In tutto il mondo ci sono più tigri tenute in cattività che libere in natura. Molte di queste vivono in condizioni pessime nelle cosiddette "fattorie delle tigri", allevamenti illegali molto comuni in Asia, soprattutto in Cina, Vietnam e Thailandia. In queste fattorie lager i felidi vengono allevati come bestiame al solo scopo di essere macellati per poter poi utilizzare soprattutto parti del loro scheletro, alla base di prodotti molto apprezzati nella medicina tradizionale illegale. In diverse culture asiatiche questi prodotti a base di tigre sono infatti considerati miracolosi e in grado di curare malattie alle articolazioni e molti altri disturbi.
Poiché la disponibilità di tigri selvatiche è diventata sempre più scarsa negli ultimi decenni, questi allevamenti stanno crescendo rapidamente e alcuni paesi stanno perciò valutando se legalizzarli per contrastare il bracconaggio. Un nuovo studio appena pubblicato sul Journal for Nature Conservation ha perciò provato a esaminare quale potrebbe essere l'impatto dell'eventuale legalizzazione sulla conservazione delle tigri, analizzando per la prima volta nel dettaglio chi sono gli acquirenti, quali sono le loro preferenze e cosa li motiva ad acquistare questi prodotti. Secondo gli autori rendere legali le fattorie e il consumo di parti tigre non farà cessare la domanda di animali uccisi in natura, portando probabilmente allo sviluppo parallelo di mercati legali e illegali.
Le tigri bollite negli scantinati in Vietnam
Uno dei prodotti a base di tigre più "apprezzati" in Asia è quella che viene chiamata "colla di tigre". Si tratta di una sostanza resinosa marrone prodotta facendo bollire lo scheletro in una pentola a pressione per circa due o tre giorni. La colla di tigre è perciò uno dei motivi principali per cui questi predatori vengono allevati illegalmente in numero così elevato. Nel 2017, secondo la ONG Environmental Investigation Agency (EIA), erano oltre 200 gli allevamenti di tigri attivi in Cina, Laos, Thailandia e Vietnam. Tutte insieme queste fattorie "ospitavano" tra le 7.000 e le 8.000 tigri, più del doppio degli esemplari rimasti allo stato selvatico.
Un solo scheletro di tigre con un peso medio di 15 kg può generare circa 54.000 $ di entrate solamente per la produzione della colla, escludendo quindi la vendita di pelle, carne, denti e artigli. La colla non viene però prodotta direttamente dagli allevatori, ma da piccoli produttori che acquistano le tigri dagli allevamenti quando sono ancora cuccioli. Una volta cresciuti gli animali finiscono per essere macellati e bolliti in piccoli e bui scantinati, molto diffusi soprattutto nella provincia vietnamita di Nghe An.
Proprio il Vietnam e la Cina sono considerati i principali mercati asiatici per il consumo di parti e prodotti a base di tigre, ma data la natura illegale di questo commercio si hanno scarsissime informazioni su chi sono e cosa preferiscono i consumatori. Partendo dalle persone intervistate per uno studio precedente sul consumo di corni di rinoceronte, i ricercatori hanno ampliato questo campione e intervistato 228 consumatori di colla di tigre residenti ad Hanoi, la capitale del Vietnam. L'obiettivo era capire chi fossero e cosa li spingesse a pagare fino a 12.000 $ per un solo kg di colla di ossa di tigre. Guadagnandosi la fiducia degli acquirenti gli scienziati sono così riusciti a condurre uno studio completamente inedito che ha permesso di profilare per la prima volta i consumatori abituali di questo prodotto.
Maschi, ricchi e istruiti: ecco chi sono i consumatori
Le interviste faccia a faccia, della durata di 20 minuti, sono state condotte i luoghi ritenuti sicuri dai 228 partecipanti. Di tutti gli intervistati 182 erano consumatori abituali di colla, mentre 46 hanno dichiarato che intendevano consumare il prodotto nell'immediato futuro. Gli intervistati avevano un'età compresa tra i 23 e gli 81 anni, con un'età media di 49 anni. La maggior parte di loro erano maschi (84%), sposati (97%) e laureati (73%) o con un'istruzione di scuola superiore (14%). Inoltre i consumatori abituali possedevano un livello medio di istruzione più alto rispetto a quelli che hanno dichiarato di voler consumare la colla in futuro.
