«Venire in questo cimitero dalla mia famiglia animale significa rivivere un po' della mia infanzia e della mia gioventù. Qui ritrovo i miei affetti e sento che, nonostante la morte, non mi hanno abbandonata. Questo mi dà un senso di pace che mi accompagna per i giorni successivi». È così che Lorella Capuozzo racconta a Kodami il suo legame con il cimitero per animali di Castel Volturno, in provincia di Caserta.
Il cimitero è parte del Rifugio San Francesco e fu costruito nel 1965 da un gruppo di volontari che decisero di acquistare un terreno e realizzare la struttura da zero per creare un luogo di stallo temporaneo per i cani vaganti e di riposo eterno per i cani di famiglia.
Lorella viene qui regolarmente per pulire la lapide dietro cui riposano i gatti Lorenzo e Valentina e i cani Camilla e Cristina. Si sofferma ogni volta davanti alla tomba per riscoprire un sentimento che unisce l'affetto per i suoi animali alla nostalgia, anche in ragione del significato che hanno avuto durante tappe importanti della sua vita.
Il cimitero e il rifugio sono curati da Gabriella Cristo e uno sparuto gruppo di volontari. La struttura nel suo complesso ospita 180 cani e, nella parte finale, dove sorge l'area dedicata all'eterno riposo dei compagni fedeli di chi lì li ha voluti seppellire, riposano centinaia di animali.
La stratificazione temporale rende il cimitero un luogo di straordinario interesse storico e sociale: passeggiare tra i marmi significa poter vivere i ricordi delle famiglie composte da animali e umani, attraverso foto ed epitaffi.
Testimonianze che permettono di ricostruire l'evoluzione del rapporto delle persone con cani e gatti in un arco temporale che va dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, quando è stata poi interdetta la possibilità di creare nuove sepolture.
Il numero preciso degli animali sepolti non è quantificabile a causa delle diverse amministrazioni che si sono succedute nel corso degli anni, come conferma la stessa Cristo: «Dopo varie gestioni sono arrivata io nel 1985 e poi nel 2015 con altre persone ho costituito una nuova associazione per gestire il rifugio con regole diverse per quanto riguarda gli stalli e gli affidi. Volevamo riprendere anche l'attività cimiteriale, ma non è stato possibile fare nulla poiché servono permessi e autorizzazioni che noi non possediamo».
Cristo, però, è ben conscia del potere che un simile luogo della memoria ha sulle persone: «Qui, nonostante la morte, c'è molta vita e per questo penso che frequentarlo potrebbe portare benessere a tante persone che perdono i loro animali. Per questo mi auguro che l'attività possa riprendere, ma per il momento si tratta di una prospettiva molto lontana».
Storie d'amore e di vita incise sul marmo
Sulle tombe sono rimasti i nomi, le foto, le parole e i ricordi che le persone hanno tributato ai loro compagni di vita. Una sorta di "Antologia di Spoon River" animale. Nel capolavoro poetico di Edgar Lee Masters a parlare attraverso gli epitaffi erano donne e uomini che nel loro ultimo saluto ripercorrevano un'esistenza piccola, spesso triste. Nel cimitero di Castel Volturno, invece, a restare sul marmo sono testimonianze potenti e piene di amore e di un legame che va oltre la vita.
Gli epitaffi sulle lapidi però non si limitano a celebrare l'amore tra le persone e i loro compagni animali. In molti casi raccontano vere e proprie storie, così è possibile intuire le circostanze in cui un cane è arrivato in una particolare famiglia. È il caso di Lusy, di cui sappiamo che venne accolta dai suoi umani dopo essere stata abbandonata da un «padrone crudele».
A volte, invece, le tombe raccontano le circostanze di morti particolarmente dolorose. È il caso di Frida, ricordata con queste parole dalla pet mate Rita: «Non vi fu né medico né medicina. Il nostro affetto per te divenne disperato anelito di speranza». Frida non si salvò, morendo nel 1972, ma di lei resta ancora scritta su pietra quella speranza che la sua famiglia ha conservato fino all'ultimo.
