I topi domestici (Mus musculus) sono fra le specie più studiate per comprendere l'evoluzione del comportamento animale. Da Skinner in poi, questi piccoli roditori sono stati la specie modello per svariate ricerche nel campo dell'apprendimento, dell'empatia, come del rinforzo e dell'aggressività sociale. Un nuovo studio però ci permette di sorprenderci ancora, riguardo ai circuiti cerebrali e i fattori mentali che regolano i loro comportamenti, per quanto sia passato quasi un secolo da quando i primi etologi cominciarono a interessarsi a loro e siano stati prodotti da allora biblioteche intere, colme solo di articoli che trattano gli stili di vita della loro specie.
Per quanto possa sussistere, filogeneticamente parlando, una distanza notevole fra lo sviluppo del nostro e del loro comportamento, con un insieme di caratteristiche sociali ed emotive differenti, è indubbio però il fatto che comprendere come i topi percepiscono e comunicano i loro stati emotivi è un buon modo per far luce sull'origine evolutiva di caratteristiche complesse come l'egoismo e l'altruismo, all'interno della classe mammiferi. I ricercatori dell'Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e dell'Università degli Studi di Milano stanno perciò continuando ad indagare quali siano i fattori che favoriscano questi comportamenti – anche a livello chimico e neuronale – a scapito di altri, che potrebbero per esempio rendere i topi meno sensibili al dolore altrui.
Il gioco del dittatore
È noto come molti mammiferi dispongano di atteggiamenti altruistici, soprattutto rivolti verso alleati e consanguinei, per rivolgere aiuto qualora un conoscente si trovasse in difficoltà. Un comportamento che di fatto potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza del singolo – per esempio come alcuni bufali aggrediscano i leoni in Africa in soccorso di compagni feriti – diventa spesso così una strategia evolutiva, che permette agli animali altruistici di garantirsi supporto anche nelle peggiori condizioni di sopravvivenza.
Avevamo già delle prove che testimoniavano come i ratti avessero sviluppato la capacità di darsi aiuto reciproco. E insieme a loro anche altri animali dispongono di tale caratteristica. Finora però nessuno aveva studiato con l'adeguata intensità il comportamento dei topi domestici per confermare scientificamente che anche loro possiedono l'intelligenza sociale necessaria per sviluppare tale capacità. E ora che sappiamo che l‘immedesimazione sociale fa anche parte del comportamento dei topi, spiega Diego Scheggia dell'Università statale di Milano, possiamo fare nuove considerazioni su di essi e sul loro sviluppo cognitivo e comportamentale.
Per dimostrare che i topi riescono a provare empatia, ma anche forme marcate di egoismo, i ricercatori hanno usato un modello sperimentale noto come "Il gioco del dittatore", usato già in esperimenti di psicologia sociale umana e d'economia per misurare i livelli di condivisione dei comportamenti. Il gioco è abbastanza semplice.
A tutti i partecipanti veniva data la scelta di donare o meno una ricompensa con il resto del gruppo. L'esperimento ovviamente è stato adattato ai topi, per verificare se possono o meno intraprendere delle azioni che possono migliorare o peggiorare la condizione degli altri. All'interno del gruppo, circa il 70% dei topi preferiva la condivisione durante la prima fase dell'esperimento ed è stato etichettato come altruista. Nella seconda fase, gli scienziati hanno introdotto una sfida per gli animali altruisti, invitandoli a sacrificare completamente la ricompensa e a lasciarla al proprio compagno, dopo aver speso del tempo e dell'energie per acquisirla. In questo caso, solo alcuni degli animali precedentemente considerati come altruisti hanno accettato lo sforzo supplementare per favorire il benessere dei loro compagni.
Inoltre la condivisione avveniva quasi sempre con un compagno familiare, ha tenuto a sottolineare Scheggia. La gerarchia sociale nella gabbia è infatti importante, se c'è un topo dominante. Di solito ad aiutarsi erano principalmente fratelli o madri e padri con i loro figli. Bisogna però sottolineare anche il fatto che di solito il più altruista del gruppo è proprio il leader, che in media è quello più in salute e che possiede delle responsabilità aggiuntive nei confronti della stabilità sociale della sua comunità.
I topi invece che sentivano meno lo stress dei loro simili in difficoltà, erano anche quelli meno propensi a fare scelte di condivisione, mostrando atteggiamenti egoistici che nel tempo li porta ad isolarsi e a divenire asociali.
Il gruppo di ricerca ha così studiato i circuiti neurali presenti nel cervello di questi roditori, partendo dai nuclei basolaterali dell’amigdala, nota per essere la parte più antica del cervello e che presenta i centri emotivi. Sfruttando un metodo per manipolare le vie di segnalazione tra i circuiti nervosi, gli scienziati hanno così scoperto come i neuroni dell'amigdala sono coinvolti nell'instaurarsi del comportamento altruistico, insieme ad altri centri nervosi presenti sulla corteccia prefrontale.