La maggior parte delle persone che consumano regolarmente colla di tigre sono perciò maschi, istruiti e soprattutto ricchi. Circa un terzo (27,6%) degli intervistati erano infatti funzionari governativi, mentre quasi la metà (43%) erano imprenditori o lavoratori autonomi che appartengono alla classe più abbiente del Vietnam e che guadagnano circa 15 volte in più rispetto alla media nazionale. Molti di questi erano inoltre assidui frequentatori di costosi ed esclusivi club di golf o tennis.
Per quanto riguarda le modalità di acquisto, quasi la metà degli intervistati (46%) ha ammesso di aver comprato direttamente o tramite familiari la colla di tigre, mentre l'altra metà (48%) ha dichiarato di averla ricevuta in regalo, oppure di averla provata durante un party privato.
I consumatori preferiscono le tigri selvatiche
Ma il dato forse più interessante da un punto di vista conservazionistico riguarda soprattutto la provenienza delle materie prime. La maggior parte dei consumatori ha ammesso di preferire le tigri selvatiche a quelle allevate, perché credono che le loro ossa siano più potenti e quindi più efficaci per i trattamenti a base di medicina tradizionale. Per quanto riguarda invece le motivazioni dietro al consumo il 40% delle persone intervistate ha dichiarato di utilizzare la colla di tigre per i disturbi muscoloscheletrici, il 32% lo usa per problemi di salute generici, il 6% lo usa per prevenire la comparsa di malattie mentre il 5% la consuma per migliorare le proprie prestazioni sessuali.
I consumatori cercano inoltre i prodotti con maggiore percentuale possibile di ossa di tigre all'interno. La colla viene infatti spesso miscelata con parti di altri animali, come ossa di antilopi, gusci di tartarughe, velluto di palco di cervo, erbe e addirittura oppio. Lo studio dimostra perciò che la provenienza delle materie prime, la purezza del prodotto e i processi dietro la produzione sono molto importanti gli acquirenti vietnamiti, che continuerebbe quindi a preferire tigri selvatiche rispetto a quelle allevate, anche se ne venissero legalizzate le fattorie.
Legalizzare gli allevamenti non aiuterà le tigri
Seguendo le preferenze e i dati emersi dalle interviste dei consumatori, gli autori dello studio credono quindi sia molto improbabile che la legalizzazione degli allevamenti di tigri possa aiutare a contrastare le uccisioni illegali. Il commercio internazionale di tigri è stato vietato nel 1987, tuttavia la popolazione globale è diminuita di circa il 50% dagli anni 90 al 2014, ed è chiaro che il divieto non è servito ad arrestare il bracconaggio e il commercio illegale. Con tutta probabilità però nemmeno gli allevamenti legalizzati ci riuscirebbero, visto che almeno un terzo degli intervistati continuerebbe a preferire gli animali uccisi in natura.
Il bracconaggio continuerebbe perciò a prosperare e minacciare la sopravvivenza in natura delle tigri e non solo. Un'ampia percentuale degli intervistati ha infatti dichiarato di consumare regolarmente anche altri prodotti e cibi esotici illegali provenienti da altri animali, come i corni di rinoceronte (43%), la bile di orso della luna (89%) e quella del bovino gayal (37%), i palchi di cervo (45%), la carne e le squame di pangolino (25,4%) e le pinne di squalo (50%). La domanda di tigri selvatiche rimarrebbe perciò forte e i politici e le autorità del Vietnam dovrebbero concentrare altrove i loro sforzi.
Più controlli e sensibilizzazione sono le strade da seguire
Secondo gli autori i paesi coinvolti non dovrebbero dunque legalizzare gli allevamenti ma aumentare i loro investimenti nella conservazione degli habitat, nel rafforzamento dei controlli da parte delle forze dell'ordine e dei ranger dei parchi e soprattutto dovrebbero intensificare le campagne di informazione e sensibilizzazione verso i consumatori. Studi che mettono insieme analisi sulle popolazioni di tigre rimaste in natura, il bracconaggio e la domanda dai mercati neri internazionali, stimano che gli esemplari selvatici si estingueranno presto nel prossimo futuro a causa delle uccisioni illegali.
Il bracconaggio resta quindi una delle minacce principali per la sopravvivenza in natura di questi meravigliosi felidi e solo educando e indirizzando gli acquirenti verso alternative più sostenibili ai prodotti a base di tigre si potrà provare ad arrestare il commercio illegale e a salvare questa specie dall'estinzione.