Girando intorno le tombe del cimitero San Francesco è possibile anche scoprire storie appartenenti alla memoria collettiva dell'Italia che fu e che oggi è quasi dimenticata. È il caso della tomba del "cane da mille lire", così soprannominato dai volontari che curano il verde del cimitero per i versi che gli ha dedicato il suo umano Rosario: «Se perdi mille lire non perdi niente. Ho perduto Ciccia che pagai mille lire e ho perduto tutto».
Il riferimento, spiega Cristo, è alla pratica della vendita ambulante di cani per le strade di Napoli, in uso negli anni Settanta: «A via Roma, una delle zone centrali della città, c'erano delle persone che vendevano sulle bancarelle i cuccioli di cane per poche lire».
Leggere quella dedica di Rosario apre una finestra su quella che poteva essere una giornata come tante altre nella Partenope degli anni 70. In un attimo la mente viaggia e attraverso quelle parole è facile immaginare quest'uomo come tanti altri che si ferma incuriosito dalla folla intorno ai cuccioli. E' un giorno del 1973 e forse Rosario stava forse tornando da un incontro di lavoro alla sua auto, ferma in quel grande parcheggio a cielo aperto che era piazza del Plebiscito. Mentre camminava, scansando ambulanti e giovani sciuscià, ecco la folgorazione: tra quei piccoli di cane c'è una piccola meticcia scura che sarà la sua Ciccia.
L'uomo pagò dunque pochi soldi per portarla a casa.Un acquisto impulsivo per le «sole mille lire» citate nella sua frase di addio incisa sulla lapide nei confronti di un essere vivente che oggi ancora sappiamo che è poi diventata una componente fondamentale tra le mura domestiche e ben oltre la sua morte.
A distanza di tanto tempo e al di là della nostra immaginazione, ciò che quella lapide ci spiega è un messaggio universale che vale ancora oggi e non solo negli anni 70, visto che il commercio di cuccioli è un fenomeno ancora attivo e che a differenza di prima ora avviene anche in maniera più subdola attraverso gli annunci online di allevatori improvvisati o chi ne fa un business con cucciolate casalinghe. Il ricordo di Ciccia ci dice semplicemente che gli affetti non si comprano e che l'amore e il rispetto per gli altri animali non è quantificabile.
I cimiteri per animali, una storia lunga secoli
La morte al cimitero San Francesco non fa paura ma appare come una cantrice di storie e aneddoti. I luoghi della memoria sono fondamentali nel processo di elaborazione del lutto e per questo sempre più amministrazioni pubbliche hanno deciso di creare dei cimiteri dedicati agli animali familiari. Kodami ha realizzato una guida, in costante aggiornamento, dei cimiteri per animali italiani.
Il cimitero per animali più antico in Italia è Casa Rosa a Roma ed è stato eretto nel 1923 da un'idea del veterinario Antonio Molon allo scopo di seppellire la gallina del dittatore Benito Mussolini. Con la fine del regime fascista, il cimitero è entrato nell'alveo della vita democratica del Paese, tanto che qui riposano i cani degli ex presidenti della Repubblica Sandro Pertini e Giovanni Leone.
I cimiteri per animali però non nascono in Italia, bensì in Francia. È sulla Senna, a Nord-Ovest di Parigi, che nel 1899 è stato edificato il primo cimitero per animali d'Europa. È qui che si trovano ancora oggi le spoglie di Rin Tin Tin, la prima star canina del cinema, di cui l'educatore cinofilo e membro del comitato scientifico di Kodami Luca Spennacchio ha raccontato la storia in un video dedicato all'evoluzione del Pastore Tedesco.
Non è un caso che il primo cimitero degli animali sia parigino vista la lunga tradizione già esistente per quelli umani. I francesi infatti hanno sempre avuto un forte legame con questi luoghi e spesso i cimiteri d'Oltralpe rappresentano dei ritrovi per celebrare e ricordare i caduti illustri. Basti pensare al tumulto che nel 1804 seguì all'emanazione dell'editto di Saint Cloud, che stabiliva di spostare le tombe fuori dalle mura della città, e addirittura il divieto di personalizzarle con epitaffi non approvati dalle autorità.
