In natura rimangono circa 6.000 tigri che vivono libere e selvatiche. In India, a partire dal Project Tiger voluto da Indira Ghandi nel 1973 con l’idea di tornare a fare della nazione il paese delle tigri, da cinquant'anni si cerca di invertire la rotta. Oggi il numero è tornato nuovamente a crescere e nel 2022 si è attestato a 3.167 esemplari, in base ai dati dell'ultimo All India Tiger Estimation. Un risultato straordinario, che segue all’aumento testimoniato già dal censimento del 2018, quando le tigri libere erano salite a 2.461, ma che aveva avuto una battuta d'arresto nel 2021 quando ben 126 tigri erano state trovate morte, la maggior parte uccise dai bracconieri.
I dati della crescita presentati all’International Big Cat Alliance
Un trend positivo, che rappresenta secondo il primo ministro Narendra Modi la punta di diamante del rapporto presentato nel corso dell’International Big Cat Alliance, la conferenza internazionale appena conclusa nell’antica città di Mysuru nello stato del Karnataka che mira a coordinare i 97 paesi che costituiscono l'areale degli habitat naturali dei grandi felini in una serie di iniziative destinate alla conservazione di questi animali nei loro ambienti d’origine.
L'All India Tiger Estimation (AITE) 2022, presentato dal ministro indiano, si riferiva direttamente all’obiettivo di raddoppiare le tigri selvatiche a livello globale noto anche come Tx2, che era stato fissato dai governi nel 2010 al vertice internazionale di San Pietroburgo sulla conservazione delle tigri. I risultati che riguardano la crescita del numero di tigri dell'India confermano quindi i buoni esiti del progetto internazionale che ha coinvolto il Global Tiger Forum, il WWF e altre organizzazioni internazionali. L'ampia indagine ha interessato 641.449 km2 di rilevamenti pedonali, 32.588 conteggi di telecamere e 641.102 giorni. La ricerca è stata condotta dalla National Tiger Conservation Authority e dal Wildlife Institute of India, in collaborazione con i dipartimenti forestali statali.
Organizzata per celebrare i cinquanta anni del Project Tiger, la conferenza internazionale si è infatti concentrata non solo sulla conservazione della tigre ma anche su quella degli altri sei felini più importanti: leoni, leopardi, leopardi delle nevi, puma, giaguari e ghepardi. Un’alleanza che il primo ministro Modi reputava fondamentale sin dal 2019 per combattere bracconaggio e commercio illegale di animali morti e delle loro parti in tutta l’Asia. «Sono passati 50 anni di Project Tiger – ha esordito il ministro inaugurando la conferenza. – Il successo di Project Tiger è stato un traguardo non solo per l'India, ma per il mondo intero. L'India non solo ha salvato la tigre, ma le ha dato un grande ecosistema in cui prosperare. È motivo di grande felicità per noi che in un momento in cui abbiamo completato 75 anni di indipendenza, quasi il 60% della popolazione mondiale di tigri si trovi ora in India e le riserve di tigri nel paese si estendono su 75.000 chilometri quadrati. Questo è stato possibile grazie agli sforzi di tutti».
Le tigri prede della caccia nell'India coloniale
Il primo ministro Modi ha anche sottolineato che i legami tra l’India e la tigre esistono da migliaia di anni e nelle grotte del Madhya Pradesh sono stati trovati dipinti di 10.000 anni a questo proposito. Ha inoltre evidenziato le intime relazioni tra le comunità tribali nel paese e le tigri e che molte comunità adorano il grande felino in India. Va però sottolineato che fino agli anni ’30 proprio in India la tigre è stata soggetta ad una caccia intensa dove era lo sport preferito degli Ufficiali Inglesi e delle élite indiane. Oggi la specie in tutto il suo areale di diffusione viene uccisa o avvelenata perché considerata nociva al bestiame domestico e pericolosa per gli esseri umani.
Come sottolineato dal rapporto TRAFFIC, il programma di monitoraggio del commercio di fauna e flora selvatiche del WWF e dell’IUCN (Unione per la Conservazione della Natura), «vi sono motivi commerciali che incentivano l’uccisione delle Tigri: fino al 1900 era molto apprezzata la pelliccia, mentre oggi le ossa di tigre sono molto richieste sui mercati asiatici perché sono un importante ingrediente della medicina tradizionale cinese e coreana. Il bracconaggio per le ossa è la più grave causa di declino della Tigre siberiana negli ultimi anni, ma ha un notevole impatto anche sulle altre popolazioni viventi».
Sempre secondo il rapporto Traffic «in Cina, durante la Rivoluzione Culturale diverse migliaia di tigri furono uccise in nome del progresso e dello sviluppo. Durante gli anni ’90, centinaia di esemplari sono stati uccisi per prelevarne le ossa e altre parti del corpo, che vengono impiegate nella medicina tradizionale in Cina, Taiwan, Corea del Sud e in misura minore in Giappone e Asia sudorientale. I prodotti di tigre sono anche esportati illegalmente presso le comunità asiatiche di tutto il mondo, tra cui quelle dell’Australasia, Europa, Stati Uniti e Canada».
I progetti di conservazione per la tigre e la fauna selvatica
Sottolinea giustamente il Primo ministro indiano che «la protezione della fauna selvatica non è responsabilità di un Paese ma del mondo intero, ed è per questo che l’International Big Cat Alliance internazionale è così importante», aggiungendo che la conferenza internazionale assicurerà uno scambio di buone pratiche, oltre a risorse finanziarie e risorse tecniche. Secondo l’ultimo report IUCN in natura ci sono quasi 6.000 tigri, ben il 40% in più rispetto alle ultime stime ufficiali. Le popolazioni sono ora stabili o in crescita grazie ai progetti di conservazione, ma l’attenzione resta alta: le minacce per la sopravvivenza della specie sono ancora molte. Negli ultimi 100 anni le tigri hanno perso più del 93% del loro storico areale, sopravvivendo solamente con piccole popolazioni sparse in 13 paesi, dall'India al Sud-est asiatico, passando per Sumatra, Cina fino ad arrivare nell'Estremo Oriente russo.
Fondamentali quindi per una specie che ad oggi viene considerata in grave pericolo di estinzione, sono i progetti di conservazione. Esattamente come successo con il progetto di reintroduzione del ghepardo che ha coinvolto India e Africa e grazie al quale dallo scorso anno 50 esemplari hanno cominciato a essere trasferiti dalla Namibia all’India, dove si erano completamente estinti nel 1952. I primi risultati di questo progetto si sono appena visti con la nascita di quattro cuccioli nelle scorse settimane, figli di due esemplari arrivati in India dalla Namibia.