Lo smartphone ha la capacità di trasformarci in camaleonti. Tra molte funzioni dei device che ormai fanno parte della nostra vita, gli studiosi dell'Università di Pisa hanno scoperto che c'è anche quella di spingerci a imitare la mimica delle persone che ci sono familiari quando hanno in mano uno smartphone. Un fenomeno inconscio e noto appunto come "effetto camaleonte".
L'effetto camaleonte era già stato studiato dalla scienza, ma il gruppo dell'Università di Pisa guidato dalla professoressa Elisabetta Palagi ha fatto un passaggio ulteriore, evidenziando come la familiarità abbia un ruolo chiave nel favorire la risposta mimica nell'uso degli smartphone e, potenzialmente, nella dipendenza da questi dispositivi. Come avviene con la risata o lo sbadiglio, anche la risposta mimica nell'uso dello smartphone è più evidente quando si è insieme a persone che si conoscono.
È capitato a tutti di trovarsi a tavola con amici, familiari o colleghi e mentre si è impegnati nel mezzo di una conversazione improvvisamente ci si ritrova tutti con lo sguardo puntato verso il proprio smartphone, magari scrollando pigramente lo schermo. Ora questo fenomeno ha una spiegazione scientifica, che non riguarda l'educazione, ma gli adattamenti evolutivi dei primati come noi. A rivelarlo è stato lo studio condotto da Palagi con gli etologi del Dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e pubblicato sulla rivista "Human Nature" edita da Springer.
I ricercatori hanno provato che quando una persona che ci è vicina emotivamente ha gli occhi fissi sul suo smartphone saremo portati ad attuare il medesimo comportamento. E più il legame è stretto più tenderemo a imitarla. A innescare questo "effetto camaleonte" ossia l'imitazione inconscia dei comportamenti altrui, è la direzione dello sguardo di chi, in un gruppo, utilizza lo smartphone per primo. Si tratta di un contagio emotivo che si è evoluto tra i primati come noi per rendere più saldi i legami, ma che per presenza dello smartphone rischia di rendere più rarefatte le relazioni sociali.
Sentita da Kodami, Pelagi spiega che: «La risonanza motoria funziona da collante sociale in molti gruppi di animali, e l'uomo è tra questi. Questo comportamento, noto appunto come "effetto camaleonte" serve per stringere il sodalizio con il proprio gruppo, ma quando c'è di mezzo lo smartphone in questo caso la risposta mimica ci porta più lontano dal gruppo sociale in cui ci troviamo». Per la primatologa dell'Università di Pisa questo non è un adattamento in divenire: «La nostra etologia si è già modificata per adattarsi all'era dei device, siamo già pervasi da questo cambiamento».
Un'inversione nella nostra etologia ormai tanto consolidata da abbracciare indistintamente tutte le fasce d'età: «Non solo non abbiamo rilevato differenze tra maschi e femmine, ma neanche in funzione dell'età. Penavamo che tra gli adolescenti questo comportamento fosse più diffuso, i dati raccolti dimostrano invece che il fenomeno è trasversale all'età, e avviene in eguale misure tra giovani e anziani. In pratica, nessuno è immune».
Risultati sorprendenti di un percorso di ricerca avviato durante la fase iniziale della pandemia da Covid-19 quando i ricercatori di Pisa hanno avviato il primo esperimento per valutare gli effetti del lockdown sulla risposta mimica nell'uso degli smartphone. «I risultati raccolti – ricorda Palagi – hanno confermato la presenza di tale fenomeno e dimostrato che le limitate interazioni sociali dal vivo possono modificare, almeno nel breve termine, il modo in cui interagiamo con gli altri rendendoci più inclini ad impegnarci in interazioni sociali "virtuali"».
A distanza di un anno, con la fine delle restrizioni sanitarie e il ritorno alla vita sociale, però il nuovo esperimento ha dato risultati che per Palagi e il suo team si sono rivelati ancora più sorprendenti: «Non solo questo fenomeno non scompare nel tempo, come era invece lecito attendersi, ma sembra essere strettamente legato al gradiente di familiarità».
Se è ben noto, infatti, come lo sguardo sia tra gli animali sociali un elemento di comunicazione importantissimo, che guida il loro comportamento anche in situazioni di pericolo, è la prima volta che tale meccanismo (cosiddetto gaze-following) viene rilevato in relazione ad oggetti manipolati dagli individui che interagiscono.
Grazie a questo risultato, dunque, lo studio condotto dalla professoressa Palagi assieme al professore Dimitri Giunchi e alle dottoresse Veronica Maglieri e Anna Zanoli, apre a una miglior comprensione del successo di questi dispositivi, portando all'attenzione dei ricercatori un fenomeno etologico che potrebbe essere alla base del possibile fenomeno di dipendenza da questi strumenti sociali.