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10 Settembre 2023
13:00

Legge 281/91: cambiamenti sempre fermi per randagi e animali di casa

La legge quadro sulla tutela degli animali e la gestione del randagismo risale al 1991. Da allora sono cambiate moltissime cose e oggi servirebbe una profonda riforma.

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Risale al 1991 la norma che disciplina le modalità di gestione del randagismo e la tutela degli animali, come cani e gatti, con cui dividiamo la vita. Nel frattempo, nell’arco di più di trent’anni, sono cambiate moltissime cose, fra le quali spicca la maggior attenzione e sensibilità con cui l’opinione pubblica guarda a queste problematiche e alla tutela degli animali in genere. In questa norma l’impianto è prevalentemente di natura sanitaria, prevedendo sì la tutela degli animali ma occupandosi principalmente delle misure per il contenimento del randagismo, visto come un possibile veicolo di malattie trasmissibili dagli animali domestici all’uomo e altri danni collaterali.

Questa è la ragione per cui la legge 281, una legge quadro che traccia il perimetro delle azioni da mettere in atto, lasciando alle Regioni il compito di tradurre il dettato normativo in azioni concrete, modellate sulla base delle diverse necessità dei territori. Il decentramento non sempre porta effettive migliorie nell’erogazione dei servizi e questo non è un fatto nuovo. In questo campo la dimostrazione arriva dalla frammentazione delle anagrafi canine, lasciate inizialmente alla libera progettazione di ogni Regione, causando una moltiplicazione dei costi incredibile e una funzionalità ridotta al lumicino. Tanto da costringere il Ministero della Salute a reiterate promesse di centralizzazione dell’anagrafe, che non hanno ancora però raggiunto il traguardo, anche se il successo dell’operazione è stato più volte annunciato.

Tre decenni fa la 281 aveva sancito un divieto importante, impedendo che cani e gatti catturati sul territorio potessero essere uccisi oppure ceduti alla sperimentazione. Un passo avanti epocale sotto il profilo etico, che ha impedito la prosecuzione di una strage silenziosa priva di risultati, ma che parimenti non è stato in grado di assicurare il benessere dei forzati ospiti presenti nelle strutture. Animali che non venendo più uccisi, sono aumentati considerevolmente nel numero, senza però trovare strutture davvero adeguate pronte ad accoglierli.

gatti colonia randagi

Se fino al 1991 cani e gatti catturati dai servizi veterinari potevano essere uccisi in un periodo compreso fra cinque e dieci giorni, con l’avvento del divieto di soppressione le cose cambiarono molto velocemente rispetto alle possibilità reali di accoglienza, anche a causa della costante e ancora attuale inadempienza dei Comuni. Questi ultimi, infatti, in base al Testo Unico delle Leggi di Polizia Veterinaria, del 1954, avrebbero da tempo dovuto dotarsi di strutture per la custodia degli animali catturati, ma la storia dimostra che a tutt’oggi sono ancora percentualmente molto poche le strutture pubbliche.

Nella maggioranza dei casi canili e gattili rifugio sono strutture private in convenzione con l’ente pubblico, talvolta di associazioni e molte altre di privati. Una situazione di difficile controllo, che ha dato luogo a una serie infinita di violazioni che hanno sempre pagato gli ospiti, cani e gatti, mentre i responsabili spesso non hanno ricevuto adeguata punizione. Cambi di ragione sociale e di titolarità, frammentazione fittizia di strutture monstre capaci di accogliere migliaia di cani e l’incasso di diarie per la custodia di animali non più presenti nelle strutture sono solo alcune sfaccettature di questa realtà, che grava sulle casse pubbliche e dunque sulle spalle dei cittadini.

La legge, pur nel suo dettato innovativo, è rimasta con visioni superate sulla tipologia di strutture, già quando fu approvata dal parlamento e cammin facendo con tutte le variegate e diverse applicazioni regionali. Canili e gattili sono sempre stati visti come strutture sanitarie, anche quando si trattava di rifugi e non di strutture eminentemente sanitarie, pensate con spazi, arricchimenti ambientali e tipologia di materiali perfetti per la disinfezione, ma problematici per garantire un reale benessere.

Grazie a questo, e alla costante carenza di strutture pubbliche, sono spuntati come funghi luoghi di ricovero destinati a custodire soprattutto cani, realizzate e gestite da soggetti che hanno visto nel randagismo un’opportunità per incanalare quel fiume di denaro che Regioni e Comuni ogni anno destinano al mantenimento dei cani e dei gatti catturati. Tralasciando ogni attività di reale gestione del randagismo che dovrebbe occuparsi di affrontare il problema con una visione a 360° e non soltanto seguendo la logica del “cattura e rinchiudi”. Come dimostra senza possibilità di dubbio il fatto che canili e gattili siano sempre pieni.

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Per i mille scandali, i maltrattamenti e le inefficienze registrate nel corso di decenni da tempo si chiede una revisione completa di questa legge, senza che le dichiarazioni politiche, spesso rese in campagna elettorale, si siano mai tradotte in reali azioni. Progetti di legge incagliati, attività di gestione al randagismo mal attuate e politiche regionali spesso fuori controllo, specie al Sud del paese, sono ancora oggi una realtà.

Così la legge 281 da innovativa è passata ad essere obsoleta e dopo un iniziale plauso per aver imboccato la strada no-kill anche nel nostro paese, ha dimostrato tutti i limiti e tutte le carenze prevedibili nell’ottenere i risultati promessi. Il cambiamento, per produrre risultati reali, dovrebbe essere una vera e propria rivoluzione, non solo da un punto di vista progettuale ma proprio nell’individuazione e nell’applicazione di una diversa visione del gestione al randagismo, che ancora una volta passa da un radicale cambiamento culturale della nostra società.

Per evitare che troppi animali debbano pagare un conto molto alto, costituito da sofferenze e privazioni come accade oggi. Garantendo guadagni, sempre in bilico fra lecito e illecito, alle tante anime che sul randagismo vivono e grandi difficoltà a quanti, operando con coscienza e preparazione, lavorano per dare a questi animali una speranza di futuro, in attesa di una profonda riforma del settore.

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Ermanno Giudici
Esperto in diritti degli animali
Mi occupo di animali da sempre, ricoprendo per oltre trent’anni diversi ruoli direttivi in ENPA a livello locale e nazionale, conducendo e collaborando a importanti indagini. Autore, formatore per le Forze di Polizia sui temi dei diritti degli animali e sulla normativa che li tutela, collaboro con giornali, televisioni e organizzazioni anche internazionali.
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