La cittadinanza, e soprattutto le élite culturali, non accettarono quello che veniva percepito come un "bavaglio post mortem", poiché già all'epoca esisteva il concetto di cimitero monumentale come luogo utile a costruire una memoria storica collettiva del passato. La protesta s'infiammò allargandosi ad altri Paesi, e la volontà di difendere il ricordo delle persone attraverso le incisioni sulle lapidi arrivò in Italia, dove venne venne espressa con maggiore efficacia da Ugo Foscolo attraverso il carme "Dei Sepolcri". Oggi i cimiteri monumentali per umani continuano ad essere luoghi simbolo di un passato da celebrare.
Secoli dopo questa sensibilità si è evoluta in Occidente ed è penetrata all'interno delle istituzioni anche per ciò che concerne le sepolture animali. Sempre più spesso vengono fatte leggi e ordinanze create per garantire luoghi dedicati in contesti cittadini attraverso società e partecipate pubbliche. Ultima in ordine di tempo, in Italia, è la Lombardia che, preso atto della richiesta della popolazione, ha disciplinato in maniera completa sia la localizzazione dei cimiteri sia la loro gestione, normando il trasporto delle spoglie e il loro seppellimento.
Al San Francesco storie di chi abbandona e di chi non dimentica
Oggi il cimitero del San Francesco è ancora frequentato da alcune persone che hanno mantenuto il legame con il loro compagno animale che non c'è più. Tra loro c'è proprio Lorella Capuozzo che, nonostante siano passati tanti anni da quando qui ha seppellito i suoi compagni di vita, non ha perso l'abitudine di portare un fiore sulla loro tomba: «Chi perde un animale sente la differenza tra il prima e il dopo. Sapevo che non potevano vivere più di un determinato numero di anni perciò venire qui a ritrovarli, anche se per poco tempo, mi conforta, mi fa sentire che quegli affetti non sono stati momentanei».
Lorella torna per pulire la lapide e anche per dare una mano al rifugio: «In questo momento non vivo con nessun animale. Un po' perché non me la sento emotivamente e poi perché tutti loro erano arrivati da me quasi per un gioco del destino: non avevano nessuno che poteva occuparsene e sono entrata in gioco io. Simili circostanze non si sono più ripetute e quindi non ho più adottato. Oggi mi occupo di dare il mio supporto però ai cani e ai gatti vaganti».
Il rifugio per animali di Castel Volturno è noto nel Casertano e capita purtroppo spesso che le persone abbandonino fuori dai cancelli animali frutto di cucciolate casalinghe e anche cani reduci dai combattimenti. Quest'ultimo è il caso della simil Pitbull Lexia, come racconta la responsabile del rifugio Gabriella Cristo: «Non conosciamo con certezza il suo passato ma quando è arrivata aveva segni di morsi e ferite inconfondibili».
Anche al San Francesco, come in tantissimi canili e rifugi in tutta Italia, la presenza di Terrier di tipo bull provenienti da ogni tipo di contesto è enorme: «Il problema non sono solo i combattimenti – aggiunge Cristo – Spesso vengono presi da persone che non sono in grado di gestirli, quando se ne accorgono se ne disfano dopo poco. Inevitabilmente finiscono nei box con poche chance di uscirne».
Solo un continuo lavoro sul territorio di divulgazione e informazione da parte dei volontari di questo rifugio e di tante altre realtà che si danno da fare per creare cultura e consapevolezza nei confronti di cani come questi può fare la differenza, in una zona d'Italia in cui le difficoltà sono tante, non solo per gli animali ma anche per la società civile.
La storia del San Francesco racconta un'unica grande verità, come se nella stessa fotografia si possano vedere cani in vita che pagano lo scotto della mancanza della relazione e quelli ormai sepolti ma che hanno goduto del rispetto e dell'amore di chi li ha voluti accanto a sé.
La speranza è che l'incontro tra passato e presente della relazioni tra persone e animali porti i 180 ospiti attuali del rifugio a un futuro in cui si possa restituire loro la dignità di una vita lontana dalle gabbie.