Ci sono voluti tre giorni per salvare una tigre malese da una trappola a Felda Kerteh nel sultanato del Terengganu. Tre giorni, dal 29 al 31 marzo, per liberarla dai lacci mortali che la stavano uccidendo e trasferirla al National Wildlife Rescue Centre (NWRC) nel sultanato del Perak, un centro di conservazione per la fauna selvatica dove le sono state dedicate le prime cure. Ora la tigre, un esemplare di oltre cento chilogrammi, è migliorata e sembra essere fuori pericolo.
L’operazione, che ha attivato le forze del Dipartimento fauna selvatica del Ministero dell’Ambiente e del Cambiamento Climatico della Malesia coinvolgendo il personale della Wildlife Conservation Division e di altre organizzazioni, è stata solo una delle tante operazioni di soccorso in cui gli operatori si trovano costantemente coinvolti a causa della enorme diffusione di trappole per bracconaggio di animali selvatici in Malesia come nel resto del sud est asiatico. Un fenomeno dai contorni inquietanti che il WWF stima in oltre 12 milioni di trappole piazzate nelle aree protette di Cambogia, Repubblica Democratica Popolare del Laos e Vietnam.
In Asia 12 milioni di trappole ogni anno per uccidere centinaia di animali
«In Malesia – spiega Isabella Pratesi responsabile per la fauna selvatica del WWF – le trappole sono la prima causa che ha fatto crollare il numero di tigri a meno di 150 individui. Dal 2016 al 2018 nel Parco del Belum-Temengor una delle foreste più antiche del pianeta, dove sopravvivono tigri malesi e rinoceronti di Sumatra, il numero delle tigri si è dimezzato». La tigre è uno degli animali più minacciati al mondo. Rispetto ai circa 100mila individui stimati agli inizi del secolo scorso, oggi restano circa 4.900 tigri libere in natura. Il suo habitat sta scomparendo: solo fra il 2000 e il 2014 abbiamo perso l’11% delle foreste nel Sudest asiatico. Il bracconaggio non si ferma: le tigri vengono uccise per venderne pelle, ossa e carne nel commercio illegale. «L’ultimo rapporto “Skin and Bones”(Pelle e Ossa) del programma TRAFFIC (programma congiunto del World Wide Fund for Nature (WWF) e dell'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) ha rilevato che almeno 3.377 tigri sono state sequestrate in 2.205 azioni tra il gennaio 2000 e il giugno 2022 nei 50 stati e territori analizzati: in media 150 tigri sequestrate ogni anno. Un dato gravissimo, che si aggiunge ai 12 milioni di lacci rinvenuti in prossimità delle aree protette di Cambogia, Laos e Vietnam, trappole che uccidono indistintamente innumerevoli specie di mammiferi. La tigre è uno di loro».
Semplicissime da realizzare, le trappole sono veri e propri strumenti di tortura e di morte. Ci vuol poco a procurarsi, e a costi irrisori, i cavi metallici dei freni, i fili di nylon, le frizioni di vecchie biciclette oppure delle corde che, assemblati, si trasformano in meccanismi di morte micidiali. Materiali economici e facilmente reperibili, permettono di realizzarle in pochissimo tempo e di posizionarle ovunque: spesso sono nascoste da foglie e dal fitto sottobosco e in Asia rappresentano una minaccia invisibile praticamente per chiunque ci incappi. «Il laccio di acciaio di cui è fatta una trappola può rompere le ossa dell’animale in un colpo solo – spiega la Pratesi. – Se si avvolge intorno al suo collo la vittima tenterà di liberarsi, ma più si muoverà più il laccio porterà ad una morte lenta e straziante a causa delle ferite o la farà morire di sete e fame». Utilissime per catturare sia piccole specie destinate ai mercati di animali selvatici sia i grandi predatori venduti illegalmente, le trappole in India, dove vive la metà della popolazione mondiale di tigri ancora libere, rappresentano ad esempio la causa del 59% delle uccisioni delle tigri e del 73% dei casi di mortalità dei leopardi. «L’ultimo rapporto TRAFFIC “Snaring of Big Cats in Mainland Asia” pubblicato dal WWF, infatti, stima che in Bangladesh, Cina, India, Malesia, Nepal, Pakistan e Sri Lanka, fra il 2012 e il 2021 le trappole abbiano ucciso almeno 387 grandi felini, fra cui tigri, leopardi, leopardi delle nevi e leoni asiatici».
Uccidere le tigri equivale ad intaccare la biodiversità del pianeta
L’obiettivo è sempre lo stesso: uccidere gli animali e rivendere al mercato nero pelle, ossa denti di tigri o degli altri grandi felini che in Asia continuano ad essere richiestissimi e a foraggiare un giro d’affari milionario, della medicina tradizionale cinese all’arredamento. «Le trappole che l’uomo mette nelle foreste e negli altri ecosistemi naturali, sono le unghie affilate di un bracconaggio che in Asia ha delle dimensioni devastanti -sottolinea la Pratesi. – Nelle tagliole, nei lacci e negli altri strumenti di cattura finiscono e vengono trucidati animali il cui valore è ben superiore al guadagno economico dei bracconieri». Secondo la responsabile della fauna selvatica del WWF Italia non si tratta solo di intaccare quella popolazione di animali già fortemente a rischio per la sua stessa sopravvivenza, ma di andare a scalfire l’equilibrio naturale che fa della biodiversità la valvola di protezione del pianeta. «Stiamo parlando di una biodiversità unica che è cruciale per la salute degli ecosistemi e quindi per l’acqua, il cibo, le medicine, la vita di milioni di persone. Le trappole non uccidono e catturano solo gli animali ma aprono la strada allo sfruttamento illegale della natura che porta con sé corruzione, instabilità, conflitti e povertà».
Come gestire quindi un’emergenza del genere? Come cercare di arginare un fenomeno così devastante e, allo stesso tempo, così difficile da limitare? Il «Wwf lavora con le comunità locali per bonificare dalle trappole le foreste e dare una speranza di un futuro diverso alla biodiversità e alle persone» aggiunge la Pratesi che sottolinea «le leggi ci sono, ma troppo spesso i sistemi di polizia e di controllo danno poco valore a questo tipo di crimine. Per cui gran parte dei bracconieri la fanno franca. E i ranger per essere un minimo efficaci dovrebbero essere il triplo». È della stessa opinione Rohit Singhoggi responsabile del programma Zero Poa-ching al WWF Internazionale: «Uno studio pubblicato sulla rivista Nature Sustainability stima che nel mondo ci siano solo 555mila addetti alle aree protette, responsabili del 17% della superficie terrestre mondiale. Solo 286mila di questi sono ranger, che gestiscono le aree protette, fanno rispettare le leggi, lavorano con visitatori e comunità locali e monitorano la fauna selvatica. Tutte mansioni vitali per la conservazione. Per una protezione e gestione efficace del 30% entro il2030, il numero dei ranger dovrebbe quintuplicare».