, è bene perciò sceglierebbe con attenzione i propri eurodeputati: saranno loro a decidere dove destinare questi quasi 400 miliardi di euro che oggi vanno per la maggior parte agli allevamenti intensivi.
Vedere gli abusi presenti nel documentario è difficile per lo spettatore, ma come è stato per lei entrare in quei luoghi?
Quando lavori devi sempre mettere uno schermo tra te e ciò che vedi. Però questo tema, il problema animale, mi ha cambiato la vita. Quindi ogni volta che entro in quei luoghi e mi trovo faccia a faccia con animali sfruttati e torturati mi ricordo la motivazione che mi porta a dedicarmi a questo argomento e sono convita che quello che sto facendo sia giusto.