In pratica, quando il segnale proveniente dai neuroni che mettono in comunicazione la corteccia prefrontale all'amigdala veniva interrotto, il comportamento altruistico era inibito e la maggior parte dei topi si comportava in modo egoistico. Quando invece si spegnevano i neuroni che proiettano l'informazione dall'amigdala alla corteccia prefrontale, il processo di apprendimento veniva influenzato, gli animali sembravano confusi e le scelte egoistiche e altruistiche erano equamente distribuite.
Questo ci permette di credere che i circuiti nervosi presenti fra l'amigdala e la corteccia prefrontale assumono un ruolo rilevante – quello di bottone accensione o spegnimento – nel comportamento altruistico dei topi.
«I nostri risultati spiegano come la dimensione emotiva dei roditori è più complessa di quanto si pensasse in precedenza» afferma Scheggia, nell'intervista fornita a Nature. «Questo potrebbe aiutare a comprendere condizioni patologiche come i comportamenti antisociali e la mancanza di empatia, che si verificano nelle condizioni neuropsichiatriche e nelle malattie neurodegenerative».
L'altruismo come arma per la sopravvivenza
A questo punto, ci si potrebbe chiedere come mai i topi hanno sviluppato la capacità di assumere comportamenti altruistici.
Quello che i biologi comportamentali ed evoluzionisti hanno notato, studiando il comportamento altruistico nelle specie che sembrano averlo fatto proprio (scimpanzé, elefanti, delfini, ippopotami, esseri umani, gorilla, leoni, cani ed ora anche topi), è che le specie che presentano società multilivello e gruppi familiari molto estesi hanno più possibilità di sopravvivere alle difficoltà legate alla caccia, come alla difesa del proprio territorio, qualora presentino atteggiamenti altruistici verso i parenti, ma anche nei confronti di parziali "sconosciuti".
L'altruismo rivolto verso i parenti difatti ha un senso logico: salvare la vita dei propri figli o dei propri fratelli, ma anche di zii, cugini e nipoti, ha un risvolto evolutivo pratico, in quanto si sta garantendo – in modo parziale – a parte dei propri geni di sopravvivere e avere maggiori possibilità per tramandare l'informazione genetica alla discendenza. Come spiegare però l'evoluzione dell'altruismo nei confronti di individui non legati esplicitamente a noi da legami di sangue? Come spiegare l'evoluzione di un circuito nervoso così sensibile, come quello descritto sopra, che si attiva ogni qual volta vediamo un soggetto che riconosciamo come simile a noi è in pericolo?
Dopo decenni di riflessioni, i ricercatori sono riusciti a fornire una risposta a queste domande. In contesti sociali molto grandi, come quella umana o potenzialmente di una colonia di topi, i rapporti di parentela sono altresì importanti, per riconoscersi all'interno di una realtà più grande dove la nostra famiglia è solo un elemento della comunità che gestisce e sopravvive all'interno di un territorio. Sono però allo stesso modo essenziali i rapporti interpersonali che si vanno a sviluppare fra gli individui appartenenti a famiglie diverse.
Inoltre, dove le famiglie formano comunità molto numerose è stato vantaggioso per le specie assumere il comportamento altruista con tutti (o a buona parte) dei componenti della comunità, per limitare i danni causati dalla convivenza e per supportare con il lavoro e la ricerca/difesa del cibo l'intera società, permettendo a questa di espandersi e di possedere maggiore controllo nei confronti dei beni di prima necessità.
L'altruismo, insomma, è divenuta un'arma evolutiva con cui le specie sociali hanno tentato di soverchiare le specie egoiste e gli individui meno adatti alla socialità al loro interno, ma tutto questo altruismo ha avuto un prezzo. Per prima cosa, all'interno delle società animale e umane più grosse, non tutti i singoli individui hanno la stessa garanzia nel riprodursi o nel nutrirsi sufficientemente, poiché alla crescita numerica dei gruppi sociali più la specie rischia di cadere vittima dei limiti ambientali che sono stabiliti dal territorio in cui un gruppo risiede.
Solo gli esseri umani sembrano aver adottato strategie efficaci, come lo sviluppo dell'agricoltura, per allontanare dal loro cammino la minaccia rappresentata da tali limiti, che hanno affascinato molto Malthus e che altrimenti impedirebbero alla popolazione umana di crescere demograficamente fino agli 8 miliardi di individui. Al crescere numerico però delle popolazioni, accrescono anche le possibilità per coloro che assumono comportamenti maggiormente egoistici, rispetto alla massa.
Tali individui spesso vengono isolati o disprezzati dai corrispettivi vicini. In taluni contesti però gli individui egoisti sono utili per la sopravvivenza della specie, poiché essendo mano legati ai costumi sociali e ai gradi di parentela possono approfittare di opzioni impraticabili per i restanti componenti del gruppo. Soprattutto in contesti estremi, sono loro infatti quelli che riescono a trarre il meglio dalle situazioni in continuo mutamento. E per quanto asociali, possono assumersi anche il compito temporaneo di leader, pur di sfuggire al pericolo o di garantirsi la sopravvivenza di fronte all'estinzione.